24 SETTEMBRE 2006

Il corteo dei duemila dice No alla base Usa
Immigrati in corteo «La nostra protesta non finirà certo qui»
Sono 400 i vicentini intercettati
QUINTO VIC.Nuovo villaggio Usa a Quintarello? La giunta deciderà entro dicembre

Ieri mattina la manifestazione degli studenti, traffico in tilt
Il corteo dei duemila dice No alla base Usa

(al. mo.) Hanno preparato anche il dispettino finale: mentre camionette e agenti in tenuta antisommossa li aspettavano davanti all’aeroporto Dal Molin, loro si sono fermati nella rotatoria della Marosticana. Una mezz’oretta, giusto per fermare il traffico e mettere un po’ di agitazione fra polizia e carabinieri che li accompagnavano dalla stazione. Poi i circa duemila fra studenti e simpatizzanti che ieri mattina sono sfilati in corteo contro la base Usa al Dal Molin hanno fatto dietrofront e se ne sono tornati in stazione. Forze dell’ordine schierate ma disoccupate, comunque: niente scontri né altro. Unico tocco ribelle le scritte a vernice sui muri della caserma Chinotto (“Vicenza libera dalla guerra”) e su una casa di fronte (“Vicenza non si Usa”). Per il resto striscioni, molte bandiere, due furgoncini attrezzati con mega-altoparlanti che fanno da “guida”, musica, balli, slogan. Ci sono le bandiere di Rifondazione comunista, degli Rdb-cub, quelle arcobaleno della pace. Presenti Verdi, i Disobbedienti con Francesco Pavin, una delegazione del coordinamento degli stranieri con Morteza Nirou. Ci sono anche una ventina di Disobbedienti padovani. Poi gli striscioni. Quelli normali, tipo “Vicenza non è una colonia Usa”, “Meno armi più sicurezza” e una scritta da manifestazione leghista: “Fora i ’mericani, paroni a casa nostra”. Su un cartellone anche la locandina del film “Top gun“, protagonisti “Tom Cruise ed Enrico Hüllweck”. Una volta tanto non c’è la solita guerra dei numeri: per il capo della squadra mobile Michele Marchese «sono dai 1500 ai 2000», stesse cifre anche per Olol Jackson dei Verdi: «Siamo almeno 2000». Magari ne aspettavano qualcuno in più, ma c’è sempre la solita fetta di studenti che ringrazia per lo sciopero e preferisce andarsene in giro per il centro. Comunque alle 9 il via dalla stazione, l’itinerario è a zig-zag: sui fogli di vigili urbani e forze dell’ordine sono segnate via Roma, un pezzo di corso Palladio, contrà Porti, San Marco, porta San Bortolo, via Medici, poi viale del Verme e Sant’Antonino fino alla rotatoria di Cresole. Ma in realtà tutto si concentra davanti alla super-blindata caserma Chinotto che ospita la gendarmeria europea. Tutti fermi, gli altoparlani sparano una marcetta, dal solito furgoncino che procede a passo d’uomo trasmettono un dialogo da qualche film con la classica voce del doppiatore: «...non fidarti di nessun poliziotto». Nicolò Veludo del coordinamento studenti lancia slogan contro la gendarmeria europea e la base Usa («Diciamo no alla caserma in qualsiasi posto di Vicenza») poi i duemila ripartono. In mezzo, tipo presepio vivente, c’è anche il prigioniero di Guantanamo seminudo in cappuccio e mutande e relativa guardia in tuta mimetica alla catena. Davanti al Dal Molin, come si diceva, stanno aspettando schierati carabinieri e poliziotti. Ma alle 11.30 lo scherzetto: il corteo si ferma sulla rotatoria della Marosticana, molti si stendono a terra e con il gessetto disegnano i contorni. Tutti inchiodati per mezz’ora, compresi gli automobilisti: le code arrivano quasi all’Albera, in viale Mazzini, Cricoli e San Bortolo. Qualcuno tenta di aggirare da Polegge, ma anche là si va a rilento. A mezzogiorno l’ordine: niente aeroporto, si torna in stazione. Traffico che riprende, oramai dimezzato il corteo fa dietrofront. Olol Jackson è soddisfatto: «È andata bene. Prossimo appuntamento? Sabato 30 al convegno sulle servitù militari in circoscrizione 5, arriveranno gruppi da tutta Italia».

