19 MAGGIO 2005

dal Giornale di Vicenza

SCHIO.Dopo la riconciliazione resistono le divisioni
Nomadi: è sgombero
Ater, subito una casa su 10 agli agenti
I giovani? Sono legati alla famiglia ma parlano con gli amici. D’amore

Eccidio di Schio
Dopo la riconciliazione resistono le divisioni
Ezio Simini (Rc): «Il documento fa strame della verità. Mai sentite scuse per i resistenti uccisi». Alex Cioni ribatte: «È un’operazione di facciata, il 10 luglio ricorderemo le vittime delle stragi partigiane»

di Paolo Rolli

Ci sono anche voci fuori dal coro, in merito alla firma del documento di riconciliazione sull’eccidio del 7 luglio 1945, che l’altra mattina in municipio ha avuto come protagonisti il sindaco, i presidenti delle associazioni partigiane e alcuni rappresentanti dei familiari delle vittime. E sono parole pesanti quelle che risuonano dopo che in molti, amministrazione comunale in testa, hanno cercato la via della rappacificazione. «Le dichiarazioni di Franco Busetto il 25 aprile scorso sono state indubbiamente importanti, toccanti e benaccette, ma sono passati anche sessant’anni, e quelle stesse parole me le sarei aspettate piuttosto dal sindaco di Schio, in quanto sull’eccidio manca ancora una parola detta dalla città - afferma Roberto Plebani, che nel carcere ebbe ucciso il padre -. In linea generale, ben venga il documento sottoscritto, ma mi aspettavo qualcosa anche dal primo cittadino, che rappresenta la collettività e sa come le famiglie coinvolte a vario titolo nell’eccidio hanno vissuto questa ingiustizia e come per sessant’anni hanno cercato di tenere duro». «Perché questa riappacificazione non é avvenuta negli anni '50 o '60 o '70? - si chiede invece Ezio Simini, storico della Resistenza e leader di Rifondazione comunista -. Non sarebbe stato possibile perché allora erano ancora viventi e pieni di energia fisica e mentale tutti quelli che erano sopravvissuti alla guerra civile. Tutti avevano negli occhi e nel cuore le atrocità subite dal nazifascismo. Oggi sono pochissimi quelli che ricordano per aver visto, per aver patito direttamente, e quei pochi sono stanchi. Oggi nelle maglie larghe di una memoria fiaccata dal tempo, alcuni, a nome di tutti e impudentemente, siglano un documento che fa strame della verità di allora, che dovrebbe essere anche quella di oggi. I resistenti chiedono scusa alle vittime fasciste, ma noi non abbiamo mai sentito i famigliari delle vittime fasciste chiedere scusa ai caduti della nostra resistenza. L'on. Franco Busetto e Giulio Vescovi hanno impegnato su questo documento l'Anpi e l'Avl, ma l'Anpi di Schio, come quella di tutto il mandamento, non ne sapeva nulla: un metodo da carbonari, così, per non doversi confrontare con chi, forse, avrebbe avuto molto da ridire». Sul fronte opposto, contrarietà giunge anche dall’Unione combattenti della Rsi, il cui vicepresidente nazionale Umberto Scaroni esprime «l’assoluta estraneità dall'assurdo tentativo di cancellare la storia in nome di una riconciliazione resa impossibile dalla perdurante faziosità di un'interessata interpretazione di parte, che da sessant'anni offende la memoria di quanti hanno pagato con la vita la scelta compiuta». «Questa ci sembra un’operazione di facciata, che intende delegittimare l'annuale cerimonia dei reduci della Rsi - afferma il portavoce di Continuità ideale Alex Cioni -. I morti dell'eccidio non appartengono solo ai familiari, ma a tutta la città di Schio e all'Italia intera: il 10 luglio prossimo, quindi, con la commemorazione di questi morti ricorderemo tutte le vittime dimenticate dall’Italia nata dalla Resistenza e dalle stragi partigiane».

