23 GENNAIO 2005

dal Giornale di Vicenza

Rissa, cinque militari USA in manette
"Il carcere è allo sbando Manca tutto, è invivibile"
Un impianto per rifiuti ai Ferrovieri.
Hullweck:"E se il sacrificio funziona si potrebbe proporre un referendum"
La Cgil:"Bravo sindaco, ci sei piaciuto"

Furibonda zuffa notturna fra una ventina di americani ubriachi nel parcheggio di un locale di Vicenza est
Rissa, cinque militari Usa in manette
Denunciato un agente della Ederle: voleva impedire l’intervento dei Cc

di Diego Neri

Cinque militari americani in carcere per rissa. E un agente sdella Militar Police della Ederle denunciato perché ha tentato di impedire ad un carabiniere di arrestare uno dei facinorosi, e per averlo ingiuriato. È questo l’esito di una furibonda zuffa scoppiata nella notte fra venerdì e ieri all’esterno di una birreria di Vicenza est. Una lite causata dall’alcol bevuto in quantità industriale da parte del gruppo, formato da una ventina di americani, e da qualche parola di troppo. Gli statunitensi sono tornati da poco dalla Germania, dove hanno seguito un corso di formazione prima di partire per l’Afghanistan. Avevano deciso di passare la serata di venerdì a divertirsi, ma per loro è finita malissimo: una quindicina sono riusciti a scappare, mentre dei cinque arrestati uno è piantonato in ospedale. Le accuse sono rissa aggravata e violenza e resistenza a pubblico ufficiale: due carabinieri sono rimasti feriti. In carcere ci sono al momento James Austin, 19 anni, Marcelo Diaz, 25, Berry Ketcham, 19, Terrence Wyatt, 18, e in ospedale piantonato dai carabinieri John Pierce, 24. La rissa è scoppiata poco dopo le 4 in via Zamenhof. La birreria "Seven", gestita da Luca e Mario Pertile, aveva da poco chiuso i battenti e gli americani si erano ritrovati nel piazzale. Si tratta di giovani fra i 18 e i 25 anni, tutti di stanza alla Ederle, dove sono ritornati dopo la dura esperienza tedesca. In primavera partiranno per il Medio Oriente. Dopo qualche parola di troppo sono volati spintoni e pugni. In breve è nata una zuffa che non ha visto due fazioni avversarie, ma un pericoloso tutti contro tutti. Dopo l’allarme, in via Zamenhof è arrivata una pattuglia dei carabinieri della Setaf: i due militari hanno cercato di portare la calma nel gruppo, ma erano decisamente troppo pochi rispetto agli statunitensi che, per i fumi dell’alcol, non volevano sentir ragioni. Anzi, i due carabinieri sono stati malmenati e alla fine sono dovuti ricorrere alle cure del pronto soccorso per alcune ferite: guariranno in 8 e 6 giorni. Sono stati subito chiamati rinforzi. Davanti al "Seven" sono arrivate due pattuglie del radiomobile, una della stazione di Camisano e una volante della questura. Poco dopo è giunta anche la Militar police (Mp), la polizia americana che è notoriamente molto severa. Una quindicina di militari Usa sono fuggiti a piedi, e le forze dell’ordine hanno bloccato i cinque rimasti dopo una colluttazione. Uno di loro era in condizioni tali (fra le botte subite e l’alcol) da rendere necessario l’intervento del Suem e il ricovero. Per tutti sono scattate le manette per rissa e resistenza. L’azione repressiva dei carabinieri ha attirato molti curiosi, fino a quando gli arrestati non sono stati portati via. I militari del tenente Dotto hanno denunciato anche K. E., 24 anni, agente della Mp: anziché aiutare le forze dell’ordine italiane a bloccare i facinorosi li ha ostacolati, si è rifiutato di intervenire e si è frapposto. È accusato di favoreggiamento e ingiurie. I carabinieri hanno avvisato il pm Giorgio Falcone, che ha già chiesto il gip la convalida dei provvedimenti e ha fatto richiesta di arresti domiciliari alla Ederle. I cinque in manette rischiano l’espulsione dall’esercito, mentre dai residenti di via Zamenhof giunge qualche lamentela: «I titolari dei locali sono impeccabili, rispettano norme ed orari. Ma le risse nei parcheggi sono frequenti».


