19 SETTEMBRE 2006

La Lega silura l’assessore Piazza
Il ministero dà la risposta
Rossi, tutti contro le ore più lunghe

La Lega silura l’assessore Piazza
In pole per la successione Patrizia Barbieri, dirigente in Provincia

di Gian Marco Mancassola

Colpo di scena a palazzo Trissino. La Lega Nord ha scaricato il suo assessore agli Interventi sociali Davide Piazza. Il segretario cittadino del Carroccio, Giuliano Tricarico, ha indirizzato al sindaco Enrico Hüllweck una richiesta, avallata dai vertici del partito fra cui la capogruppo Manuela Dal Lago e il segretario provinciale Roberto Ciambetti, perché venga rimosso l’assessore Piazza. E circola già il nome del possibile successore: Patrizia Barbieri, consigliere di amministrazione dell’Opera Pia Cordellina e direttrice del Centri per l’impiego provinciali. Quello che appare un fulmine a ciel sereno, in realtà è l’esito di un processo di logorio nei rapporti fra Piazza e il resto del partito. Il principale capo d’accusa è il presunto scarso attaccamento alla camicia verde, con la rinuncia a difendere le ragioni del movimento leghista. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata però versata mercoledì scorso, quando in Giunta l’assessore ha annunciato che non avrebbe presentato ricorso al Consiglio di Stato contro la sentenza del Tar che aveva cassato i punti-premio riservati ai vicentini doc nel bando per l’assegnazione di alloggi popolari. La notizia è stata confermata ieri da una nota di Tricarico: «La Lega nord-Liga veneta - scrive - non si riconosce più nelle posizioni e nelle scelte dell’assessore Davide Piazza, che ha rinunciato, anche recentemente, a far valere o difendere le ragioni e gli indirizzi del movimento leghista. Penso, tra tutti, al caso del mancato ricorso contro la sentenza del Tar sui termini dell’assegnazione degli alloggi popolari: la rinuncia a difendere un provvedimento che, tra l’altro, in altre città venete è applicato senza problemi, è la rinuncia a difendere gli interessi dei cittadini vicentini, interessi che sono per noi prioritari rispetto a qualsiasi altra istanza. Dobbiamo dare la precedenza a chi è nato e ha vissuto nella nostra terra e oggi ha bisogno di assistenza e aiuto: anziani, giovani coppie, famiglie monoreddito, bambini, non possono essere svantaggiati o, peggio, discriminati perché veneti». «Potrei aggiungere anche altre considerazioni - prosegue Tricarico - ma è certo che un assessore della Lega deve qualificare la propria azione tutelando innanzitutto chi è vicentino e veneto. Quando viene meno l’adesione a questi indirizzi, non ci sono attenuanti, così, per quanto ci riguarda, l’assessore Davide Piazza rappresenta ora solo se stesso, non la Lega Nord e dunque non impegna in alcun modo il nostro movimento». Il terremoto travolge il timone di uno degli ingranaggi cruciali nella macchina comunale: gli interventi sociali, di stanza a S. Rocco, assorbono la maggior parte delle risorse comunali destinate ai servizi al cittadino. L’assessorato era stato esplicitamente richiesto dal Carroccio nel 2003, dopo la vittoria elettorale del centrodestra, proprio perché consente di esprimere un’azione amministrativa politicamente connotata. Sin dall’inizio, però, non sono mancate le tensioni fra l’assessore e il gruppo consiliare, su temi caldi come l’immigrazione e i nomadi. Nell’elenco delle critiche, anche l’eccessivo appiattimento sulle posizioni della dirigente Piera Moro. Fra strappi e cuciture, il tira e molla si è trascinato fino al momento in cui il partito, alla fine del 2005, aveva invitato l’assessore a battersi per premiare la vicentinità nell’assegnazione degli alloggi popolari. Al progetto aveva dato netta adesione anche il sindaco Hüllweck, nonostante le vivaci polemiche che avevano accompagnato l’elaborazione della delibera. Mercoledì scorso la notizia della bocciatura davanti al Tar e l’annuncio della strategia che risulterà fatale. Al termine della riunione di Giunta era iniziato un tam tam interno al partito che era sfociato in un faccia a faccia fra l’assessore, i colleghi leghisti in Giunta e i consiglieri del Carroccio. In quell’occasione, Tricarico aveva dato l’aut aut: o fai retromarcia e presenti il ricorso, o sei fuori. Trascorso il fine settimana senza notizie, ieri mattina Tricarico ha comunicato a Piazza la decisione del partito. «Me ne assumo la più completa responsabilità», precisa il segretario, mentre l’assessore si trincera dietro un no comment che romperà soltanto dopo aver parlato con il sindaco. Per ora non ha protocollato le dimissioni, ma ha anticipato in tv l’intenzione di abbandonare il partito.

