22 SETTEMBRE 2006

«Missili e aerei-spia al Dal Molin» E un articolo scatena il finimondo
«Il business dei permessi nelle mani delle agenzie»
Piazza toglie il disturbo e rassegna le dimissioni

«Missili e aerei-spia al Dal Molin» E un articolo scatena il finimondo

di Gian Marco Mancassola

Non solo soldati, ma anche carri armati, aerei spia e missili. «Quanto basta per cancellare una metropoli». Sono state sufficienti poche righe di un flash d’agenzia, nel primo pomeriggio di ieri, per far esplodere il finimondo da Vicenza a Roma sul progetto per la costruzione di una nuova base Usa all’aeroporto “Dal Molin”. Ad accendere la miccia della bomba politica ci hanno pensato le anticipazioni dell’inchiesta pubblicata su L’Espresso in edicola oggi, per altro smentite dal ministro Arturo Parisi. L’inviato Roberto Di Caro racconta gli ultimi tre mesi del caso “Dal Molin”, portando per la prima volta sulla scena dei media nazionali il controverso progetto americano per riunificare la 173a brigata aviotrasportata, la medesima comandata dal colonnello Kurtz nel Vietnam di Apocalipse Now, descritta «dal Pentagono come il pugno di combattimento di un ipotetico conflitto con l’Iran». Secondo L’Espresso, a Vicenza verrebbe installata un’unità di combattimento che rappresenta «il cuore e il cervello della risposta bellica di pronto intervento sull’intero scacchiere mediorientale». Nella prevista riorganizzazione, si legge, «Vicenza diverrebbe la più potente base americana in Europa». La brigata verrebbe rafforzata come organico (è previsto l’arrivo di altri 1.800 militari) e come dotazioni. E qui inizia un elenco che ha fatto venire i capelli dritti a tutti i protagonisti della scena politica vicentina: «55 tank M1 Abrams, 85 veicoli corazzati da combattimento, 14 mortai pesanti semoventi, 40 jeep humvee con sistemi elettronici da ricognizione, due nuclei di aerei spia telecomandati Predator, una sezione di intelligence con ogni diavoleria elettronica, due batterie di artiglieria con obici semoventi, i micidiali lanciarazzi multipli a lungo raggio Mrsl, quanto basta per cancellare una metropoli». Sempre secondo il settimanale, il generale James L. Jones, comandante delle forze armate Usa in Europa, aveva chiesto al Senato americano i soldi necessari per l’operazione nel marzo 2005, spiegando che la brigata «rimarrà in Italia, in prossimità della base aerea di Aviano, suo centro d’impiego primario. Usareur ha piani per espandere impianti e infrastrutture nell’area di Vicenza, includendo le strutture militari americane all’aeroporto Dal Molin, favorendone la crescita attraverso la ristrutturazione». L’anticipazione ha avuto un effetto dirompente. Primo, perché appare in netto contrasto con le lettere ufficiali arrivate a palazzo Trissino dal ministero della Difesa, prima con il ministro Arturo Parisi, poi con il capo di gabinetto, il generale Biagio Abrate. Secondo, perché il servizio mette alla berlina il rimpallo di responsabilità fra Roma e Vicenza, ma più di tutto dipinge un ritratto impietoso del ministro Parisi, descritto mentre è intento a «sottrarsi alle ire di Oliviero Diliberto» e a «farsi togliere le castagne dal fuoco» se fosse il Comune a dire no. Un ritratto che porta la firma di un settimanale che si rivolge all’intellighenzia di sinistra. Nell’arco di quattro ore dopo le prime anticipazioni, si conteranno una trentina di lanci d'agenzia. Il senatore dei Verdi Mauro Bulgarelli, ad esempio, prima attacca: «Mi auguro che l’articolo che dà per sicura la costruzione della base Usa non sia aggiornato e non tenga conto delle assicurazioni date a più riprese dal ministro della Difesa, altrimenti ci troveremmo di fronte a una notizia di eccezionale gravità». Poi frena: «Apprendo con piacere che il ministro ha smentito il contenuto dell’articolo e ha ribadito di essere pronto a riconsiderare gli accordi stipulati dal Governo Berlusconi». Soddisfatta anche Elettra Deiana di Rifondazione comunista, vicepresidente della commissione Difesa, dopo l’audizione con Parisi: «Ha chiarito che la posizione del Governo è di ripartire da zero, di non dare per acquisito nessun passo già compiuto». Secondo Nicola Atalmi e Marco Palma dei Comunisti italiani, «il sindaco bluffa, perché ha già tutti gli elementi per esprimersi», mentre Severino Galante parla di notizia sconcertante e chiede al Governo di bloccare il progetto. Il deputato vicentino dell’Udeur Mauro Fabris ritiene di «inaudita gravità» le parole attribuite da Hüllweck all’ambasciatore Ronald Spogli circa l’impegno di farsi da tramite tra il governo italiano e il Comune di Vicenza. Secondo Fabris il modo di operare dell’ambasciatore rischia di apparire scorretto nei rapporti fra le due nazioni. Silvana Pisa, senatrice dell’Ulivo, sottolinea come a Vicenza si andrebbe in controtendenza: «Mentre in tutta Europa gli Usa stanno chiudendo le basi militari, solo Italia e Bulgaria se ne fanno di nuove». L’unica voce dal centrodestra è quella del senatore leghista vicentino Paolo Franco, che inquadra così l’articolo del settimanale: «Queste considerazioni sono della vera e propria benzina gettata sul fuoco. Così si cerca di terrorizzare i cittadini, dimostrando la mancanza di coraggio della sinistra».

