L’Africa nelle mani del Coespu Vicenza dopo l’incarico G8
di Eugenio Marzotto
È stata una delle poche decisioni passate con il voto favorevole di tutti i G8, gli otto primo ministri riuniti in Russia per un vertice mondiale sui destini del pianeta.
I Grandi hanno dimostrato titubanze sul come affrontare il conflitto tra Libano e Israele, decisioni prese a metà sulla questione energetica e conflitti sui temi ambientali. Ma su una cosa hanno tutti alzato la mano destra per votare sì: «Su Vicenza si va avanti, il Coespu dovrà formare carabinieri e militari in grado di dare stabilità agli stati africani, grazie a tecniche di peace-keeping».
Così la “questione” africana passa dal tavolo di San Pietroburgo al tavolo del Coespu di Vicenza, quasi preso di sopresa. Tanto che dalla caserma Chinotto, sede del Centro di eccellezza per le forze internazionali di stabiltà, commentano: «Siamo in attesa di avere notizie precise, per ora non abbiamo avuto nessuna comunicazione ufficiale».
Ma intanto da Bush a Putin, dalla Merkel a Chiraq, passando per Prodi, tutti hanno confermato la volontà di investire nel Centro di formazione nato solo un anno fa.
Ha fatto il giro del mondo la notizia che dai palazzi imperiali di San Pietroburgo, sede del vertice G8, i Grandi del mondo hanno deciso di affidare alla Gendarmeria di Vicenza, base strategica per gli interventi a scopo umanitario, la responsabilità di essere un riferimento mondiale per la formazione di soldati in grado di contrastare i frequenti conflitti dei paesi africani.
Il lavoro consisterà nella creazione di una forza di stabilità africana e nell’assistenza tecnica e formativa della missione African Union del Darfur che potrebbe essere presto affiancata da una missione della Nato, per lenire la tragedia umanitaria ormai consumatasi e fare cessare il genocidio.
Nei prossimi cinque anni il Coespu si pone l’obiettivo di addestrare 3.000 ufficiali e sottufficiali che, secondo il principio di “addestramento degli istruttori”, ritorneranno ai loro paesi d’origine e completeranno l’addestramento di almeno 4.500 ulteriori unità entro la fine del 2010.
Stranieri, la marcia dei cinquecento
Permessi di soggiorno e ritardi: «Vicenza tra le peggiori d’Italia»
(al. mo.) «Saremo almeno in 500» dicono. Ma contano di essere molti di più gli immigrati che sabato prossimo alle 16.30 sfileranno in corteo dalla questura alla prefettura. Per protestare contro quella che definiscono una vera e propria discriminazione nei loro confronti da parte della questura e dell’amministrazione di Vicenza. Che fra grandi ritardi per i permessi di soggiorno e ostacoli di ogni tipo rendono loro la vita impossibile.
A organizzare la protesta è l’Associazione Dhuumcatu, sede a Roma ma delegazioni in tutta Italia. Che ha scelto Vicenza per la manifestazione perché, dicono «in nessun altra città succedono certe cose». Come racconta uno dei responsabili, Siddique Bachcu, 40 anni, dal Bangladesh: «La questura fa aspettare 6-7 mesi per il rinnovo del permesso di soggiorno e il Comune ti dà l’appuntamento per ritirarlo. Ma se il permesso vecchio intanto scade quel documento (costa 5 euro: ndr) non vale niente. Insomma non viene riconosciuto dalle altre autorità. E così non puoi uscire dall’Italia, trovare lavoro, aprire una fornitura di gas e luce».
Ancora: «Vicenza si distingue anche per impedire ai nostri genitori di vivere con noi. Dicendo che “è da troppo tempo che vivono fuori dall’Italia”. Ma cosa c’entra? Loro mica devono lavorare». Altro esempio: «La legge Bossi-Fini chiede di dimostrare di avere un reddito e un alloggio. A Vicenza la questura vuole anche vedere il contratto di affitto e il certificato con i metri quadri dell’abitazione. Così se mi nascono, mettiamo, due gemelli in un locale di 40 metri quadri, mi negano il permesso».
Infine la questione dei 18enni: chi arriva alla maggiore età, anche se è nato in Italia, è considerato dalla legge un estraneo. E per non diventare clandestino deve provare di avere casa e lavoro: «E se io lo voglio mantenere ancora per qualche anno?» si domanda Bachcu.
Insomma una Vicenza, dicono, poco accogliente. Così tutti davanti alla questura e poi decisi a farsi ricevere in prefettura: «Ci hanno già detto che il prefetto non c’è - dice il rappresentante degli immigrati - Speriamo nel capo di gabinetto. Di certo noi saremo lì: ghanesi, senegalesi, marocchini, indiani». La prima manifestazione, promettono, di una lunga serie.