Il convegno
Dal Molin, ma quanto ci costi? «Vicenza perderà 364 milioni»
I calcoli dei Comitati del No: «La Ederle qui non spenderà più nulla»

di Alessandro Mognon

Adesso il caso Dal Molin scotta. Per questo ieri al convegno del coordinamento per il No all’Istituto missioni estere a Monte Berico su “Vicenza: quale futuro per la città?” c’era un vero schieramento di onorevoli (vedi Fincato, Trupia e Galante) e consiglieri locali del centrosinistra (a parte la ex Lega Franca Equizi). In una sala stracolma con la gente in piedi tutti ad ascoltare il presidente del Centro universitario di studi e ricerca per la pace di Trieste Andrea Licata su come riconvertire con profitto le basi americane dismesse. E la relazione “contabile” dell’ingegnere vicentino Eugenio Vivian. Che ha fatto i conti su costi e ricavi del nuovo insediamento Usa. Intanto Licata: «Le basi militari Usa oramai non le vuole più nessuno, negli ultimi anni nel mondo sono stati chiusi 8 mila siti e riconvertiti ad uso civile. Con benefici economici per le comunità. Dalle Filippine alla Germania sono stati riassorbiti migliaia di lavoratori. E cerchiamo di ricordare che i militari Usa non pagano l’energia e ne consumano moltissima. Senza contare la manutenzione delle strade, lo smaltimento dei rifiuti, la vigilanza, il consumo di acqua e le bonifiche dei siti inquinati. Promettono grandi investimenti, ma ad Aviano alla fine il 70 per cento delle spese le ha pagate l’Europa. Insomma quello del Dal Molin è un progetto fallimentare». Poi la relazione di Vivian: «Ho fatto il manager per anni, di conti me ne intendo. Comunque per fare l’analisi economica della nuova base dal 2007 al 2019 ho usato solo fonti Usa. Certo dati parziali, frammentari e con tempi poco chiari». Cosa emerge dallo studio dei comitati? «Che la perdita complessiva per la collettività di Vicenza è di 364 milioni di euro, nei 13 anni ipotizzati». Perché da un investimento di 1 miliardo e 212 milioni di dollari (costruzione Dal Molin, villaggio a Quinto, albergo, ospedale, scuole, ristrutturazione Ederle) e 226 milioni di dollari spesi dalla caserma (affitti, fornitura beni, stipendi, infrastrutture), si arriva al rosso? «Perché le nuove villette di Quinto azzereranno gli affitti delle 1500 case oggi abitate dagli americani - dice Vivian -. Oltre all’albergo interno alla Ederle e al rifacimento dell’80 per cento degli edifici di viale della Pace. Tutti soldi da sottrarre all’investimento iniziale». Poi non bisogna sperare che vengano affidati appalti a ditte vicentine. «Forse qualcuna, ma l’interesse di pochi privati non giustifica un progetto simile». E ancora tutte quelle spese che i militari Usa non pagano all’Italia: c’è un contributo statale che Vivian calcola per la Ederle in circa 41 milioni di euro l’anno; il numero di nuovi posti di lavoro non è indicato; i soldi persi affittando l’area del Dal Molin rispetto alla edificabilità della zona. Poi le spese che si dovrà accollare la collettività: i servizi sono al costo, gli Usa non pagano Iva su energia e carburanti, nè accise. In realtà i calcoli e le cifre sono più complessi, ma il senso è: altro che guadagno, la città perderà soldi. Esatti o meno, il segretario della Cgil Oscar Mancini è convinto: «Questi conti li doveva fare l’amministrazione locale». Laura Fincato e Lalla Trupia sfidano Hüllweck «a convocare il consiglio comunale e votare». Giovanni Rolando e Ciro Asproso chiedono l’intervento di Provincia, Regione e dei parlamentari. Ma ce n’è anche per Rutelli, Prodi e il ministro Parisi, parola di Sandro Guaiti (Margherita): «Quattro mesi fa io e Rolando abbiamo spedito a Rutelli l’intero dossier sul Dal Molin. Risposte? Zero. Il sindaco ha le sue colpe, ma onestamente il governo non si è dimostrato all’altezza».