È la responsabile dei Centri per l’impiego
E la sostituta ripartirà dal Consiglio di Stato

C’è Patrizia Barbieri in pole position per la successione di Davide Piazza. Questo è il nome consegnato nelle mani del sindaco Hüllweck per la delega in quota leghista. Nata a Vicenza il 15 marzo 1956, è dirigente in Provincia, dove è responsabile dei centri per l’impiego. Inoltre, è consigliere di amministrazione all’Opera Pia Cordellina. Dal partito assicurano che si tratta di una scelta ponderata, che cade su una persona con una lunga esperienza amministrativa, che sa gestire i rapporti con e fra i diversi enti pubblici, una scommessa su cui sono state puntate molte carte. Il segretario cittadino Giuliano Tricarico, che non si sbottona sul nome del successore, confermando soltanto che si tratta di un assessore in rosa, anticipa che il primo compito del neo-assessore saprà riprendere in mano il ricorso al Consiglio di Stato a cui aveva rinunciato Piazza: «È un atto dovuto, perché il partito crede nella vicentinità. Non sono razzista, semplicemente se posso cerco di aiutare i vicentini e i veneti». Tricarico dice di assumersi la responsabilità della rottura con Piazza: «Dovevo salvaguardare il buon nome della Lega, il programma elettorale e il rapporto con gli elettori. Sono una persona paziente e comprensiva, ma a un certo punto bisogna prendere le decisioni. C’era una chiara direttiva politica e c’era un voto in consiglio comunale. Se non ci si adatta alle regole, se non si condivide la linea politica, basta andarsene: siamo in democrazia». A questo punto si attendono le decisioni del sindaco: in caso di dimissioni o di ritiro della delega, Piazza sarebbe il terzo assessore a uscire dalla Giunta “Hüllweck II” dopo i forzisti Alberto Maron e Francesca Bressan.


“Dal Molin”. Il gen. Abrate sollecita il parere del Comune: «Diteci di cosa avete bisogno»
Il ministero dà la risposta

(g. m. m.) La seconda lettera dal ministero della Difesa è arrivata ieri. Il documento, firmato dal capo di gabinetto, il generale Biagio Abrate, risponde alla maggior parte dei quesiti posti dal sindaco Enrico Hüllweck e ritenuti indispensabili per poter consentire al consiglio comunale di formulare un parere sul progetto della nuova base Usa al “Dal Molin”. Prosegue, così, lo scambio epistolare fra Roma e Vicenza, iniziato a giugno con le lettere inviate da Hüllweck al premier Romano Prodi per conoscere i dettagli dell’operazione, riacceso l’8 settembre con l’ultimatum via fax del ministro della Difesa Arturo Parisi, a cui aveva replicato Hüllweck con una nuova richiesta di delucidazioni. Per inquadrare le risposte date dal gen. Abrate, è quindi necessario fare un passo indietro e tornare alla lettera spedita da Hüllweck martedì scorso, nella quale venivano pretese alcune assicurazioni per poter dare una parere sul progetto: «La garanzia che l’aeroporto Dal Molin non verrebbe usato nemmeno occasionalmente da aerei militari e precise indicazioni sulle tipologie di armi e munizioni collocate; garanzie di salvaguardia della funzionalità dell’attuale aeroporto civile; la possibilità di localizzazione dell’inserimento in esame in altro sito, non necessariamente aeroportuale». E ancora: «La conferma o meno dell’ineluttabilità, in caso di abbandono del progetto, del trasferimento in Germania dell’attuale base Ederle, con conseguente licenziamento di circa 800 dipendenti vicentini ivi impiegati; possibilità o meno di un’eventuale priorità di riassunzione di tali dipendenti in altro settore; garanzie che i costi di un eventuale adeguamento della viabilità e dei sottoservizi alla nuova realtà insediativa non sarebbero a carico della amministrazione comunale; esistenza, da parte dello Stato italiano, di elementi di interesse alla realizzazione del progetto». Nella sua risposta, il capo di gabinetto del ministero parte da quest’ultima richiesta: «Lo stato di paese amico e alleato degli Stati Uniti - scrive - fa sì che non esista un problema politico nell’orientamento del Governo, ma esclusivamente una questione di accettabilità del progetto. Nella riunione del 6 luglio presso la direzione generale dei lavori e del demanio di questo dicastero, cui la signoria vostra ha partecipato, sono stati forniti gli elementi di massima per caratterizzare l’insediamento richiesto. Quello che è stato chiesto con la lettera dell’8 settembre e che si torna a chiedere all’amministrazione comunale, sulla base e nei limiti delle informazioni già fornite dalla Difesa, è un giudizio sul progetto, muovendo dagli impatti sul tessuto sociale, sulla viabilità e sulle reti di sottoservizi, ferme restando le giuste osservazioni riguardo le responsabilità urbanistiche in tema di opere destinate alla difesa nazionale». Roma sollecita quindi Vicenza a produrre una “lista della spesa”, vale a dire un elenco di opere ritenute necessarie: «Tale valutazione può consentire altresì la preliminare stima di quegli eventuali oneri di adeguamento che evidentemente non dovranno ricadere sull’amministrazione comunale, ma sui richiedenti ed è per questa ragione che è indispensabile averne al più presto contezza». Viene poi il passaggio sul futuro della Ederle: «La richiesta degli Usa è stata presentata come conseguenza di un’opera di razionalizzazione e riunificazione delle forze in Europa, per cui è probabile che un mancato insediamento a Vicenza potrebbe portare a riunificare il reparto in altra sede anche non nazionale. Si precisa che è stato già stabilito come requisito dell’insediamento che non ci debba essere impatto sull’attività dell’aviazione commerciale sull’aeroporto. Inoltre, non vi sarà attività di volo militare connessa con il reparto Usa. Si rimane in attesa di un cortese urgente riscontro nel senso indicato, utile per il processo decisionale in corso». Il botta e risposta continua.