Dopo sessant'anni firmata la pace per l'eccidio di Schio

«L'eccidio di Schio fu ingiusto e insensato, un esecrando rigurgito di odio e di faziosità, compiuto a guerra già finita, che nessuna finalità, seppur distorta, poteva giustificare». Con queste parole si chiude una vicenda che, per sessant'anni, ha lacerato la città. Ieri momento storico per Schio: il sindaco Luigi Dalla Via, i rappresentanti del comitato delle vittime dell'eccidio e i rappresentanti delle associazioni partigiane Anpi e Avl nella sala consiliare del municipio hanno firmato un documento di pacificazione. Una cerimonia che ha avuto momenti di commozione e che si è conclusa con un abbraccio e una foto ricordo. Per la parte dei familiari delle vittime hanno firmato Matilde Sella, Anna Vescovi e Giorgio Ghezzo, per le associazioni partigiane il presidente regionale e provinciale dell'Anpi Franco Busetto e il presidente dell'associazione Volontari della Libertà Giulio Vescovi. Oltre al sindaco, era presente anche Giuseppe Pupillo dell'Istituto Storico per la Resistenza di Vicenza. Alla fine l'abbraccio tra Anna Vescovi, figlia del podestà di Schio, e Giulio Vescovi: si viene a sapere che sono addirittura cugini, e che le vicende storiche avevano schierato le due famiglie, asiaghesi, su fronti opposti. Un documento studiato nei minimi dettagli, quello firmato ieri, frutto di numerosi incontri tra le parti che, per mesi, sono stati top secret. «La pacificazione - recita uno dei passaggi - viene promossa nella convinta riaffermazione, senza riserve o revisioni, dei valori di libertà, giustizia e solidarietà per i quali la Resistenza locale e nazionale ha combattuto; valori inviolabili che sono a fondamento della nostra Costituzione. Per tali valori molti hanno versato un tributo di sangue a Schio, in Italia e in Europa: essi ebbero il coraggio di lottare contro la dittatura nazi-fascista per l'affermazione di un sistema fermamente democratico. La nostra fede democratica è perciò oggi sufficientemente matura da indurci a riconoscere come l'eccidio di Schio fu particolarmente ingiusto e insensato... Occorre riconoscere il dolore reciproco, non come fattore di disunione, ma come cemento della nostra ritrovata concordia civica». E un monito per quanti si attardano su vecchi odi: «Non vogliamo che il nostro faticoso cammino sia interrotto da manifestazioni che strumentalizzano i morti dell'eccidio di Schio. Vogliamo, fin d'ora, che non vi sia, né in luglio, né mai, alcuna manifestazione di stampo nazi-fascista e non riconosciamo a nessuno che pratichi ancora quell'ideologia la legittimità di parlare in nostro nome di coloro che furono colpiti nelle carceri di Schio il 7 luglio del 1945». Un altro degli impegni delle due parti è quello di ricordare con una cerimonia religiosa, il 7 luglio, coloro che vennero massacrati nell'eccidio. Il sindaco Luigi Dalla Via, all'inizio della cerimonia, ha ripercorso le tappe di questa riappacificazione di cui egli stesso è stato promotore e che ha avuto la prima dichiarazione pubblica nella recente manifestazione per il 25 aprile. «A nome di tutto il comitato- ha detto Anna Vescovi- affermo che quello di oggi è un momento storico, un passo enorme. I nostri morti sono, finalmente, i morti della città». «Ringrazio il sindaco e Franco Busetto- ha affermato Matilde Sella- ci hanno messo tutta la buona volontà; il sindaco è stato di parola e ne siamo grati». «Sono grato al sindaco di Schio per la tempestività e la prontezza - ha aggiunto Franco Busetto - ringrazio i rappresentanti dei familiari ed esprimo il più rispettoso cordoglio alla memoria dei Caduti ribadendo quanto espresso alla cerimonia del 25 aprile. Siamo pienamente d'accordo sul documento, sarebbe opportuno che i ragazzi delle scuole potessero conoscerlo».Fiorì Palmeri