La denuncia
«Il carcere è allo sbando Manca tutto, è invivibile»

(d. n.) Una situazione esplosiva. «Va a finire che accade qualcosa di grave. Si tampona, si tampona, ma siamo al culmine. Il carcere S. Pio X, come buona parte delle strutture penitenziarie del Triveneto, è allo sbando più completo. E la soluzione dei problemi non si vede, perché non ci sono soldi, ma neanche la volontà di stanziarne a sufficienza, nè programmazione». Francesco Colacino, agente penitenziario in servizio nella struttura di via Dalla Scola e segretario nazionale del Cnpp, il maggior sindacato di categoria, non è nuovo a queste denunce. Ma quella di questi giorni è particolarmente veemente, anche perché si dice pronto a segnalare la situazione ad Ulss e procura. «Un ente privato sarebbe stato multato nelle condizioni in cui versano certi ambienti del S. Pio X. È una vergogna che una struttura pubblica, che dovrebbe dare l’esempio, sia la prima a non rispettare le norme». Ma le questioni aperte sono numerose.
Acqua calda. Per una settimana, per la rottura di una caldaia, l’intero carcere è rimasto senza acqua calda. «Nonostante i fondi stanziati per gli interventi urgenti, che dovrebbero essere effettuati nel giro di qualche ora - sbotta Colacino - abbiamo atteso a lungo gli operai. Col risultato che tutti i detenuti e la cinquantina di agenti che vivono nella struttura hanno dovuto lavarsi al freddo, con tutti i problemi igienici conseguenti». La riparazione è stata compiuta l'altrieri.
Mensa agenti e cucina detenuti. È una delle questioni più spinose, che si trascina da tempo. «Fili pendenti, piastrelle rotte, muffa sui muri. Dal punto di vista igienico le due sale sono da chiudere. Provveditori e ministro, dopo le richieste nostre e dei parlamentari, hanno promesso parecchi mesi fa fondi e interventi. Il tempo passa, la situazione peggiora, e non c’è ancora un progetto».
Intercinta. Anche sulla necessità di ristrutturare l’intercinta (cioè il muro perimetrale con le garitte per sorvegliare spostamenti interni e per scongiurare le evasioni) Colacino sottolinea che le prime richieste risalgono a molto tempo fa. «Le garitte non sono praticabili, ci sono fili elettrici volanti e piove dentro. Un agente, quest’estate, si è ferito perché si era staccato un pezzo di lamiera. Ci avevano promesso 500 mila euro un anno fa, mai visti. Per questo, come avvenuto altrove, abbiamo chiesto di sospendere questo servizio e di sostituirlo con una pattuglia che faccia la ronda in auto, fuori dalle mura. E invece niente».
Carenza di agenti. Da anni il S. Pio X lamenta una carenza di agenti di polizia penitenziaria che non consente di coprire adeguatamente i turni e costringe i presenti a straordinari che spesso non vengono retribuiti. Per questo il ministero aveva disposto l’invio di 50 nuovi poliziotti. «Ma ne sono arrivati 20 e degli altri 30 non c’è più traccia».
Ufficio scorte e piantonamenti. Si tratta di una questione molto sentita per gli agenti. «Molti chiedono, per un periodo, di essere trasferiti alle scorte. Non ci sono mai stati problemi, è un servizio che effettuiamo a turno. Ad un agente non è stato concesso, poiché - solo per lui - è stata chiesta un’autorizzazione per una patologia di cui anche altri soffrono. Ed è stato escluso. Gli altri no. È un problema che ha creato tensioni e malumori».
Il direttore. La direttrice Maria Grazia Bregoli è stata trasferita a fine 2004 a Brescia. «Di fatto mancava da tre anni, per altri incarichi, e abbiamo sempre avuto direttori in missione per qualche mese. Chissà quando ne arriverà uno di stabile. In questo modo, i sindacati non hanno possibilità di contrattare, e i problemi restano nel cassetto».
Telefono. Nell’ufficio degli ispettori di polizia giudiziaria manca un telefono, che non permette loro di mettersi in contatto con la procura. «Lo chiediamo da due anni, ci dicono che non ci sono i soldi per comprare un apparecchio. Il computer è vecchissimo. Come si fa a lavorare così?».
Il sovraffollamento. È l’eterno problema del S. Pio X. «La sezione infermeria è chiusa perché i lavori sono stati sospesi per la mancanza di fondi. Così com’è, ora il carcere potrebbe ospitare 95 detenuti. Al momento, sono 280 - conclude Colacino -. La situazione all’interno è invivibile. Chiediamo aiuto alla cittadinanza e alle istituzioni».