Domani gli studenti in piazza per il “No”

di Anna Madron

Appuntamento alle 8.30 davanti alla stazione. Partiranno da lì diretti in viale Dal Verme centinaia di ragazzi che domani mattina diserteranno le lezioni, decisi a protestare contro la militarizzazione del Dal Molin. «Le mobilitazioni che si sono succedute fanno capire che la città non vuole la trasformazione dell’aeroporto in base militare - ribadiscono i ragazzi del Coordinamento studenti - per contro assistiamo ad un rimpallo di responsabilità tra governo centrale di centro-sinistra e la giunta di centro-destra del Comune, quest’ultima responsabile di aver seguito il progetto in tutte le sue fasi con i militari americani e il governo Berlusconi. Dall’altra parte il governo di centro-sinistra, che ha vinto le elezioni anche grazie ai voti di chi si è opposto alla politica di guerra del governo Berlusconi, rifiuta di prendere una posizione precisa riversando la responsabilità sulla giunta Hüllweck che rappresenta la città di Vicenza». «Come studenti delle scuole superiori - proseguono i ragazzi del Coordinamento - non siamo disposti a guardare in silenzio quello che sta succedendo. Siamo parte attiva di questa città e vogliamo che la nostra voce conti insieme al nostro no alla guerra. Abbiamo condiviso il sogno di chi vorrebbe l’area del Dal Molin trasformata in verde pubblico, abbiamo vissuto la preoccupazione degli abitanti dei quartieri di abitare a fianco ad un enorme strumento di morte. Crediamo che il sogno sia più forte della guerra e pensiamo che la battaglia sul Dal Molin possa essere vinta». Segnali di dissenso anche dall’Uds, l’Unione degli studenti. Fabio Todesco, Milena Pirante e Miriam Zaggia esprimono indignazione per la conversione dell’aeroporto Dal Molin in base militare: «A pochi giorni dalla votazione in Consiglio comunale ci sembra opportuno dimostrare quanto la popolazione studentesca sia contraria alla militarizzazione della città». L’Uds osserva inoltre come «il progetto Dal Molin sia inutile, costoso, servo di un’ideologia di guerra che non si rispecchia nella volontà cittadina. Vicenza è già zeppa di soldati e questo rende la nostra città un possibile obiettivo in caso di attacchi terroristici rivolti contro l’America». Senza contare, insistono gli studenti, gli oneri economici a carico del Comune e le conseguenze in termini di inquinamento ambientale. «Gli aerei non sono mezzi né particolarmente silenziosi né ecologici e nella base verranno depositate anche armi biologiche», conclude l’Uds che denuncia «la disarmante mancanza di democrazia: il Comune e il precedente governo avevano inizialmente preso accordi con gli americani senza interpellare la comunità locale». Intanto il Coordinamento dei comitati organizza come noto per domani pomeriggio alle 15 all’istituto delle Missioni a Monte Berico un convegno contro il progetto di base Usa al Dal Molin.

