19 APRILE 2005

dal Giornale di Vicenza

SCHIO.Reduci repubblichini tornano in piazza con la nipote del Duce.
Albergo cittadino, sì ai lavori 500mila euro per ampliarlo
Slitta il processo a Hullweck Il legale è assente.
"Grazie alla fecondazione assistita adesso riuscirò ad essere mamma"

Nel sessantesimo dell’eccidio nel carcere
Reduci repubblichini tornano in piazza con la nipote del Duce

(p. r.) Reduci della Repubblica sociale italiana e militanti dell’estrema destra torneranno a sfilare in città a luglio, in occasione del 60° anniversario dell’eccidio di Schio. “Continuità ideale”, che anche negli anni passati ha organizzato la discussa iniziativa, ha presentato nei giorni scorsi in Questura e in Comune la richiesta di svolgere la manifestazione domenica 10 luglio. È stata annunciata anche la partecipazione dell’on. Alessandra Mussolini, che ha garantito la sua presenza «salvo imprevisti dell’ultima ora», come spiegano gli organizzatori. «Anche questa volta la manifestazione si svolgerà in maniera analoga agli anni precedenti: corteo, commemorazione al Sacrario militare, momento di raccoglimento davanti all’ex carcere dove fu perpetrato l’eccidio - spiega Alex Cioni, referente di“ Continuità ideale” -. In più, quest’anno, ricorrendo il sessantesimo anniversario dalla fine della guerra, vorremmo organizzare anche una conferenza, un approfondimento su Resistenza e Rsi, invitando alcuni storici. Per quanto ci riguarda, anche stavolta intendiamo dar vita ad un’iniziativa tranquilla e senza causare alcun problema, andando semplicemente avanti per la nostra strada. Si tratta, del resto, non di una manifestazione, bensì di una commemorazione di caduti». Va da sé, comunque, che l’intenzione ribadita anche quest’anno di organizzare in città una manifestazione in ricordo dei 54 trucidati dai partigiani nell’allora carcere di via Baratto la notte tra il 6 e 7 luglio 1945, non mancherà di sollevare nuovamente la critiche che sono sorte negli anni scorsi. In più occasioni, infatti, partiti ed organizzazioni del centro sinistra avevano manifestato la loro netta contrarietà, organizzando anche contromanifestazioni.


Il disagio in città cresce: verrà creato più spazio anche alla mensa con 50 posti
Albergo cittadino, sì ai lavori 500 mila euro per ampliarlo
Aumentati i posti letto (da 26 a 46) e camere per le donne