Rutelli: «Se il Comune la tira lunga significa No» Urso: «Vicenza, dagli uno “schiaffo”. E vota Sì»

di Marco Scorzato

«Vicenza esprima il suo parere sul Dal Molin, dopodiché il Governo potrà fare la sua scelta, in una vera applicazione dello spirito federalista». «No, cominci il governo Prodi a dare a Vicenza tutti gli elementi per inquadrare la questione, e poi la città dimostri di saper decidere, a differenza dei Ponzio Pilato che stanno a Roma. Per me gli americani devono restare». Il botta e risposta sul caso del momento è andato in scena ieri a Villa Valmarana Morosini ad Altavilla. Protagonisti rispettivamente il vicepremier Francesco Rutelli e Adolfo Urso, parlamentare di An ed ex sottosegretario nel governo Berlusconi. Una partita di dichiarazioni che si è giocata “a distanza”, visto che i due big della politica nazionale sono intervenuti in due diversi momenti al “meeting dei quarantenni”. Se Rutelli richiama il Comune alle proprie responsabilità, Urso ribalta la questione, accusando il Governo di incapacità decisionale. «La posizione sostenuta dal ministro Parisi è limpida - ha affermato il vicepremier Rutelli -: aspettiamo che il Comune faccia l’istruttoria sul progetto di insediamento, che esprima un parere. Dopodiché il Governo sceglierà. Per la prima volta, forse, Roma si è fatta parte responsabile nei confronti della comunità locale. Il dibattito non è campato in aria, bensì è molto importante per poter trovare il consenso. Fare tutto “per le spicce” non è la soluzione». Il vicepresidente del Consiglio, incalzato sulla patata bollente americana, trova l’occasione per rispondere anche alle parole di Enrico Hüllweck che lo aveva “accusato” di aver evitato di affrontare l’argomento Dal Molin quando, una settimana fa, si sono incontrati al Teatro Olimpico: «Incomunicabilità? Il problema è che tra noi due, all’Olimpico, c’era Galan», esordisce Rutelli con una battuta. Poi smentisce il sindaco: «Per comunicare bisogna stabilire un incontro e, né prima nè dopo le premiazioni, mi è stato chiesto. Se oggi (ieri per chi legge) fosse stato qui, avremmo potuto dialogare». Ma la questione Dal Molin è o non è di “interesse nazionale”? Rutelli dribbla il quesito così: «Il governo Berlusconi l’ha ritenuta tale, ma del progetto non ha mai parlato con nessuno. Se avesse informato almeno la città dei contenuti della proposta forse non saremmo a questo punto. Comunque siamo ancora in tempo per fare le scelte. Ripeto, tocca alla città pronunciarsi. Certo che se questa risponde “allungando il brodo”, il brodo diventa immangiabile ed è chiaro che la risposta rischia di essere negativa». Fintanto che il fuoco sotto al brodo continuerà ad ardere la partita resterà aperta. Quanto durerà? «Deciderà Parisi, che sta affrontando il problema con grande responsabilità». Nel pomeriggio, arriva la caustica replica di Urso: «Rutelli dice che bisogna discutere, noi diciamo che è urgente decidere - afferma l’esponente di An -. Rutelli e Prodi sono Ponzio Pilato, scarica la palla al Comune perché non sa prendere una linea: del resto si sta giocando la coesione della maggioranza. Il punto è che il Governo deve dare al Comune tutti gli elementi per decidere: quando Vicenza li avrà, dia questo “schiaffo” a Roma, dimostrando di saper decidere». Come? Adolfo Urso non ha dubbi: «Gli americani devono restare - conclude, prima di scoccare l’ultima frecciata dritta al premier Prodi -. Se non ci fossero gli americani... non ci basterebbero le guardie svizzere».

A favore del progetto Usa
Al Governo le 10 mila firme della Ederle

(m. sc.) Un pacco di fogli con le oltre 10 mila firme raccolte a favore della base americana. È questa la dote che Sara Peruffo, delegata Cisl e rappresentante del “Comitato per il sì” ha portato con sé all’incontro con Francesco Rutelli, a Villa Valmarana Morosini. Il vicepresidente del Consiglio, che nella sua precedente visita in città si era imbattuto nella dimostrazione del “fronte del no”, ha potuto ascoltare quindi anche l’altra campana. La rappresentante del comitato ha consegnato al vicepremier una brochure con gli elementi fondamentali del progetto ed una serie di planimetrie. «La nuova base - afferma Peruffo - frutterebbe alla città 450 milioni di euro di affari, più altri 400 di indotto in servizi ed infrastrutture a beneficio di tutti». Rutelli, sfogliando la borchure, si è limitato ad osservare che «il nuovo insediamento sembra molto a ridosso dei quartieri esistenti. Spetta comunque all’ente locale esaminare l’aspetto urbanistico».


