23 SETTEMBRE 2004

dal Giornale di Vicenza

Infortuni, si prova con la legge.
A S.Croce un rifugio per disperati.
La 7, ecco il teatrino della politica.
VALDAGNO.Prove pratiche di convivenza.
OVEST Vicentino.L'Ovest ha divorato il territorio.

Infortuni, si prova con la legge
Le richieste degli "invalidi": «Più prevenzione, assistenza e cure» Nel 2003 sono stati oltre 21 mila gli incidenti sul lavoro e 22 i morti. «Cifre e dati , purtroppo, stabili da anni - dice il presidente vicentino dell’Anmil (associazione mutilati e invalidi) - per questo con una nuova norma chiediamo maggiore sicurezza per 22 milioni di lavoratori e per 967 infortunati»

di Chiara Roverotto

Sicurezza rimane la parola d’ordine e, quando si parla di infortuni sul lavoro, diventa quella più importante. Ma sono sufficienti solo alcune cifre per capire che spesso viene disattesa: nel 2003 gli infortuni sul lavoro nel Vicentino sono stati 21.649, con 22 morti. «Negli ultimi anni le statistiche non si muovono di molto - afferma Massimo Benetti, presidente provinciale dell’Anmil, Associazione nazionale mutilati e invalidi sul lavoro - gli incidenti aumentano in dodici mesi per poi diminuire in quelli successivi, ma non siamo mai scesi sotto i ventimila e questo dà il polso della situazione». Quando si parla di incidenti sul lavoro il primo comparto considerato ad alto rischio è l’edilizia: sui ponteggi accade la maggior parte degli infortuni, seguita dal settore metalmeccanico e dall’agricoltura che, pur non avendo molti addetti, almeno nel Vicentino, spesso aumenta la lista dei morti. L’Anmil, da anni, sta chiedendo più tutela e una maggiore sicurezza, ed ora dalle parole è passata ai fatti: ieri mattina, infatti, è stata depositata alla cancelleria della Corte di Cassazione di Roma una proposta di legge di iniziativa popolare con la quale si vuole delegare il Governo ad emanare un nuovo testo unico sull’assicurazione Inail contro gli infortuni sul lavoro. «Si tratta di una proposta molto attesa - spiega il presidente provinciale Massimo Benetti - che vuole dare voce alle necessità di sicurezza e prevenzione avvertite dagli oltre 22 milioni di lavoratori iscritti all’Inail , ma soprattutto ai 967 mila rimasti già invalidi sul lavoro e dai 124 mila orfani e vedove che chiedono un’assicurazione migliore e più rispettosa della dignità dei lavoratori». In sostanza la legge chiede maggiore prevenzione , più assistenza, cure personalizzate , maggiore sostegno e attenzione al reinserimento degli infortunati «Oltre - aggiunge ancora Benetti - ad una considerazione particolare per le piccole invalidità e per i problemi dei familiari delle vittime , in una prospettiva che è del tutto estranea al testo unico del 1995, che riteniamo sia stato persino peggiorato dalle recenti modifiche, disorganiche ed episodiche». Se spesso tra sindacati e imprenditori si parla di “tolleranza zero” in merito agli incidenti e ai rischi che riguardano determinate produzioni, il concetto non vale sempre. Basta pensare alle piccole aziende, dove la presenza sindacale è inesistente e il lavoro nero una realtà: la legge sulla sicurezza rimane una chimera, un oggetto sconosciuto, e allora ecco la proposta di modifica del testo unico.
«Vorremmo - spiega Massimo Benetti - assicurare più attenzione ai familiari superstiti con norme esplicite che consentano all’Inail e alle regioni - che ora operano in convenzione - di intervenire immediatamente ad alleviare il loro disagio , in particolare verso i giovani, ai quali devono essere forniti borse di studio e prestiti d’onore. Basta pensare che per la costituzione di una rendita ai superstiti servono in media 14 mesi: un’eternità durante la quale la famiglia della vittima rimane senza reddito con un ridotto sostentamento economico». Inoltre, la nuova proposta di legge prevede incentivi per la prevenzione in modo da riconoscere l’impegno effettivo delle condizioni di lavoro , con concrete riduzioni dei premi assicurativi. «In pratica - conclude Benetti - la prevenzione delle malattie professionali dovrà giovarsi di una stretta collaborazione tra Inail, Inps e i servizi territoriali di prevenzione che integrino tra loro obbligatoriamente tutte le informazioni». Infine, una particolare attenzione è rivolta alle piccole invalidità, quelle riconosciute fino al 15 per cento, per verificare l’opportunità di ridurre il grado minimo per la liquidazione in rendita in considerazione di una maggiore ristrettezza delle tabelle introdotte da un decreto legislativo del 2000.


