«Trattato da italiano di serie B»
Fernando Frende cerca da 3 anni il lavoro che gli avevano promesso
di Marino Smiderle
C’è il destino che si diverte ad intrecciare i destini delle persone, collegandoli attraverso corde invisibili che paiono tenere uniti, in una magica dimensione spazio-temporale, due continenti. Di qua e di là dall’Oceano, Europa e Sud America, Italia e Argentina, Valdagno e Buenos Aires, 1924 e 2004. Sono i destini di Giuseppe Antonio Asnicar, 92 anni, residente a Cordoba (Argentina), e di Fernando Eugenio Frende, 36 anni, residente in via Monte Verdi, a Vicenza. Il primo è italiano ma vive in Argentina, il secondo è argentino ma vive in Italia; il primo è il nipote del secondo.
«Mi avevano detto che nella terra di mio nonno avrei trovato lavoro - racconta, tra l’arrabbiato e il disperato, Fernando Frende -, che sarei stato il benvenuto perché ci sono un sacco di opportunità. Sono qui da tre anni, mi sono adattato a fare l’operaio pur essendo un commercialista e adesso, dopo aver distribuito il mio curriculum a decine di ditte, sono rimasto senza lavoro, con una moglie e un figlio da mantenere. Io non voglio privilegi, ma se avete fatto tanto per convincere noi argentini di origine italiana a tornare, non capisco perché mi trovo davanti così tanti ostacoli. Io amo il Veneto, mi sento veneto, eppure vengo trattato, mi dispiace dirlo, con un certo razzismo. Pensavo che il programma dell’assessore Raffaele Zanon fosse diverso...».
Grazie alle origini italiane del nonno paterno, Giuseppe Antonio Asnicar, Fernando Frende, che dall’88 è in possesso della doppia cittadinanza, può aderire all’offerta propagandata da Zanon e dalle associazioni di italiani a Buenos Aires: "Operacion retorno". Questo è lo slogan che compare anche sul Clarin, quotidiano della capitale sudamericana. Accanto, una descrizione idilliaca del mercato del lavoro: «Cercano 20 mila persone da inserire nelle aziende ma non le trovano e perciò vorrebbero che fossero i discendenti degli emigranti di un tempo a raccogliere l’invito».
Fernando, sposato con Maria Eugenia, in quel periodo è nel direttivo dell’Aveco (Associazione veneti Cordoba); si è da poco licenziato da una ditta chimica con sede a Buenos Aires perché deve assistere il padre Carlos, gravemente malato. Dopo pochi mesi, il padre muore e Frende si trova di fronte il nulla. Logico che la prospettiva di un avvenire migliore, di un Paese che ti chiama e sembra voglia aprirti le porte del paradiso, venga considerata una scorciatoia per la felicità.
Ne parla col nonno Giuseppe Antonio, che lasciò Valdagno a 12 anni, prendendo il vapore Nazario Sauro nel 1924, insieme a mamma, papà e fratello. Oggi ha 92 anni, abita con la figlia (la mamma di Fernando) a Cordoba e parla ancora in dialetto vicentino. Si ricorda del suo paese d’origine, al punto che in casa ha appeso un quadro che raffigura il centro di Valdagno, o almeno di com’era nel ’24. Ha conservato tutti i documenti della sua avventura, dal biglietto di traversata atlantica, un viaggio durato 22 giorni, pagando un prezzo complessivo di 6175 lire. Tenuto conto che Gilberto Mazzi canterà "Se potessi avere mille lire al mese" nel 1939, si capisce come quei soldi non fossero bruscolini.
La storia di Giuseppe Antonio Asnicar meriterebbe un capitolo a parte: lui si è costruito la sua vita facendo il barbiere a Buenos Aires, crescendo argentino ma con l’Italia e Valdagno sempre nel cuore. Al nipote Fernando ha parlato così tanto di Valdagno, del Veneto, che quest’ultimo, a quasi 80 anni di distanza, non gli par vero di riallacciare, per interposta persona, un legame interrotto dalla povertà e ora riallacciato dalla stessa povertà.
«Voglio regalare a mio figlio Nicolas un futuro migliore», spiega Fernando Frende. Che, accogliendo l’invito di Zanon e del responsabile dello "Sportello rientro emigrati" in Argentina, Claudio Pitton, decide così di partire per il Veneto. Parte da solo, con i risparmi che gli sono rimasti, e si presenta allo sportello di Padova. «Qui mi hanno dato un’indicazione preziosa - afferma -: arrangiarsi. Non mi sono perso d’animo. Ho girovagato per alcuni alberghetti di Vicenza, finché ho trovato un lavoretto in una cooperativa. Poi altri impieghi da operaio. Io sono commercialista ma qui mi hanno riconosciuto, tra mille fatiche, solo il diploma di ragioneria. Per equiparare la mia laurea ci vogliono troppi soldi; e poi non sono sicuro che serva a molto. Ogni volta che mi presento per un colloquio mi dicono che il mio accento spagnolo costituisce un problema, che non sono adatto al lavoro e così via. Perché, allora, ci hanno chiesto di venire qui?».
È a Vicenza da tre anni, tanti quanti ne ha il figlio Nicolas, che frequenta l’asilo e che, come tutti i bambini, si è ambientato benissimo. Praticamente è lui l’insegnante d’italiano in famiglia. «Non ho intenzione di arrendermi - chiude Frende - né di tornare in Argentina. Non chiedo neanche favori particolari, solo quello di essere considerato, in tutto e per tutto, un cittadino italiano. Possibilmente non di serie B».