Cronaca di un progetto rinnegato
La vera rivelazione è che in questi 3 anni tutti i protagonisti hanno cambiato idea

di Marino Smiderle

Fa un po’ sorridere vedere l’Italia e il suo governo che si attorcigliano su un argomento di cui Il Giornale di Vicenza sviscera anticipazioni e dettagli da tre anni buoni. Il succo del discorso è tremendamente semplice, basta consultare l’archivio delle cronache. Poco dopo lo scoppio della guerra in Iraq il presidente George W. Bush chiese all’alleato e amico Silvio Berlusconi di aiutarlo nella riorganizzazione delle basi americane in Europa: «Dear Silvio, please dammi il Dal Molin che devo spostare le basi ospitate da quel cattivone di Schroeder in Germania». «Nessun problema, George. Il Dal Molin di Vicenza fa al caso tuo». Siamo nel 2003. Si sa come vanno le cose tra gentiluomini, basta la parola. Così Bush si mette a realizzare progetti a stanziare centinaia di milioni di dollari, a unire battaglioni. Caso vuole che, mentre Berlusconi mette il Dal Molin (e soprattutto le strutture logistiche lasciate libere dalla Nato fin dalla fine della guerra nei Balcani) a disposizione dello zio Sam, la comunità di Vicenza stia cercando di ridare un minimo di senso a un aeroporto (versante civile) fino ad allora usato come zona di ripopolamento per gli aironi cinerini. Il 4 novembre 2003 il sindaco Enrico Hüllweck, alla vigilia di un suo pellegrinaggio a palazzo Chigi (nello stesso anno il presidente del Consiglio era venuto a Vicenza per fargli da testimone di nozze), dichiara al nostro Giornale: «Il futuro del Dal Molin dipende dagli accordi che il presidente farà con gli Usa. Io gli ricorderò gli interessi di Vicenza. Tenuto conto degli ottimi rapporti che ci sono tra il premier e Bush, credo che l’affare abbia ottime possibilità di andare in porto. Io chiederò al presidente che faccia in modo di ottenere dagli Usa una serie di contropartite importanti per la città». Quando si mette in testa una cosa, Hüllweck non è uno che molla tanto facilmente. Specie se ha a che fare con un amico come Silvio. E così, un anno dopo la prima missione, ecco che torna a bussare a palazzo Chigi. L’operazione Dal Molin-Freedom porterebbe a Vicenza 2.400 soldati e investimenti, tra il 2006 e il 2009, per 500 milioni di dollari. «Un importante flusso di denaro - commenta pensando ai magri bilanci che chiude ogni anno a Vicenza -. Credo ci potranno essere effetti positivi sia per l’immagine della città, sia per il prestigio di Vicenza nello scacchiere internazionale, sia per gli sviluppi economici. Si intravedono prospettive positive che vanno vissute con serenità». Ed è proprio con serenità che l’Espresso in edicola oggi pubblica "in esclusiva" i dettagli di un progetto che Vicenza conosce dal 2003 e su cui il primo cittadino dimostra come sia possibile cambiare idea. Gli effetti positivi, gli sviluppi economici che prevedeva nel 2004 (era Berlusconi), si sono trasformati in problemi nel 2006 (era Prodi): «Ripeto che la proposta è talmente vaga che può essere tanto accettabilissima come fastidiosissima - ha dichiarato l’altro giorno -. Torno a citare la questione degli aerei: se mi dicono che non ci saranno mai aerei americani che atterrano alla base, è un conto. Se mi dicono che potrebbero essercene occasionalmente o eccezionalmente, è un altro conto. Qual è l’occasionalità? O l’eccezionalità? Se gli elementi critici che ho esposto non vengono chiariti, io sono sul negativo. O mi tolgono le preoccupazioni che ho o non sono d’accordo». E chi glielo dice adesso agli amici americani? L’ex ambasciatore Mel Sembler, nell’aprile del 2005, annunciava con raggiante ufficialità: «Il governo italiano ha concesso all’esercito statunitense l’utilizzo di una parte del Dal Molin allo scopo di trovare posto alle nuove truppe che presto saranno dislocate nel nord Italia». Carta vince, carta perde, in Italia gli accordi di governo sono come il gioco delle tre carte dei mariuoli napoletani. Quando Bush è andato da Prodi per far valere gli accordi, il premier gli ha sorriso: «Carta perde». Il comandante della Ederle, allora, ha provato con Hüllweck: «Carta perde». E l’Espresso ha scatenato un pandemonio quando ormai George W. Bush ha deciso di cedere alla corte serrata dell’affidabile Angela Merkel. Bye bye, Vicenza.