A S. Croce un rifugio per disperati
Misteriosi inquilini hanno dormito e bivaccato nella storica porta
La scoperta ieri mattina durante un sopralluogo di Comune e Alpini in vista del restauro. Al terzo piano una stanza con letti e cucina, dove hanno vissuto persone senza luce e acqua
Sui muri disegni, croci, calendari con fotografie sexy e la grande scritta: «Bucaresti 2004»

di G. Marco Mancassola

Chi credeva che porta S. Croce fosse da anni in stato di abbandono totale si sbagliava. In quello che rappresenta il migliore esempio berico di fortificazione militare di epoca scaligera, datata quattordicesimo secolo, all’insaputa di tutti, a cominciare dal Comune che ne è proprietario, hanno vissuto fino all’altro giorno dei poveri disperati, si immagina originari dell’Europa orientale, che si sono ricavati un rifugio fra il terzo e il quarto piano della porta, dove hanno vissuto senza acqua e luce, senza servizi igienici, in condizioni precarie, in locali inagibili, accanto a soppalchi franati al piano terra da anni. La sconcertante scoperta è stata fatta casualmente ieri mattina, in occasione di un sopralluogo concordato fra l’assessorato ai lavori pubblici del Comune e i rappresentanti dell’associazione alpini vicentina per iniziare a studiare insieme un eventuale recupero e riutilizzo del monumento. La visita è stata condotta dall’assessore ai lavori pubblici Marco Zocca, con il capodipartimento dei lavori pubblici Umberto Rossetto, e dal presidente delle penne nere vicentine Giuseppe Galvanin, accompagnato dall’architetto alpino Luciano Cherobin, già fra i protagonisti del recupero del torrione di viale D’Alviano. Con loro anche il consigliere provinciale Nereo Galvanin e il collega in consiglio comunale Ivo Furlan. L’ex fortificazione militare si sviluppa su cinque piani, cui si aggiunge un abbaino, articolati in spazi angusti e collegati l’uno all’altro da ripide scale di legno. La prima sorpresa si presenta all’ingresso: girata la chiave nella toppa e aperta la porta mangiata dalle tarme, fa capolino un passeggino per bimbi. Dal soffitto pendono ragnatele impolverate, gli intonaci dei muri sono scrostati, i gradini della scala che porta al primo piano scricchiolano paurosamente a ogni passo. Si sale e ci si imbatte in un mucchio di macerie, quanto è rimasto del crollo di un soppalco registrato anni fa, rammendato alla meno peggio con una tettoia di lamiera per evitare infiltrazioni di acqua. In mezzo ai mattoni, alle tegole e alle piastrelle ci sono rifiuti e sacchi della spazzatura, circondati da un forte odore di urina, escrementi e guano di piccione. La luce del sole piove dall’alto, illuminando i cunicoli, altrimenti destinati al buio più completo. Si sale ancora, percorrendo corridoi delimitati da reti metalliche e oppressi da liane di polvere aggrappate a soffitto e pareti. Al terzo piano ecco quello che nessuno si aspettava: in una delle stanze più grandi e meno disastrate è stato ricavato una sorta di monolocale, arredato con un letto a due piazze e una brandina, e gli elementi di un cucinotto rudimentale. Le finestre sono tappate da imposte di fortuna, mentre sui muri ci sono decorazioni a sfondo religioso, con grandi croci, immagini sacre e invocazioni a Dio, circondate da sagome di uccelli e da una cornice rosso acceso. Sul resto della misera stanza si vedono grappoli di pomodori appesi accanto a un calendario con fotografie sexy. Ci sono anche delle scritte, impresse con gessi colorati. Una indica un luogo (Bucaresti) e una data (20 giugno 2004), lasciando intuire la possibile provenienza romena dei misteriosi inquilini. Accanto altre scritte: «un mondo sincero», «un mondo pulito», «questo angolo è mio». I letti hanno cuscini, lenzuola e coperte. Per terra ci sono scarpe, calzini, vestiti. Sul lato opposto c’è un lavabo, che non riceve acqua dall’acquedotto, ma da una tanica di plastica. Su un tavolino ci sono brick di bevande, bottiglie di vino, resti di cibo. Accanto, sacchi della spazzatura rimasti aperti dopo essere stati riempiti a metà. Da una finestra si sale su uno dei bastioni. Al piano superiore c’è un’altra stanza, disadorna, attraversata da un lungo cavo su cui sono stesi i panni. L’aria è inondata da forti odori di calzature e indumenti sporchi. Una volta fatta la scoperta è stato subito informato il comando di polizia municipale, che ha spedito una pattuglia per un sopralluogo, ripetuto anche in serata: dei misteriosi visitatori, soltanto i segni del loro passaggio. Nulla di più. Una squadra di tecnici di Amcps, nel pomeriggio, ha provveduto a sigillare ogni possibile ingresso, come spiega l’assessore Zocca. Se mai qualcuno si farà vivo, dovrà bussare in municipio. «Lunedì erano state cambiate le serrature delle varie porte - conclude l’assessore - dopo che erano giunte segnalazioni di porte rimaste aperte. Da questo possiamo dedurre che questi inquilini siano stati presenti al massimo fino a domenica».