Dalla Negra: «Sono richieste arroganti»
Immigrati in corteo «La nostra protesta non finirà certo qui»

(e. mar.) Ce l’hanno con i tempi della questura, con la Bossi-Fini e con Cgil, Cisl e Uil. Ieri non più di 150 immigrati hanno sfilato in viale Mazzini per protestare contro i ritardi nel rilasciare i permessi di soggiorno, «lasciando - a loro detta - gli immigrati in balìa della precarietà e del lavoro nero». Una manifestazione, quella di ieri, che in parte risponde alle dichiarazioni della triplice e del questore, rilasciata due giorni fa: «Nella pratica di ogni giorno - attacca Nirou Morteza - la direttiva Amato non viene recepita da nessuno. E i Poli non rilasciano nessuna documentazione che sostituisca il permesso di soggiorno in attesa di rinnovo, siamo costretti a venire a Vicenza, ma queste cose vanno spiegate. L’immigrato deve essere aiutato, siamo stanchi di essere presi in giro e chiediamo di confrontarci con il prefetto al più presto». Senegalesi, bengalesi, marocchini, extracomunitari dell’est europeo, ma soprattutto africani, tutti insieme al grido: «essere immigrato non è una colpa». Un variopinto corteo che ha sfilato per viale Mazzini, scortato dagli uomini della polizia e che ha congestionato il traffico all’altezza della rotatoria di viale Milano, facendo fare gli straordinari agli uomini della polizia locale. Così tra canti, balli e rivendicazioni al megafono, gli immigrati hanno chiesto tempi certi per il permesso di soggiorno. Concetti che alla fine della manifestazione una delegazione ha ribadito al questore vicario D’Andrea che ha ascoltato le istanze degli stranieri. Ma c’è anche da registrare, secondo alcune testimonianze, che dai palazzi nelle vicinanze di Corso San Felice, sarebbe piovuta una manciata di chiodi contro i manifestanti. L’obiettivo non era il corteo d’immigrati, bensì il furgone che chiudeva il corteo da cui proveniva musica ad alto volume come succede spesso in manifestazioni di questo tipo. A margine della manifestazione è l’assessore all’edilizia privata del Comune di Vicenza, Michele Dalla Negra, a commentare la manifestazione degli immigrati. «Sono presuntuosi e arroganti - si sfoga l’assessore - nei loro paesi non esiste neppure l’anagrafe e qui protestano per le lungaggini. Questo non è il paese del Bengodi».

Stranieri. Preoccupazione nei centri della provincia: «Se chiude lo sportello di Vicenza si rischia il black out»
«La Regione ora rifinanzi i Poli»
Il prefetto scrive a Venezia e ai Comuni «Con la sanatoria altri 10 mila arrivi»