Il sindaco in Consiglio comunale: «Sono contento di non essere caduto nella trappola di dire un sì o un no affrettato»
Hüllweck: «Chi ha le carte parli»

di Antonio Trentin

Novità che «mi hanno fatto rizzare i capelli»: così le ha chiamate ieri sera in sala Bernarda il sindaco, concedendosi il beneficio del dubbio sulla loro completezza e precisione. Sono quelle che si leggono oggi sul settimanale “L’Espresso” a proposito della concentrazione a Vicenza di un potenziale militare americano che fa evocare - con aggiornamenti e potenziamenti - quello di cui in città si è sempre discusso e favoleggiato nel quarantennio della guerra fredda. «Sfido tutti a dirmi se queste novità sono di oggi - ha commentato Enrico Hüllweck - o se già si sapevano». Avremo una “capitale berica” dell’armamento offensivo statunitense? L’ipotesi si è diffusa giusto pochi minuti prima che tornasse in ballo il caso-Dal Molin, dopo la visita romana del sindaco all’ambasciatore Usa, Ronald Spogli. E così tutti i botta-e-risposta in Consiglio comunale hanno finito per apparire sfasati rispetto a un’attualità che corre veloce e obbliga gli interlocutori cittadini a discutere quasi in apnea, senza l’ossigeno delle indispensabili conoscenze. «Sono contento di non esser caduto nella trappola del Sì o del No affrettato. Sono contento di essere ancora fermo alla richiesta di spiegazioni. Qui le cose cambiano ogni giorno...» ha dichiarato il sindaco, dando brevemente conto ai diessini Antonio Dalla Pozza e Giovanni Rolando delle sue conversazioni romane. Se fossero vere le cose raccontate dalle agenzie di stampa come anticipazioni dell’Espresso, ha detto, sarebbero in totale contrasto con quanto garantitogli dall’ambasciatore: «Ho telefonato a Roma per sapere qualcosa di più». E ha aggiunto un invito all’opposizione di centrosinistra perché prema sul governo per avere certezze: «Il futuro ci riguarda tutti al di là delle collocazioni politiche. Diamoci una mano tutti, voi per la parte vostra, noi per la nostra». «Non si può dire sì a un insediamento di cui non si conoscono tutte le implicazioni e le conseguenze» ha ammonito Dalla Pozza. «Il passato governo ha dato un assenso formale? Se c’è qualcosa di più di quello che si sa, ce lo dica» ha insistito Rolando. A tutti e due Hüllweck ha ribadito la richiesta già esternata a caldo, a Roma, l’altro giorno. Serve un incontro trilaterale tra Comune, governo italiano e Amministrazione americana per dirsi chiaro in faccia, e mettere per scritto, tutto quanto riguarda il progetto della base, le spese da sostenere, le prospettive logistiche e operative: «Gli americani chiariscano il loro progetto dalla A alla Z. Chi ha tutte le carte in mano le mostri chiaramente. L’ambasciatore Spogli mi ha assicurato che parlerà con il governo, resto in attesa. Se non può venire Prodi, se non verrà Parisi, mandino qualcuno che ha tutti i dati».