Paralisi in via Vaccari. Da cento giorni il Consiglio di circoscrizione salta per dissidi di bottega
La 7 , ecco il teatrino della politica
E dalla minoranza parte un siluro Mozione di sfiducia al presidente

di Marino Smiderle

Forse l’hanno dimenticato, ma i 20 consiglieri (21 col presidente Davide Scala, dell’Udc) della circoscrizione 7 abitano tutti nello stesso quartiere. O, meglio ancora, tutti hanno ricevuto il mandato dai residenti per tutelare gli interessi di Ferrovieri-Sant’Agostino. Il risultato, dopo un anno e rotti dal giorno dell’insediamento, è penoso: nella sede di via Vaccari sono convinti di essere a Montecitorio e ragionano badando più alla logica (?) di partito che al buon senso richiesto dai residenti. Poco da sorprendersi, dunque, se da cento giorni il Consiglio di circoscrizione non riesce a riunirsi per mancanza cronica (quattro sedute di fila) del numero legale. Mezzogiorno, sede della circoscrizione 7 di via Vaccari, primo piano. Gli 8 consiglieri di minoranza hanno convocato un incontro per spiegare cosa intendono fare, di fronte, dicono, «all’ignavia, all’impotenza e all’arroganza della maggioranza». Vorrebbero riunirsi nella sala consiliare, «visto che le riunioni ufficiali non riusciamo mai a farle». Mario Cazzavillan (Ds) e Franco Zambon (Margherita) trovano la porta chiusa e vanno a chiedere le chiavi all’addetto. Tornano con la faccia scura: «Per entrare in sala consiliare dobbiamo pagare 35 euro, è il regolamento, ci hanno spiegato». Non capiscono ma si adeguano e, insieme agli altri della minoranza, ripiegano sulla sala riservata ai gruppi consiliari. Vanno così le cose, alla 7, che non è un canale tv ma la circoscrizione più turbolenta della città. Antonio Lago (Margherita) inizia a distribuire un documento che, già dal titolo, si capisce non essere una carezza: «Mozione di sfiducia nei confronti del presidente della circoscrizione 7».
«In questi 16 mesi di attività - attaccano gli otto firmatari - abbiamo assistito al continuo ripetersi di sedute andate deserte per liti interne alla maggioranza di centrodestra. Dal mese di giugno il Consiglio è paralizzato, mentre i cittadini aspettano ancora risposte sulle emergenze di questo ultimo anno, quali la riqualificazione delle vie Rossi e Campesani, la soluzione alla precarietà nell’utilizzo del campo da calcio del dopolavoro ferroviario di via Corridoni e il paventato ampliamento del canile di strada di Gogna». Piccola spiegazione per i non addetti ai lavori. In circoscrizione