Anche scarti pericolosi . Il progetto della società Wisco è depositato in Comune: mercoledì assemblea
Un impianto per rifiuti ai Ferrovieri
Arsenale: si tratteranno 250 tonnellate al giorno

di Piero Erle

La società è nazionale, si chiama Wisco ed è al 51% dell’Enel e al 49% di Trenitalia: ha depositato in Regione la richiesta di realizzare un "Sistema integrato per la gestione dei rifiuti speciali liquidi del Veneto". In tutto quattro impianti, di cui due destinati a trattare anche rifiuti pericolosi. E tra questi ultimi c’è quello proposto per Vicenza. L’attenzione della Wisco e dei progettisti della Progeam (Rovigo) è caduta infatti sull’Arsenale, le Ogr-Officine grandi riparazioni, dove le Ferrovie giocano in casa e dove da trent’anni esiste già un impianto di depurazione al servizio delle stesse officine ferroviarie, che hanno bisogno di trattare circa 50 tonnellate al giorno di rifiuti liquidi. Solo che adesso la società Enel-Fs vuole guadagnarci, trasformandolo in un impianto cinque volte più produttivo - per 250 tonnellate al giorno - e mettendolo a servizio delle industrie venete. La Wisco sottolinea che infatti il Veneto esporta (in Lombardia, Friuli, Emilia, Campania) circa 250 mila tonnellate l’anno di rifiuti speciali industriali. E con il suo sistema di 4 impianti punta a conquistare parte di questo mercato, portando all’impianto dei Ferrovieri circa 200 tonnellate al giorno di rifiuti liquidi (oltre alle 50 ’interne’). Anche se le cifre riportate dalla Progeam dicono che la provincia di Vicenza già oggi in realtà ’importa’ rifiuti di questo tipo dalle altre zone venete (produce 320 mila tonnellate, ne tratta 377 mila). Che rifiuti liquidi arriverebbero a S. Agostino? Il progetto prevede di utilizzare sistemi di trattamento biologico e fisico-chimico per rifiuti liquidi derivati dalla lavorazione di petrolio-gas-carbone, da lavorazioni chimiche, di pitture-vernici, industrie fotografiche e dei metalli, delle plastiche, degli oli e dei solventi, e da impianti di trattamento di rifiuti solidi. Il tutto ristrutturando l’attuale impianto, con un piccolo ampliamento di circa 200 metri quadri. Sono previsti in tutto 16 serbatoi di stoccaggio in cui mettere i rifiuti divisi per tipologia (reflui alcalini, acidi, rifiuti ad elevato arco organico, emulsioni oleose, fanghi), due vasche di ’equalizzazione’ dei materiali e poi gli impianti di trattamento sotto i capannoni. La lavorazione prevede processi di disoleazione, omogeneizzazione, acidificazione, coagulazione, sedimentazione ed essiccamento. Ne uscirebbero fanghi (3 tonnellate al giorno di fanghi pressati e 10 tonnellate al giorno di fanghi con contenuti chimico-fisici), ed ’effluenti’ da smaltire inviandoli al depuratore di S. Agostino. L’impatto dell’impianto, sostengono i progettisti, sarebbe assolutamente "accettabile", e cioè nei limiti di legge. I fumi vengono abbattuti con filtri a carboni attivi e con un sistema ’scrubber’. Tutte le acque sarebbero trattate, comprese quelle di ’prima pioggia’, prima dello scarico verso il depuratore (cui sarebbero inviati 250 mila litri al giorno). Il traffico? Undici camion al giorno, valutano i progettisti, rispetto agli 80 camion all’ora che circolano in zona S. Agostino. Ma poi aumenteranno i rifiuti in arrivo via treno e non via gomma. Il progetto è depositato in Comune. L’approvazione spetta alla Regione, ma l’iter è solo all’inizio. E si parte, per legge, con un’assemblea pubblica in cui i progettisti risponderanno a tutte le domande dei cittadini. L’appuntamento è mercoledì 26 alle 18 nella sala dei chiostri di S. Corona


Hüllweck: «E se il sacrificio funziona si potrebbe proporre un referendum»
Sorrentino: «Chiediamo scusa ai cittadini, ma solo così si farà chiarezza»