«Caro Comune, devi ricordarti che 10 mila cittadini dicono “Sì”»

«Riteniamo che i 10 mila firmatari della proposta avanzata dal Comitato del “sì” siano cittadini di Vicenza come i cittadini che hanno firmato per il “no”, pertanto il sindaco che dovrebbe rappresentare tutta la città, non può permettersi di dire in questo momento che Vicenza è contro l’insediamento di una caserma americana nell’area del Dal Molin. Lo potrà affermare solo dopo un eventuale referendum o un voto politico del Consiglio comunale». È Roberto Cattaneo, portavoce del comitato che si batte perché la base 2 al Dal Molin sia realizzata, ad attaccare il sindaco, dopo averlo incontrato la settimana scorsa e avergli consegnato le 10 mila firme che hanno sottoscritto il sì, insieme ai rappresentanti dei lavoratori. «Allo stato attuale ogni sua opinione deve essere considerata personale in quanto non suffragata da nessuna decisione presa nelle sede istituzionali. I cittadini che hanno firmato per il sì non si considerano e non possono essere considerati cittadini di serie B da nessuno, neanche dal sindaco di Vicenza, che tra l’altro alcuni di loro hanno anche votato». È sempre Cattaneo ad annunciare che per i prossimi giorni ci saranno «azioni forti per informare correttamente i cittadini su un argomento così importante per la città come è la futura destinazione dell’aeroporto Dal Molin».


Domani la manifestazione degli stranieri per protestare contro i tempi per ottenere il documento
«Il business dei permessi nelle mani delle agenzie»
Le associazioni immigrati: «Chi non paga aspetta sette mesi»

di Eugenio Marzotto

I ritardi per ottenere il permesso di soggiorno, varrebbero per molti ma non per tutti. In questura per alcuni ci sarebbero delle corsie preferenziali che evitano i sei, sette mesi per ottenere il documento. L’accusa arriva dal Coordinamento delle associazioni immigrate e dagli Rdb-Cub vicentini che denunciano come in città, «stanno proliferando agenzie che promettono il permesso in tempi brevi, pagando fino a mille euro per il servizio. Si tratta di un vero e proprio business dei permessi di soggiorno». Della questione è stato chiamato in causa anche il ministro dell’Interno Giuliano Amato, a cui il Coordinamento degli immigrati ha scritto una lettera dove si denunciano i ritardi e le presunte irregolarità. Una ventina di firme, in rappresentanza delle tante nazionalità presenti a Vicenza, sottoscrivono il testo spedito a Roma: «La questura è intasata ogni giorno da centinaia di immigrati di tutte le età, ma i mediatori delle agenzie di pratiche godono di una corsia privilegiata. Non solo questi personaggi ottengono rapidamente il disbrigo delle pratiche dei loro clienti - si legge nella lettera indirizzata ad Amato - , ma si aggirano in questura facendo pubblicità delle loro attività, spingendo tutta una massa di disperati e di sprovveduti a pagare ciò che sarebbe loro diritto ottenere gratuitamente». È solo l’ultima in ordine di tempo, delle rivendicazioni delle varie associazioni immigrati sparse sul territorio che da mesi puntano il dito sui ritardi per ottenere il permesso di soggiorno. «Non è possibile attendere fino a sette, otto mesi per vedere rinnovato un documento che ha una validità limitata nel tempo. L’attesa del rinnovo - spiega Nirou Morteza - non ci permette di stipulare un contratto di lavoro o casa, senza contare che le banche in queste situazioni non accendono mutui o fanno prestiti». Questi, insieme ad altre rivendicazioni, i motivi della manifestazione indetta dal Coordinamento e sportello immigrati Rdb Cub Vicenza, che si terrà domani alle 15,30 davanti alla questura. Il corteo attraverserà viale Mazzini, viale Milano per poi tornare nell’area verde della questura. Tra gli immigrati che sfileranno, molti denunceranno i casi limite presenti in giro per la provincia. Come quello di un lavoratore marocchino che lavora a Vicenza dal 2004 e che da due anni attende il permesso di soggiorno definitivo. «Finora solo proroghe - spiega Morteza - appuntamenti a sette mesi e poi ancora appuntamenti. Così ci si deve accontentare del documento sostitutivo rilasciato dalla questura, ma che in realtà non risolve lo stato di precarietà dell’immigrato». E poi il problema della brevissima durata dei permessi di soggiorno: «Molto spesso lavoratori a tempo determinato attivi da oltre 10 anni si vedono rilasciare permessi di soggiorno di pochi mesi. Così, un immigrato con un contratto di lavoro di quattro mesi che si presenterà domani all’ufficio appuntamenti del Comune, avendo il permesso di soggiorno in scadenza tra un mese, si vedrà assegnare un appuntamento ad aprile». La conseguenza immediata è il proliferare del lavoro nero, secondo il Coordinamento dell’associazione immigrati che avverte: «Finchè non si risolveranno questi problemi non smetteremo di protestare». Una soluzione ci sarebbe, secondo i Cub e gli immigrati, ossia potenziare i Poli degli stranieri, i sette sportelli sparsi per la provincia che hanno la funzione di raccogliere le domande degli stranieri, prima di avviare la pratica. «Basterebbe - attacca Morteza - che i Poli avessero la stessa funzione della questura, con un addetto in grado di fornire il permesso di soggiorno, anzichè raccogliere le domande e trasferirle a Vicenza. Di questo problema interesseremo anche i Comuni».