ci sono 20 consiglieri, più il presidente. Il numero legale è 11: dal momento che i consiglieri di maggioranza sono 12 (più il presidente), non è un problema portare all’ordine del giorno e approvare tutti i punti possibili e immaginabili. Il guaio è che due consiglieri di An, Adriano Carollo (peraltro ex presidente della medesima circoscrizione) e Alex Rancan, hanno proclamato una sorta di sciopero delle sedute. E l’ultima volta, con il leghista Eugenio Colbacchini assente giustificato, ha marcato visita anche un consigliere di Forza Italia rendendo impossibile il traguardo del numero legale.
«Noi pensavamo - osserva Lago - che il signor Scala prendesse atto della situazione e decidesse di dimettersi. Non l’ha fatto e, per questo, siamo noi a presentare una mozione di sfiducia». «Anche perché - attacca Luigi Lumasini, della Margherita - questo signore si prende 2.200 euro lordi al mese dalla collettività». Entro un mese, massimo, il Consiglio dovrà tornare a riunirsi per votare questa mozione di sfiducia. E questa sarà la prova d’appello: o la maggioranza si ricompatta e respinge al mittente la mozione; o la minoranza, stavolta garantendo il numero legale, si approva la mozione e manda a casa l’intera compagnia. La goccia che ha fatto traboccare il vaso, dicono i bene informati, è stata la decisione sul canile di strada Gogna. Il presidente Scala, senza sentire il Consiglio e i suoi, avrebbe dato l’approvazione al progetto di ampliamento presentato dal Comune. Carollo, l’ex presidente che aveva fatto campagna contro il canile, si è trovato, per usare un eufemismo, spiazzato. E l’ha giurata, ad un presidente che ha un indice di gradimento in picchiata. Niente da fare, in via Vaccari pensano di essere a Montecitorio. Anche la minoranza, per la verità, ci mette del suo. Il numero legale, con l’apporto dei consiglieri di opposizione, si sarebbe potuto raggiungere. «Ma noi non possiamo renderci corresponsabili di questo andazzo, voluto dalla maggioranza». Per la cronaca, all’ordine del giorno giace, da cento giorni, un contributo da assegnare ad una società sportiva del quartiere. Che resta nel cassetto perché, invece di pensare al bene dei Ferrovieri, i consiglieri di circoscrizione pensano a scimmiottare le baruffe del potere politico da cui dipendono


Prove pratiche di convivenza
Maglio di Sotto, un quartiere “invaso” dagli extracomunitari I vecchi abitanti assistono perplessi alla trasformazione I “nuovi” si sentono giudicati ma sono pieni di iniziativa