Il vice sindaco Sorrentino: «Sono senza fissa dimora. Per il Comune nessun obbligo»
Nomadi: è sgombero
La giunta decide di mandare via gli Halilovic

di Silvia Maria Dubois

«L’Amministrazione procederà ugualmente con lo sgombero». La vicenda sulla residenza rilasciata agli Halilovic, famiglia rom stanziata abusivamente sul terreno agricolo di via Nicolosi, dopo le polemiche sembra avviarsi al suo epilogo. «Lo sgombero ci sarà, la giunta ha dato la sua autorizzazione proprio ieri - racconta il vice sindaco Valerio Sorrentino - certo, l’assessore agli uffici anagrafici Michele Dalla Negra ci ha spiegato come quel certificato sia stato rilasciato in base alla legge, ma questa famiglia di nomadi è registrata come “senza fissa dimora” dunque non è gente propriamente residente a Vicenza». Una puntualizzazione che sembra avere delle conseguenze importanti. «Visto che non sono persone che risultano residenti nella nostra città, il nostro Comune, nei loro confronti, non ha nessun obbligo - prosegue Sorrentino - , e così non gli spetta la presa in carico dei minori che vivono lì. Ora aspetteremo che le scuole finiscano per permettere a questi bambini di concludere la frequenza. E poi, da metà giugno, si potrà procedere con lo sgombero». Tutto risolto, dunque? Sembra di sì, ma al vice sindaco qualcosa ancora non è chiaro. «Rimango dubbioso su come si è comportata l’anagrafe in questa faccenda - precisa Sorrentino - ; ripeto che non capisco perchè si sia imboccata questa strada, sapendo della volontà di sgombero espressa più volte dall’Amministrazione. Il rischio di queste situazioni, infatti, è quello di creare un pericoloso precedente e di agire sì a norma di legge, ma senza pensare innanzitutto alla tutela dei cittadini. Se la prossima volta ci arrivano cinquanta montenegrini e chiedono residenza in piazza dei Signori, che facciamo?». Ma lo sgombero dei nomadi non è stata l’unica iniziativa sul fronte della sicurezza che ieri è stata discussa e approvata in giunta. «È stato finalmente deciso di procedere per assicurare alla cittadinanza i vigili di quartiere - racconta il vice sindaco - ;fra poco si preparerà il bando di assunzione per venti vigili, in modo da poter garantire, anche nelle zone residenziali, la stessa sicurezza che ora vige in centro da quando, fra l’altro, gli agenti non girano più da soli, bensì in coppia, per poter intervenire subito e in maniera più incisiva». «Credo che questa sia una delle vittorie più grandi che si porta a casa Alleanza nazionale - conclude Sorrentino - e soprattutto il traguardo più importante raggiunto in pieno accordo col sindaco, dopo la crisi».


Una modifica della legge regionale garantisce di assegnare realmente gli alloggi anche alle forze dell’ordine. La prefettura farà la graduatoria
Ater, subito una casa su 10 agli agenti