Piazza toglie il disturbo e rassegna le dimissioni
Il gesto dell’ormai ex assessore facilita le cose al sindaco «Ha lavorato molto. La Lega? Non mi ha certo ricattato»

(a. t.) Davide Piazza da ieri a mezzodì non è più assessore, neanche dal punto di vista formale. Lunedì era stato liquidato politicamente dal suo ormai ex partito, la Lega Nord. Martedì lui stesso l’aveva raccontato, annunciando una rottura andata avanti per crepe silenziose e culminata nella condanna da parte della segreteria leghista della sua ultima linea sull’assegnazione delle case popolari e sulle graduatorie premiali per far avanzare i vicentini con venticinquennali radici nostrane (“inutile e controproducente ricorrere contro il no sentenziato dal Tar veneto"). Mercoledì era stato il giorno del consenso alla defenestrazione garantito dal sindaco al partito: "Do atto a Piazza di aver lavorato moltissimo, è un'energia che si perde - ha spiegato ieri in consiglio comunale Enrico Hùllweck, accettando la sostituzione voluta dal Carroccio -. Ma una compagine politica è fatta di più forze e ciascuna sottolinea le sue caratteristiche...". Quelle della Lega non coincidevano più con la prassi amministrativa di Piazza. E così il titolare degli Interventi sociali, dopo essere passato in studio da Hùllweck, ha provveduto a firmare davanti al segretario generale del Comune Angelo Macchia le poche righe necessarie per ufficializzare la rinuncia alla poltrona assessorile. Una scelta che è stata molto apprezzata dal sindaco, che si è così trovato alleggerito dal dovere di provvedere lui d'imperio alla staffetta voluta dagli alleati nordisti: "Non ci sono situazioni di ricatto della Lega Nord nei miei confronti" ha detto. Aveva provato a discutere di tutta la questione il diessino Luigi Poletto, che dieci giorni fa - proprio in occasione del "no" del Tar al bando vicentino per le case popolari - aveva chiesto le dimissioni di Piazza. Difendere l'ex-assessore? Più di tanto il capogruppo Ds certo non poteva. Gli interessava infilare qualche cuneo nelle difficoltà del centrodestra, ma la maggioranza gli ha opposto un diniego: bocciata con numeri larghi la possibilità di discutere ai microfoni. In sala Bernarda la prossima volta ci sarà la sostituta, Patrizia Barbieri, dirigente della Provincia. Il sindaco, che non ne ha fatto il nome, oggi provvede a nominarla.