di Marco Scorzato

C'è un quartiere, a Valdagno, che più degli altri ha mutato volto nell'ultimo anno. E sta facendo discutere. Un quartiere tra i più movimentati della città: una piazzetta al centro, racchiusa tra la statale, via San Lorenzo e Vicolo Valle; tutto intorno negozi, bar, ristoranti, una fermata dell'autobus. È Maglio di Sotto, col suo viavai di pensionati e mamme con le carrozzine, di lavoratori e studenti pendolari. Un formicaio di vita, che dall'inizio del 2004 si è tinto di colori nuovi, si è cosparso di aromi esotici: quelli di tanti, diversi gruppi etnici che in quella zona hanno concentrato le loro attività commerciali, ristoranti, kebab, call center. Maglio di Sotto un quartiere dalla spiccata vocazione “cosmopolita”: che non sta passando inosservato, anzi, stimola reazioni, verbali, non sempre di consenso. Lo si percepisce nei bar, ascoltando il disappunto di adulti o pensionati davanti al bancone. Lo si scopre leggendo un'e-mail che, per le bizzarre vie della rete, dalla tastiera di una giovane valdagnese è arrivata fino alla nostra casella di posta elettronica: uno sfogo stizzito per una presenza straniera giudicata a volte “invadente”. Lo si capisce, infine, transitando in quella zona: il valdagnese cammina a fianco dello straniero, chi indifferente, chi ostentando indifferenza.
«Di solito non dicono nulla - osserva Sami Boussorra, tunisino da 4 anni in Italia che ha aperto un bazar lungo la statale -. Ma con lo sguardo qualcuno ti giudica. Io, però, non ci bado, lavoro, rispetto e cerco di farmi rispettare. La cosa positiva è che la mia attività, a contatto col cliente, mi permette di farmi conoscere: vendo un panino ad un ragazzo, lui lo fa assaggiare al nonno, che poi, dopo due giorni varca la porta del mio negozio. È un modo per abbattere le diffidenze». Che però esistono. Nei bar “italiani” il ritornello è frequente: «Qui ci sono troppi stranieri. Fanno come se fossero a casa loro e sarà sempre peggio». Tra i valdagnesi, tutti si professano “non razzisti”, anche quelli che si lasciano andare ad invettive private. Poi, davanti al taccuino del cronista, un po' di bile scema: «Gli stranieri sono sempre di più - esordisce Luigino Guglielmi, sulla cinquantina -. Ormai in questa zona ci sovrastano, anche dal punto di vista commerciale». «Si vedono solo loro in giro - dice perplessa Mara, sessantenne che vive a Maglio di Sotto -, ma dove sono finiti i valdagnesi»?
«Il panorama è davvero cambiato - ammette Luigi, 72 anni-. Non mi piace l'odore di fritto che esce dai loro locali, però non posso lamentarmi, non ho mai avuto problemi». Sentimenti a parte, alla prova dei fatti la convivenza tra italiani e stranieri sta filando tutto sommato liscia. Salvo l'emergere di problematiche inedite: «Dobbiamo pulire il marciapiede davanti al negozio - spiega Amalia, titolare dell'edicola Guzzon -. Alla mattina è spesso unto perché la gente si siede lì, per terra, a mangiare i kebab. Ma lo fanno tanto gli stranieri quanto gli italiani».
«Tempo fa qualche straniero ubriaco ha causato risse e fatto un bel po' di caos che prima non c'era», ricorda una barista, dal caffè che sorge nella piazzetta. «È vero, qualcuno che beve e disturba c'è, ma non solo tra noi stranieri», le fa eco Sony Singh, indiano di 26 anni. «Lo straniero che ha un lavoro - incalza il suo connazionale e coetaneo Sahbi Harjit - se lo tiene stretto, non combina guai rischiando di perdere credibilità. Adesso però c'è crisi e il lavoro scarseggia». Sarà anche per questo che c'è chi si sente in competizione con gli stranieri. «Loro trovano casa e i nostri figli invece fanno fatica», si sfoga Guglielmi. A distanza di trenta metri Boussarra vede le cose al contrario: «Le case ci sarebbero, ma per gli stranieri ci sono tante porte chiuse». Luca Pegoraro, sulla trentina, sta per addentare il kebab appena acquistato: «Io giro il mondo per lavoro - spiega - e sono abituato a vedere tante razze. E a mangiare di tutto: pizza o kebab, mi piacciono entrambi».