(d. n.) Un alloggio su dieci alle forze dell’ordine e in tempi ragionevoli. È il risultato della modifica di una legge regionale che indica nell’Ater l’ente che deve indicare le case ad edilizia residenziale pubblica a favore degli operatori di sicurezza. L’annuncio arriva dal comando regionale Veneto della Guardia di finanza, che ringrazia il mondo politico. Prima della modifica l’Ater doveva indicare ai sindaci dei Comuni nei quali costruiva gli alloggi il numero degli appartamenti di modo che un decimo potesse essere assegnato a finanzieri, carabinieri e poliziotti. Con questo meccanismo sorgevano due questioni: la prima era che quando veniva ultimata una struttura con meno di dieci appartamenti non ne veniva assegnato nessuno agli operatori, e la seconda era che i sindaci chiedevano alla Prefettura una graduatoria di assegnazione. Un passaggio burocratico che faceva perdere, in media, almeno un anno. In qualche caso non si giungeva addirittura mai ad indicare qualcuno che dovesse venirci ad abitare. Per ovviare a questo problema si è reso necessario il cambio che ha portato alla nuova legge del febbraio scorso. «Nel 2005 realizzeremo fra i 150 e i 200 nuovi alloggi - precisa il presidente Ater di Vicenza, Marco Tolettini - e pertanto fra i 15 e i 20 andranno assegnati alle forze dell’ordine». Infatti, all’Ater viene chiesta un’indicazione programmatica iniziale delle disponibilità, e alla stessa agenzia viene attribuito il compito di procedere alle assegnazioni. Di fatto, la prefettura completerà nelle prossime settimane la graduatoria per tutta la provincia e sarà lì che l’Ater andrà a pescare. Il meccanismo consente di non perdere tempo e di avere garanzie sui numeri. La modifica permette di trovare soluzioni in merito ad una questione molto sentita fra le forze di polizia, e cioè individuare un’abitazione pubblica per i loro appartenenti. Molto spesso, complice la mobilità interna di finanza, carabinieri e polizia, gli operatori giungono a Vicenza da altre Regioni e per loro - complici gli stipendi non elevati - diventa impresa improba tentare di acquistare appartamenti e abitazioni. Una situazione che in molte occasioni li costringe a chiedere l’avvicinamento ai paesi di provenienza in tempi stretti. In passato era sorto un vero e proprio casus belli fra alcuni sindacati di polizia e altri enti statali per l’acquisto di abitazioni nel quartiere dei Pomari. «Quando il meccanismo andrà a regime - conclude Tolettini - un’assegnazione su dieci per gli operatori della sicurezza sarà automatica, senza sprechi e perdite di tempo».


La ’fotografia’ che emerge da un sondaggio a 278 studenti di sei istituti vicentini
I giovani? Sono legati alla famiglia ma parlano con gli amici. D’amore
Balestra: «Si privilegia il dialogo rispetto alla produttività imposta dalla società»