Domani il sindaco incontrerà l’ambasciatore Usa
Hüllweck: «Non è ancora sufficiente per convocare il consiglio comunale»
«È una barzelletta: l’esercito mi sembra favorevole, mentre il Governo contrario»

(g. m. m.) A questo punto non resta che attendere l’incontro che il sindaco Enrico Hüllweck avrà domani a Roma con l’ambasciatore Usa Ronald Spogli. Il capo dell’amministrazione comunale, infatti, non è soddisfatto nemmeno della seconda lettera arrivata dal ministero della Difesa, che ritiene «insufficiente per poter convocare il consiglio comunale». Hüllweck parla di «barzelletta» quando ricorda che prima ha chiamato in causa il premier Prodi e gli ha risposto il ministro Parisi; poi ha punzecchiato Parisi e gli ha risposto un generale. «La prossima volta magari mi scriverà un maresciallo: chissà che sia la volta buona per avere tutte le informazioni di cui abbiamo bisogno». Il primo appunto di Hüllweck è proprio sulla firma in fondo alla lettera: non è quella del ministro, vale a dire di un politico, ma è quella di un generale, vale a dire di un tecnico. «Io vorrei sapere cosa pensa il Governo - osserva il sindaco - non quello che pensano i militari. È noto da tempo che i militari sono favorevoli al progetto. Non a caso, il tono della lettera è favorevole all’ipotesi dell’insediamento. Il Governo, invece, ha dato più di un segnale di contrarietà. Lo stesso Rutelli, a Vicenza, ha quasi invocato il no del Comune, per non parlare di quella formula, il silenzio-dissenso, in fondo alla lettera di Parisi. In questa lettera si dichiarano amici e alleati degli Usa, affermando che non ci sono problemi politici, ma fino a oggi il Governo si è espresso in termini negativi, con i suoi ministri o con rappresentanti politici della maggioranza». Hüllweck si dice allora disponibile a incontrare qualunque esponente del Governo: «Non dico necessariamente a Vicenza. Posso andare anche a Roma, anzi, ci andrò mercoledì. La mia disponibilità c’è. La realtà è che mi sembrano in terribile imbarazzo». Non tutto è da buttare, a detta del sindaco, che salva la garanzia sull’attività civile e commerciale dell’aeroporto e sul no ai voli militari, declinato con verbi all’indicativo e non al condizionale: «Mi stupisce però - afferma - che si dica che questo aspetto è “già stabilito”, come se ci fosse un accordo, quando invece avevano sempre dichiarato il contrario. Alcune risposte interessanti vengono date e vanno nella direzione di rendere più accettabile il progetto, ma che me le dia un generale dice poco, perché è sempre stato noto da che parte stanno i militari. Nella riunione del gruppo di lavoro, non a caso, di fronte a tutti quei militari, dissi: “ma le dichiarazioni di guerra le fanno i politici o i generali?”. Il giudizio del tecnico non può essere giudicato rappresentativo del giudizio del Governo». Un’altra contestazione riguarda i contenuti della riunione a Roma del 6 luglio scorso, che il sindaco ha sempre definito «clandestina», tanto da rifiutarsi di firmare il verbale di presenza: «A Roma si era parlato di aspetti minimali, come le recinzioni. Se fosse vero che mi avevano fornito tutte le informazioni in quell’occasione, non avrebbero bisogno di chiedermi ora notizie circa l’impatto sulla viabilità e i sottoservizi. Tuttavia, prendo atto con piacere che il Governo precisa che le spese non saranno a carico del Comune, ma dei richiedenti». Ieri mattina, il sindaco ha ricevuto per la prima volta in via ufficiale il nuovo generale americano della Ederle, Frank Helmick: un breve colloquio, in cui l’americano si è limitato a ricordare i desiderata statunitensi rispetto al Dal Molin e il sindaco a ribadire le tante perplessità politiche, in primis a Roma. Domani il vertice con l’ambasciatore, poi la decisione se convocare o meno il consiglio comunale, con un’avvertenza: dal momento che, pallottoliere alla mano, l’esito del voto fra i 41 consiglieri si giocherebbe sul filo di lana, «io non ci sto a fare da scudo umano al Governo. Non sarò io a fare il ventunesimo voto indispensabile per il sì al progetto».