di Chiara Roverotto

L’emergenza, la povertà e la disperazione si fermano anche in viale S. Lazzaro 73. A volte si tratta di una fermata lunga, a volte più breve. Ma di gente ne passa parecchia: nell’ultimo trimestre hanno avuto un letto e un pasto caldo 28 persone che risiedevano in città, di cui 20 italiani e 8 stranieri, e altri 11 provenienti da altre città, di cui 7 italiani e 4 immigrati. Infine, quindici extracomunitari sono stati accolti anche senza permesso di soggiorno: solitamente accade la prima sera, poi viene avvisata la questura, anche perché la struttura deve tenere il registro di chi dorme. E in viale S. Lazzaro di posti non ce ne sono tantissimi: 26 fino all’inizio dell’inverno, portati poi a 40 con le realizzazione di quella che è stata definita la sezione femminile: 14 posti letto riservati alle donne, una delle tante emergenze che interessa questa città. Spesso si tratta di separate, donne lasciate dal marito con figli adulti, che non riescono a reinserirsi nel mercato del lavoro e restano ai margini della famiglia senza alcuna forma di sussistenza. Ma tra breve l’albergo cittadino cambierà muovamente volto, a giorni partiranno i lavori di ristrutturazione: 500 mila euro stanziati in parte dal Comune, dalla Provincia e dalla Regione. Serviranno per aggiungere altri posti letto, si arriverà a 46, verranno completamente rifatti i locali della mensa che ora ospitano una ventina di persone. «Arriveremo a cinquanta - spiega l’assessore ai servizi sociali Davide Piazza ( nella foto) - inoltre verranno sistemati e messi a norma tutti i locali al pian terreno e verrà fatto un nuovo ingresso per la sala mensa. Siamo stati costretti a rimboccarci le maniche ed assicurare più posti anche alla luce di tutte le nuove povertà che riguardano la città: per cui non solo anziani, ma anche giovani che perdono il lavoro e che non riescono e rientrare nel mercato sempre più esigente e selettivo. E ancora malati - prosegue l’assessore - , tossicodipendenti, alcolisti e dipendenti dal gioco d’azzardo. La tipologia è varia, stiamo studiando tutta una serie di progetti per queste persone. L’importante era prima di tutto assicurare a loro un letto dove dormire quindi ampliare la struttura». Senza contare che nel rifugio notturno della Caritas in contrà Torretti in cinque mesi di apertura ci sono stati 11 mila pernottamenti, in leggero calo rispetto allo scorso inverno solo perché l’albergo cittadino aveva appunto ricavato altri posti letto. Ma da alcuni anni a questa parte la struttura di viale S. Lazzaro non si limita a dare semplice assistenza, al contrario. Grazie ad alcuni finanziamenti che la Regione mette a disposizione si predispongono progetti mirati, infatti è nata una sorta di equipe in grado di recuperare alcune persone. «Vengono proposti dei percorsi - spiega Roberto Rizzi, responsabile dell’albergo cittadino - anzitutto in viale S. Lazzaro c’è uno psicologo che una volta alla settimana parla con loro, cerca di individuare quali sono i problemi che riscontrano anche nell’organizzazione della struttura. Poi cerchiamo di capire da dove arrivano, che tipo di problemi hanno: se sono di natura sanitaria o prettamente sociale, a quel punto intervengono i vari servizi. Spesso, se arrivano da fuori, riusciamo anche a contattare gli assessorati delle città da dove provengono e grazie alle informazioni che ci forniscono ricostruiamo parte della loro storia». In viale S. Lazzaro bussano giovani che hanno 18 anni, fino agli anziani che ne hanno 75. Alcuni sono barboni, altri vivono decisamente ai margini e tra loro ci sono molti vicentini. «Come dicevo, basta poco per passare dall’altra parte , quella del disagio - ribadisce l’ assessore Piazza - un lutto, una famiglia che si spacca e spesso non tutti hanno la forza di riprendersi per ricominciare daccapo. E allora interveniamo noi, per quanto possibile cerchiamo di non lasciare queste persone sulla strada...». Gli orari dell’albergo sono ferrei: apertura alle 18.30 per la cena fino alle 22, poi luci spente. Alle 8.30 tutti fuori fatta eccezione per chi può esibire un certificato medico che allora può rimanere. Si mangia due volte al giorno, ma non per tutti: si decide sulla base dei programmi. Molti passano le giornate al bar, al parco o in altre strutture come i centri diurni. Senza dimenticare che quest’anno il Comune ha messo in piedi un altro progetto con la Croce Rossa: nei mesi invernali, infatti gli operatori di contrà Torretti con quelli dell’assessorato andavano in giro per la città a distribuire coperte e caffè caldo per chi si rifiutava di dormire sia all’albergo cittadino che alla Caritas. Ed erano in molti.


Il caso sex mobbing
Slitta il processo a Hüllweck Il legale è assente
Ghedini relatore alla Camera

Slitta il processo nei confronti del sindaco Enrico Hüllweck per il suo coinvolgimento nel caso Baldinato, l’ex assessore al personale che sarà processato a maggio per violenza sessuale nei confronti di almeno un paio di ex dipendenti comunali. Questa mattina il primo cittadino avrebbe dovuto presentarsi davanti al giudice Giovanni Biondo per rispondere di omesso rapporto all’autorità giudiziaria perché - è l’accusa - pur essendo stato a conoscenza delle molestie patite dalle dipendenti, avrebbe coperto il suo ex braccio destro non denunciandolo alla magistratura. E ciò nonostante più donne si fossero presentate da lui per manifestargli oltre al disagio, circostanze umilianti apparentemente fondate. Invece, a causa di un impedimento in Parlamento del suo avvocato Niccolò Ghedini di Padova, che è relatore di un disegno di legge ed è anche uno degli avvocati di Silvio Berlusconi, il procedimento slitterà di qualche settimana. Per la cronaca ieri mattina l’avv. Ghedini era in tribunale per un altro procedimento penale per una bancarotta fraudolenta, ma com’è noto di lunedì il Parlamento di solito è chiuso. Sul conto del sindaco, in base alle indagini cominciate dall’ex procuratore Antonio Fojadelli e proseguite dal pm Paolo Pecori, pesano le dichiarazione di più testimoni che hanno riferito ai carabinieri del luogotenente Lorenzo Barichello che il sindaco sapeva e avrebbe taciuto. La lista dei testimoni si compone delle presunte molestate da parte di Gilberto Baldinato e da altri testi. Al sindaco la procura contesta di essere venuto a conoscenza delle molestie non già nel gennaio 2003 quando egli si presentò in procura dopo una lettera anonima, ma ancora il 31 gennaio 2000 quando una impiegata gli consegnò una lettera nella quale riepilogava l’angosciante vicenda di cui sarebbe stata vittima. In tesi d’accusa Hüllweck, però, non avrebbe preso provvedimenti e soltanto tre anni più tardi il caso esplose.