Negli ultimi vent’anni le nuove costruzioni hanno consumato oltre un terzo delle aree agricole
L’Ovest ha divorato il territorio
Record a Zermeghedo: «Convertiremo la zona industriale»

di Eugenio Marzotto

Poveri sindaci. Dagli anni dell'abbondanza sono passati agli anni della dieta. Per loro, l'esame di coscienza, quello che impone meno capannoni e più servizi, è già bello che digerito e adesso è l'ora della riconversione, il momento di mettere in pratica quel "più qualità e meno espansionismo". Sempre sia possibile, con casse comunali che piangono e dove nuovo cemento può valere come l'oro. Ici e oneri d'urbanizzazione servono oggi più di ieri a salvare i bilanci comunali: come fare a resistere alla tentazione di non edificare più? Sabato i sindaci dell'ovest vicentino sono tornati a casa più sicuri delle loro incertezze, dopo aver ascoltato per tutta la mattina in villa Cordellina a Montecchio i risultati dell'indagine promossa dall'Accademia Olimpica sul consumo del territorio vicentino dal 1984 al 2002. Un ventennio in cui si sono raggiunti i massimi storici di erosione delle aree verdi e agricole. In Altavalle, da Nogarole a San Pietro Mussolino c'è stato un incremento delle costruzioni del 42%, ad Arzignano del 33,8%, a Montecchio del 36,2%. Tocca a Zermeghedo il record dell'area ovest con il 64% del territorio tolto all'agricoltura per dare spazio ai capannoni. Una via di fuga la sta cercando Giuseppe Castaman, sindaco di Zermeghedo, paese di 1.400 anime (secondo a livello provinciale solo ad Alonte che conta in vent'anni un + 135% di nuove edificazioni) che più di altri sente il peso di un record da abbassare.
«Se qui arrivasse un'azienda disposta a portarmi 200 lavoratori e parecchi introiti legati all'Ici la rifiuterei - dice Castaman - Il lavoro qui è l'ultima cosa che manca. Questo è un paese che durante il giorno raddoppia grazie alle sue 110 attività produttive e dove vivono il 15% di immigrati su una popolazione di 1.400 abitanti». Con un'imposta sugli immobili fissata al 6 per mille («ma l'addizionale Irpef da noi è stata tolta», ci tiene a dire Castaman), il Comune può permettersi una spesa per i servizi che non teme tagli, quello che invece preoccupa è la riconversione di una zona industriale più estesa del centro abitato: «Abbiamo affidato a dei professionisti l'incarico di progettare la riqualificazione dell'esistente con il nuovo strumento urbanistico della Regione. È noto come il modello di sviluppo sia cambiato, molti degli attuali capannoni rischiano di svuotarsi, meglio pensare allora a piccoli interventi, a nuovi insediamenti solo se sono funzionali a questo territorio». E da Zermeghedo parte una proposta con un Castaman pronto ad entrare nella partita del Cis: «Siamo a pochi chilometri da Montebello, perché non riconvertire questa zona industriale in un'area logistica d'appoggio al nuovo centro intermodale?». Piazze, scuole, palestre addio. Il tempo delle grandi opere è finito. Quello che già c'è basta e deve avanzare. Oggi le parole chiave a Montecchio come ad Arzignano è "recupero", "riqualificazione" soprattutto per gli insediamenti residenziali: «Non si tratta di dire no a nuove edificazioni - spiega il sindaco di Montecchio Maurizio Scalabrin - ma di rivedere quello che serve realmente alle persone e quello che invece è funzionale alla speculazione, stesso discorso vale per le zone artigianali. Impensabile ospitare nuove aziende con i criteri di un tempo». Punta sulla pianificazione d'area Stefano Fracasso, sindaco di Arzignano: «Non dobbiamo dimenticare che la dispersione delle aziende ha un costo per i comuni. Oggi invece è fondamentale progettare di concerto le zone artigianali».