di Anna Madron

Hanno un rapporto conflittuale con la famiglia, dedicano molto tempo a “chiacchierare” con gli amici e vorrebbero avere più soldi in tasca, anche se al denaro non sembrano dare troppa importanza, almeno a parole. Sono gli adolescenti vicentini, così come li ritrae un’indagine sui rapporti generazionali promossa dal Movimento per la difesa del cittadino consumatore, in collaborazione con l’assessorato ai Servizi sociali del Comune. Obiettivo: fotografare i ragazzi tra i 14 e i 20 anni, facendo emergere atteggiamenti, idee, disagi e prospettive di una generazione ipecriticata, dal presente difficile e dal futuro incerto. A vuotare il sacco sono stati 278 studenti di sei scuole superiori (Fusinieri, Fogazzaro, Lampertico, Montagna, Quadri e Boscardin) ai quali tra novembre e dicembre scorsi è stato distribuito un doppio questionario, in parte riservato alle famiglie, tra le quali 172 hanno risposto all’appello. Tantissime le domande che spaziano dai rapporti affettivi ai motivi di litigio in casa, dalla gestione del tempo libero agli argomenti di conversazione con i genitori e i coetanei, dai problemi irrisolti nel proprio quartiere alle insoddisfazioni più profonde. Sorprese? Nessuna, dal momento che i risultati dell’indagine rispecchiano in pieno quelli nazionali che tratteggiano adolescenti inquieti ma attaccati alla famiglia, assetati di dialogo e tormentati dal tempo che non basta mai. Il 36% del campione vicentino dichiara infatti che il papà «è sempre occupato», anche se «pronto ad aiutarmi quando ho bisogno» (75%). Più disponibile la mamma che nell’80% dei casi non solo «ha tempo per me», ma a dispetto di stress e sovraccarichi di lavoro «è allegra e scherza volentieri». Tutto sommato l’ambiente familiare risulta “piacevole”, come ha riferito Raffaella Massaro, del Cir di Padova, che ha curato l’indagine e che ieri mattina nella sala del Patronato Leone XIII ne ha illustrato i risultati, alla presenza di Angelo Ferro, Università di Verona, Erminio Gius, Università di Padova, Vincenzo Balestra, direttore del Sert, Franco Venturella del Csa, Andrea Guglielmi, delegato vescovile per l’Azione cattolica giovanile, Mario Zocche, presidente del Centro servizi per il volontariato e Davide Piazza, assessore agli Interventi sociali. A coordinare gli interventi il presidente del Movimento per la difesa del cittadino, Ennio Picano, che ha fatto notare come «gli adulti, distolti dai ritmi incalzanti del quotidiano, finiscono per disinteressarsi dei giovani, tanto da interrompere ogni possibilità di dialogo». Anche se è solo il 13,8% degli adolescenti interpellati a dichiarare senza mezzi termini che «i genitori non mi ascoltano», mentre il 59,6% ammette che in famiglia silenzi e incomprensioni nascono perché «la pensiamo diversamente». Il bisogno di dialogo in ogni caso è forte, al punto che l’attività preferita alla quale si dedica «molto o abbastanza tempo» è proprio “chiacchierare” con gli amici (81,5%), passatempo che supera addirittura l’ascolto della musica, i videogiochi, i programmi preferiti in tv. Con gli amici, dunque, si parla e gli argomenti principe sono in ordine di preferenze l’amore (63,1%), i problemi personali (56,8%), la scuola (51,9%), mentre lavoro e fede nelle conversazioni fra teen agers occupano gli ultimi posti (rispettivamente 15,7% e 4,5%), così come fanalino di coda risulta pure la politica che non sembra infiammare affatto gli animi. Tanto da non comparire nemmeno nella graduatoria dei valori in cui al primo posto troviamo «andare d’accordo in famiglia», seguito da «avere amici», «andare bene a scuola», «avere un lavoro soddisfacente», «star bene economicamente», «non essere disoccupato», «rendersi utile agli altri», «credere in Dio», «guadagnare molto», «essere sempre alla moda» e infine «conoscere persone influenti». E veniamo al disagio. Meno della metà degli intervistati (42,6%) afferma il più delle volte di sentirsi tranquillo e sereno, mentre gli altri parlano di insoddisfazione (18,4%), solitudine (13,8%), incomprensione (9,6%). Il 47% ritiene inoltre che il malessere adolescenziale spinga a fare uso di sostanze stupefacenti, crei conflitti con i genitori (34,8%), crisi di identità (31,7%), depressione e pensieri di morte (31,4%). «È significativo che l’81,5% di questi ragazzi si incontra per “chiacchierare” - sottolinea Vincenzo Balestra - segno che viene attribuito un valore al dialogo e allo stare insieme in modo gratuito, semplicemente per scambiarsi idee, emozioni, pensieri. Si privilegiano insomma le relazioni sociali e affettive che nulla hanno a che vedere con la produttività imposta dalla società del benessere». I giovani sembrano dunque rompere con il modello efficientistico ereditato dai genitori, anche se sarebbe interessante capire se e come cambierebbero le risposte senza cellulare in tasca, senza soldi e senza motorino pagati da papà. Resta comunque che la strada da percorrere, giovani e adulti insieme, è quella della ricerca del tempo “perduto”. «C’è troppa ansia per le prestazioni - conclude Balestra - e poca attenzione agli stati d’animo. Bisogna invertire la rotta, dedicare tempo e ascolto ai figli, privilegiando la qualità dei rapporti». Che occorra “investire sui giovani” lo ha ribadito anche Angelo Ferro, docente di Politica economica all’Università di Verona, mentre Erminio Gius, docente di Psicologia generale all’Università di Padova, ha evidenziato come il relativismo etico, argomento tanto caro al neo pontefice Ratzinger, produca anche negli adolescenti profonde sofferenze, “autentici universi di dolore”. A confidarlo sono gli stessi ragazzi: il 13,8% afferma infatti di sentirsi spesso «solo, senza sapere cosa fare e con chi stare», il 18% non riesce ad immaginare il proprio futuro e il 36% lo vede incerto, senza punti di riferimento. Percentuali a cui dedicare tempo e dialogo.