di Eugenio Marzotto

Continuare con l’esperienza dei Poli, far capire che la direttiva Amato deve essere applicata. È il prefetto di Vicenza a prendere l’iniziativa con una lettera indirizzata alla Regione e agli assessori dei sette punti della provincia dove si raccolgono le pratiche degli immigrati, per dire che il progetto pilota deve continuare. Condizione essenziale per supportare la questura nel rilascio dei permessi di soggiorno. Ieri era stata l’assessore ai servizi sociali del comune cittadino, Patrizia Barbieri, a dichiarare che Vicenza non metterà più un soldo per finanziare il polo della città. Sulla stessa posizione si erano schierati in passato altri amministratori sparsi in provincia, da Bassano a Schio, passando per Chiampo. «Il problema - avevano dichiarato i comuni - è che i ritardi di sette, otto mesi da parte della questura nel rilasciare i permessi, continuano, nonostante gli sportelli periferici. Di conseguenza gli stessi Poli non riescono più a smaltire le pratiche e la loro funzione è inutile. Senza contare - ricordava la Barbieri - che la Regione difficilmente rifinanzierebbe il progetto di fronte alle inefficienza del servizio». Invece, secondo il prefetto, la questura, Cgil, Cisl e Uil, bisogna tentarle tutte per mantenere in piedi il servizio, «in caso contrario la questura si paralizzerebbe». È esplicito il prefetto nella sua lettera alla Regione, spedita per conoscenza anche a tutto il mondo produttivo vicentino: «Bisogna valutare con ogni migliore predisposizione, la possibilità di finanziare per il 2007 l’attività svolta in questa provincia dai Poli di segreteria sociale». Una necessità, secondo il prefetto, visto che il governo ha deciso di procedere all’ammissione di altre 350 mila domande presentate dagli extracomunitari, di cui circa diecimila riguardano la provincia. «È evidente la necessità che i Poli continuino il loro proficuo lavoro, sia per i permessi di soggiorno che per i ricongiungimenti familiari», insiste Mattei che ricorda come in questo momento, in cui i tempi d’attesa per ottenere il permesso sono lunghi, i cedolini rilasciati dalla questura sostituiscono il documento, secondo quanto recita la direttiva Amato. È preoccupato l’assessore ai Servizi sociali di Schio, Emilia Laugelli, per quello che può capitare dopo il 31 dicembre di quest’anno, data di fine convenzione tra questura, comuni e Regione. «Dobbiamo ripristinare le stesse condizioni che ci sono state fino all’altro ieri. La questura deve evadere più pratiche possibili e la Regione deve mantenere il finanziamento. Se non ci sono questi presupposti - insiste la Laugelli - i Poli sono destinati a chiudere. A meno che non si trovino altre forme di finanziamento». I comuni, secondo l’assessore di Schio, non vogliono chiudere il servizio dopo che per lungo tempo si erano risolti i problemi dei tempi d’attesa, «ma servono condizioni precise, anche perché la nuova sanatoria dei 350 mila costringerà ad altro lavoro». E poi c’è la questione Vicenza, la volontà da parte dell’assessore Barbieri di non destinare più soldi al Polo cittadino. «Se Vicenza non facesse più da capofila - commenta la Laugelli - sarebbe un guaio per tutti i comuni, perché l’intero sistema di informatizzazione di trasmissione dati è convenzionato con il comune di Vicenza. Se non ci sarà la città che faremo?».


I dati del Ministero. Le procure del capoluogo e di Bassano nel 2005 hanno investito 800 mila euro
Sono 400 i vicentini intercettati
Numeri bassi per il Veneto dove la spesa è di 9 milioni

di Diego Neri

Sono state quasi 400 le persone intercettate nel Vicentino lo scorso anno. Un numero non elevato, considerati i dati del Veneto, così come la spesa per le procure, che nella provincia berica non ha superato gli 800 mila euro. I valori sono quelli stilati dal ministero della Giustizia e sono quanto mai d’attualità in questi giorni nei quali la questione intercettazioni è quanto mai all’ordine del giorno. È di venerdì il decreto del governo per punire quelle illegali, materia di scandalo e scontro politico oltre che di inchiesta per la procura di Milano che sta indagando sul caso Telecom. E dai dati emerge come in provincia il ricorso ai moderni sistemi d’indagine non sia, a detta degli esperti, esagerato o fuori norma. Anzi. I 295 intercettati - tecnicamente si chiamano “bersagli” dalla magistratura vicentina - ai quali vanno aggiunti i 101 di Bassano sono però stati ascoltati da polizia, carabinieri e finanza e in maniera del tutto legittima, allo scopo di fare chiarezza e di scoprire gli autori di gravi reati. Complessivamente i magistrati in provincia hanno avanzato ai giudici 444 richieste, ottenendo oltre 840 decreti (è evidente che un indagato può essere ascoltato su più telefoni). In questi numeri vanno comprese anche le intercettazioni ambientali, ottenute attraverso cimici o microfoni direzionali. Questa tipologia di indagine, più costosa rispetto all’ascolto delle chiamate, però non è molto utilizzata: lo si evince dalla spesa complessiva, che è di circa 2 mila euro in media per ogni bersaglio. Da questo punto di vista la procura di Bassano è la più economica, con una spesa pro-capite di 1700 euro. In queste cifre sono compresi anche i 22 euro giornalieri per il noleggio delle apparecchiature. In Veneto sono state intercettate nel corso del 2005 poco più di 3mila persone, con un costo totale che sfiora i 9 milioni di euro. La parte del leone la fa Venezia, dove hanno sede però anche la Direzione distrettuale antimafia e la procura dei minori: in laguna i bersagli sono stati quasi 800, per una spesa di tre milioni e mezzo. A seguire, come costi, Verona (525 intercettati per 1,7 milioni) e Padova (878 bersagli per 1,4 milioni). Bassano è la procura più economica (175 mila euro) e col minor numero di persone ascoltate, anche per motivi di popolazione che insiste nel distretto. I dati dei primi mesi del 2006 sarebbero in linea con quelli dell’anno precedente e farebbero del Veneto, a parità di popolazione, una delle regioni in cui la magistratura fa meno affidamento alle intercettazioni per portare a termine le indagini. In passato, erano più volte arrivate indicazioni a ridurre ulteriormente il ricorso a questo tipo di tecnologia, soprattutto per questioni di bilancio. Peraltro, in varie occasioni è stata sottolineata l’importanza dell’ascolto per portare a termine inchieste scottanti e delicate, o per chiarire i diversi ruoli degli indagati.