(g. m. m.) «È un atto coraggioso, impopolare, che non ci porterà un voto in più. È il tentativo di chiarire una volta per tutte se fermare il traffico serve o meno». Parola di primo cittadino. Nemmeno il sindaco Enrico Hüllweck godrà di bonus, anche lui come i suoi assessori andrà a piedi nella settimana di paralisi totale. «Già stanno arrivando le lettere di protesta, ma non faremo marcia indietro - spiega -. Nove ore di pausa sono un arco di tempo sufficiente per fare la prova del nove: se l’aria si pulirà drasticamente, in modo vero, allora poi ci interrogheremo se il sacrificio vale la candela. A quel punto, vista la gravità della situazione, si potrebbe anche fare un referendum per chiedere ai cittadini se sono disposti, per la salute, a sopportare una sorta di blocco permanente». Vicenza si avvia a immolare la mobilità urbana per la salute dei suoi cittadini, un test che mai nessuno ha osato, che potrebbe diventare esempio per altre realtà, per gli esperti, per le industrie automobilistiche. «È il test del futuro - prosegue Hüllweck -. Fermarsi per una sola domenica è una barzelletta, non serve a niente. Oggi abbiamo solo questo sacrificio: se non funzionerà, significa che c’è un fattore x che ci sfugge. Mi rendo conto che è un provvedimento da far rizzare i capelli, ma quando ci vuole, ci vuole». Spesso è stato tirato per la giacca dagli ambientalisti nella sua veste professionale di medico ed è dalla medicina che trae gli esempi più efficaci: «Contro la polmonite serve la puntura, non basta un po’ di antibiotico». Vicenza sceglie la linea dura, che nel bene o nel male sarà un messaggio ai cittadini e alle altre città. A far da coro al sindaco ci sono gli assessori all’ecologia, Valerio Sorrentino, e alla mobilità, Claudio Cicero. «Ecologia e mobilità, l’una contro l’altra - commenta Hüllweck -. E il cittadino, di fronte ai dati sull’inquinamento, si chiede: il sindaco cosa fa? Naturalmente si vorrebbe la libertà di movimento e l’aria pulita. Ma se la qualità dell’aria e la salute sono una cosa seria, allora serve un sacrificio serio. Questo non è il festival del blocco, è l’ultimo strumento serio che abbiamo per capire se eliminare le auto per più giorni può servire o no». «Purtroppo viviamo nella pianura Padana, una delle zone più inquinate del pianeta. Anche i tecnici dicono che i provvedimenti una tantum, con queste particolari condizioni climatiche, non servono - argomenta Sorrentino -. Eppure ci sono dei demagoghi che si divertono a fare denunce e c’è qualcuno che è disposto a darvi ascolto. Non è piacevole, per un sindaco, essere additato di essere responsabile unico di cose serie come l’inquinamento dell’aria. È la prima volta in Italia che si prende un provvedimento di questo tipo, sarà un importante banco di prova per tutti. Chiediamo scusa ai cittadini, ma lo facciamo per fare chiarezza». «Questa è una risposta ai tanti Soloni che si riempiono la bocca di sciocchezze - fa eco Cicero -. La realtà è che qualsiasi cosa si faccia, sempre pietre arrivano, come dice la canzone. Poi il giorno delle Ceneri, quando sarà finito il blocco, ci cospargeremo il capo e andremo a vedere i risultati, confrontando le diverse condizioni meteorologiche che si saranno verificate nell’arco della settimana di stop».

Le critiche di Legambiente all’ordinanza
«È inutile fermare il 27% della città»

Vicenza 21, Padova 21, Rovigo 20, Treviso 18, Mestre 20, Verona 21: sono i giorni nei quali, secondo Legambiente, sarebbe avvenuto dall’inizio dell’anno il superamento del limite giornaliero del pm10. Venerdì Vicenza registrava 91 microgrammi per metro cubo d’aria. Quello che colpisce maggiormente - secondo Legambiente - è l’omogeneità dell’inquinamento da micropolveri, che non riguarda solo i capoluoghi ma è sostanzialmente omogeneo dal Polesine al Feltrino, coinvolgendo centinaia di comuni, ma anche la disomogeneità delle risposte. I comuni capoluogo, a parte l’eccezione di Padova e Mestre - secondo Legambiente - hanno mantenuto un profilo ambiguo. Nei mesi scorsi quasi nessuno si era risolto per le targhe alterne, «adottando quel provvedimento di facciata noto come blocco delle non catalizzate, la cui efficacia è pari a zero, visto poi che molti lo hanno adottato per solo due giorni alla settimana e su porzioni di territorio comunale irrisorie». Adesso, di fronte alla recrudescenza dell’emergenza Verona, Vicenza, Treviso e Rovigo - accusano gli ambientalisti - sono in contorsione, ognuna facendo (o proponendo) una cosa diversa dagli altri. Il sindaco di Vicenza addirittura proponendo un blocco totale per una settimana, con il nemmeno troppo dissimulato scopo di dimostrarne l’inutilità. Certo che bloccando solo il 27% del territorio comunale è matematica l’inefficacia del provvedimento. Legambiente ha sempre sostenuto, confortata dalle evidenze scientifiche e sperimentali - si sottolinea nella nota - che le limitazioni vanno prese su scale territoriali molto ampie. In mancanza della legge regionale questo non era possibile, oggi lo è.