Doppio sciopero. Proteste rinviate, dopo un lungo confronto, per verificare soluzioni per chi abita lontano
Rossi, tutti contro le ore più lunghe
Invettive contro la preside Biondi ma a votare erano stati i docenti

di Anna Madron

Rossi atto secondo. Dopo il corteo di sabato, ieri mattina è scoppiata di nuovo la protesta all’istituto tecnico industriale dove centinaia di studenti, più della metà, hanno manifestato contro la preside Zeila Biondi e contro un orario definito “infelice e poco rispettoso delle esigenze di chi abita fuori città”, ovvero del 70% degli alunni. Nel mirino l’ultima campanella della mattinata che quest’anno suonerà alle 13.35 anziché alle 13.15, allungando così di venti minuti il tempo scuola. Morale, al Rossi si è scatenato un putiferio tra urla, striscioni, invettive contro la dirigente, accusata di non considerare le richieste degli alunni, determinati a riconquistare il “vecchio” orario che ieri in aula magna è stato oggetto di discussioni accese tra una delegazione di quindici rappresentanti e la stessa preside, alla presenza dei componenti del Consiglio d’istituto. «Ho ascoltato i ragazzi e spiegato loro l’iter che ha portato alla formulazione di questo nuovo orario - spiega Biondi - mi sembra abbiano capito, tanto che siamo riusciti a far rientrare i manifestanti in classe». Dal fronte studentesco nella tarda mattinata di ieri è giunto dunque qualche segnale di tregua, anche se l’aria al Rossi resta elettrica e gli animi surriscaldati da due giorni di fuoco. Lo ammette la stessa Biondi che parla di giornate difficili e faticose in cui di fiato se ne è sprecato parecchio. Per motivare agli occhi degli oltre mille allievi un cambiamento di orario che risale al 21 gennaio 2006, giorno in cui il collegio docenti votò a larga maggioranza - 121 insegnanti a favore, 22 contrari e qualche astenuto - l’introduzione delle ore da 60 minuti al posto di quelle da 50, quest’ultime con recupero obbligatorio da parte dei docenti. Dunque in quel collegio a “vincere” furono i 60 minuti, proposta approvata in seconda battuta dal Consiglio d’istituto che indicò una serie di criteri da seguire, tra i quali un orario tutto antimeridiano che fosse compatibile con le esigenze delle aziende di trasporto, Aim e Ftv. Dalle quali non arrivarono obiezioni sull’ingresso alle 7.45 e soprattutto sull'uscita alle 13.35, per un totale di cinque ore da 55 minuti e un’ora da 60 con cinque minuti di pausa. A queste vanno aggiunti i minuti della ricreazione che rientrano nel tempo scuola a tutti gli effetti, mentre dal conto restano fuori i dieci minuti tra le 13.35 e le 13.45 (ora in cui “naturalmente” dovrebbe concludersi la mattinata), che vengono però tagliati per “cause di forza maggiore”, in quanto i mezzi di trasporto non ne consentono lo svolgimento. In questo modo il recupero, pomo della discordia e da tempo terreno di scontro fra preside e professori, non ci sarà, né per gli insegnanti né per gli alunni, quest’ultimi costretti però ad un orario quotidiano che dai ragazzi viene definito “pesante” quando non addirittura “massacrante”. Osservazioni sollevate sia dai rappresentanti d’istituto che dal comitato studentesco, con cui la dirigente si è trattenuta a lungo ieri mattina per cercare un accordo e ricomporre la protesta. Obiettivo raggiunto, a quanto pare, dato che per i prossimi giorni - fanno sapere i ragazzi - non sono previste manifestazioni, in attesa di capire come la scuola, insieme alle aziende di trasporto, intenda affrontare le situazioni più critiche, di coloro che risiedono, per esempio, in zone scarsamente servite dai mezzi pubblici. Insomma la volontà di rasserenare il clima c’è. «Siamo qui per lavorare a favore degli studenti - conclude la preside - non contro di loro».