Quinto V. A un anno e mezzo dall’ultimo «no» del comune, sul tavolo del sindaco una nuova proposta
Nuovo villaggio Usa a Quintarello? La giunta deciderà entro dicembre

di Tommasino Giaretta

Vicenza e Quinto sempre più Usa-dipendenti? Sembrerebbe proprio il caso. Un anno e mezzo fa, la giunta di Quinto aveva chiuso la finestra in faccia agli americani i quali potrebbero adesso rientrare a palazzo Thiene nientemeno che dalla porta principale. La notizia della possibile realizzazione di un villaggio americano di 215 alloggi in località Quintarello ha avuto in paese l’effetto di un fulmine a ciel sereno. E non poteva essere diversamente considerato che nel febbraio 2005 la giunta del sindaco Secondo Pillan aveva detto «no» al mega villaggio a stelle e strisce. Cosa è mutato dunque in questo lasso di tempo? Principalmente il sito, in quanto non si tratta più di edificare il villaggio nella zona a ridosso dell’abitato della frazione di Valproto con la conseguente necessità di dover rivedere completamente l’assetto viario mediante la costruzione di un nuovo ponte sul Tesina. La nuova zona individuata in via Quintarello dall’impresa Pizzarotti & C. Spa di Parma (aggiudicataria del bando di selezione dell’ufficio contratti immobiliari della Setaf) è un’area di 220 mila metri quadrati a sud, fra l’argine destro del Tesina e l’autostrada Valdastico al confine con Marola, a un tiro di schioppo dalla Ca’ Balbi e tremendamente comoda alla caserma Ederle. Manca solo il consenso della giunta di Quinto e l’affare può dirsi fatto. A pensare positivo è lo stesso sindaco Pillan il quale ha subito avviato i contatti con la presidente della Provincia, Emanuela Dal Lago e con le forze politiche presenti in consiglio dovendo dare entro l’1 dicembre una risposta definitiva. «Questa è un’occasione unica - esordisce il sindaco Pillan - per ripensare e riprogettare il futuro della nostra comunità alla luce delle nuove esigenze, delle mutate condizioni economiche e sociali, delle direttive e delle indicazioni dei piani provinciali e regionali di coordinamento visti nel più ampio contesto al fine di essere parte integrante di Vicenza, intesa come “città diffusa”, considerato che noi siamo un comune di cintura il quale interagisce in modo armonico con le problematiche legate ai trasporti, alla viabilità, alle aree produttive e residenziali». Ma non la preoccupa l’impatto che può avere un piano residenziale così concepito ad esclusivo interesse delle famiglie dei militari Usa? «Appare opportuno in questo scenario - risponde Pillan - estendere il confronto anche al più ampio ambito dello studio per un nuovo piano di assetto del territorio attraverso un’attenta valutazione del tessuto urbano, del paesaggio rurale e delle condizioni socio ambientali del nostro territorio». Ma quali sarebbero i reali benefici per Quinto da una simile operazione, oneri di urbanizzazione e Ici a parte? «La posta in gioco - conclude il sindaco - è molto alta e appetibile. Penso all’opportunità di assicurare un ulteriore sviluppo alla comunità, penso ai nuovi bisogni dei cittadini e dei giovani, penso alla possibilità di offrire nuovi servizi, penso a un possibile miglioramento del loro stile di vita». Il sindaco Pillan si dichiara dunque possibilista, ma prima di pronunciarsi in modo inequivocabile cerca il confronto e la collaborazione con le forze di maggioranza, di opposizione e il coinvolgimento della popolazione. Se la risposta agli americani non dovesse essere un «sì» unanime, meglio ottenere un più largo consenso possibile.