E venerdì tornano le proteste anti-Tir in strada Pasubio

In una città in cui una delle parole più usate e abusate, di questi tempi, è "blocco", dopo il blocco del cantiere del nuovo teatro e prima del blocco totale del traffico, si inserirà il blocco di strada Pasubio. Venerdì 28 gennaio alle 17, infatti, i comitati dell’Albera torneranno a manifestare "in strada per la vita". Ieri mattina è stato allestito un gazebo informativo a Villaggio del Sole per annunciare il sit-in a base di fiaccole, volantini, vin brulé e thè che si terrà in strada Pasubio all’angolo con via Lobia. «La soluzione - si legge in uno dei cartelli esposti - contro lo smog che uccide e il traffico che ci soffoca, c’è: dirottare i bestioni dei Tir sull’A31. Sarebbe un intervento temporaneo, fino alla realizzazione della bretella Vicenza ovest-Isola Vicentina».


Teatro, sciopero e licenziamenti. Andriollo e Toniolo dichiarano guerra a Coccimiglio. E su Hüllweck...
La Cgil: «Bravo sindaco, ci sei piaciuto»
«Se però decidesse di riceverci gli spiegheremmo le nostre preoccupazioni»

«Ben detto, sindaco Hüllweck: lo sciopero è un diritto, sancito dalla Costituzione repubblicana, e deve essere rispettato. Non si possono licenziare i lavoratori che esercitano tale diritto, nel pieno rispetto delle leggi, nemmeno al cantiere di costruzione del nuovo teatro di Vicenza» . Danilo Andriollo della segreteria provinciale Cgil e Antonio Toniolo segretario generale Fillea Cgil Vicenza hanno gradito le dichiarazioni del primo cittadino. «Ribadiamo che i dipendenti della Cogi hanno scioperato per rivendicare il rispetto degli impegni assunti dal titolare dell’impresa: pagamento di salari e stipendi il 20 del mese» . «Il contratto nazionale prevede il pagamento entro il 10 del mese - proseguono - i lavoratori hanno accettato la proposta dell’impresa (pago il 20!), ma da quando Cogi li ha assunti tale data non è mai stata rispettata, nonostante gli stati di avanzamento lavori siano stati regolarmente saldati, e i soldi consegnati a Coccimiglio, come ricorda il Comune. In questa situazione, anche i lavoratori più pazienti non ne possono più» .
«Riconfermiamo che questa, e solo questa, è la ragione che ci ha portato a mobilitare i lavoratori. Non possiamo accettare che nel cantiere più importante della provincia non siano rispettate leggi e contratti. P er questo diciamo al titolare della Cogi che un cantiere non è una squadra di calcio (l’amministratore Coccimiglio è anche presidente del Foggia, ndr), e gli diciamo anche che a Vicenza non passerà: i lavoratori illegalmente licenziati per rappresaglia antisindacale dovranno tornare al lavoro ed essere regolarmente retribuiti» . «Al sindaco diciamo che se avesse la cortesia di riceverci, dando seguito alle richieste di incontro più volte sollecitate, potremmo spiegargli tutte le nostre preoccupazioni, non allarmismi. Esamini attentamente la documentazione che potranno fornirle gli uffici comunali che seguono la vicenda, ripassi le leggi sugli appalti e scoprirà che forse esistono già ottime ragioni per chiamare a rispondere Coccimiglio. Come potrà comprendere - concludono - questa soluzione comunque ci preoccupa, perché potrebbe comportare l’interruzione (è auspicabile per breve tempo) dei lavori e la sospensione dei lavoratori. Ma ci chiediamo: possono i lavoratori vicentini, può la città di Vicenza accettare che in quel cantiere emblematico non si rispettino, impunemente, le regole?».