«Grazie alla fecondazione assistita adesso riuscirò ad essere mamma»
La storia di Alessia, una vicentina che non può avere figli in modo naturale

di Silvia Maria Dubois

Li cerchi per la città e non ne trovi traccia: chiedi ad amici, parenti, politici, donne del comitato pro referendum. Ma non c’è nulla da fare: di coppie che abbiano vissuto il travaglio della fecondazione assistita, nemmeno l’ombra. Allora inizi a sbirciare in internet, visiti tutti i siti dove si raggruppano i disperati della mancata genitorialità. Provi a mettere qualche annuncio, apri un topic, ti inserisci nel bel mezzo di un forum promettendo privacy in cambio di una storia vera. Cominci così a racimolare una quantità impensabile di testimonianze. E ancora più impensabile è il numero di vicentini che nasconde la propria esperienza dietro il pudore di un monitor. Vicentini che ora parlano perché “stufi di vedere in tv politici e soprattutto maschi che discutono e legiferano su intimi dolori altrui e problematiche che nemmeno conoscono” è stato risposto alla sottoscritta da un anonimo collettivo tutto berico che la sera si ritrova a far circolare lamenti e consolazioni via cavo in merito alla legge 40. Vicentini come Alessia, impiegata di 31 anni, al settimo mese di gravidanza, che ora decide di rendere pubblica la propria storia.
- Quando ha scoperto di non essere fertile?
«Fra il 1999 e il 2000 cominciai a sentire dei dolori acuti alla pancia. Una sorta di male mestruale che non passava. Mi feci visitare da un primario ospedaliero di Vicenza, ma mi disse che non avevo alcun problema. Passai ad un secondo medico che mi fece prendere la pillola, ma il dolore non si decideva a passare. Decisi, così, di cambiare ginecologo e scoprii di avere un’infezione alle tube, addirittura peggiorata dall’uso della pillola. Mi dovettero operare svuotandole completamente. Fu dopo quell’intervento che i medici mi dissero che sulla mia probabilità di diventare mamma non mi si assicurava niente. Da quel giorno cominciai, dunque, ad avere rapporti non protetti con quello che nel 2002 diventò mio marito, visto che le possibilità di fecondazione naturale erano basse».
- Quando decise di prendere in considerazione la fecondazione assistita?
«Proprio dopo il matrimonio, alla fine del 2002, io e mio marito ci informammo presso i centri già esistenti in provincia: andammo all’ospedale di Noventa e poi in quello di Thiene ma ci impressionarono i lunghissimi tempi di attesa che si stimavano attorno ai due anni. Allora ci rivolgemmo ad una clinica privata di Bologna, una delle migliori del settore».
- Quanti tentativi fece?
«Mi ritengo una donna fortunatissima, perché al secondo tentativo mi è andata bene ed ora aspetto un bimbo. Il primo non fu nemmeno portato a termine perché non fui in grado di produrre ovuli a sufficienza».
- Con che stato d’animo ha vissuto questa esperienza?
«Non è possibile che gli altri capiscano con esattezza ciò che noi proviamo. Quando vieni a sapere da una telefonata che non ce l’hai fatta, vivi questo momento come una sconfitta drammatica, ti chiedi perché tu devi lottare per un dono che le altre coppie vivono per natura e ti senti più impotente di quanto già tu non ti senta. Io e mio marito, poi, ci siamo trovati nel bel mezzo di questa esperienza proprio quando è entrata in vigore la legge 40, nel 2004, con tutti i limiti che si prospettavano: tentativi numerati, embrioni da salvare anche se malati e via dicendo».
- Al secondo tentativo, però, è andata bene...
«Sì, ma anche lì vivi dei momenti di grande panico finché non conosci l’esito. La prima volta che ti sottoponi a questo genere di cose prevale la curiosità e la speranza. Dopo, invece, ti assale la consapevolezza e lo sconforto. Quando poi ti chiamano per dirti che dalle analisi risulti essere incinta, lì ti riempie un’emotività indescrivibile».
- Quanto vi è costato tutto questo?
«Sui cinquemila euro, con le medicine e i trasferimenti. Ma lo ripeto: noi siamo fortunati, ci è andata bene al secondo tentativo».
- Lo rifarebbe?
«Sì, ma è un percorso più difficile di quanto si possa lontanamente immaginare. Ci vuole soprattutto una notevole complicità di coppia perché si deve scalare una montagna e lo si deve fare insieme. Altrimenti ci si lascia molto prima e si comincia a dire: “è colpa tua”, “no, è colpa tua” e frasi del genere. Insomma, ci vuole una grande forza dentro. E, comunque, avere dei figli in modo naturale è il sogno di tutti: ancora oggi, sebbene al settimo mese di attesa, io non abbandono la speranza di avere il secondo figlio facendo l’amore con mio marito. E questo che gli altri faticano a percepire: il nostro stato d’animo di fronte alla negazione di questa felicità».
- Cosa pensate della legge 40?
«Se ne sono dette di tutti i colori, quando invece la cosa più importante è difendere la libertà di scelta delle persone. Non condivido, poi, la posizione della Chiesa che si intromette in questioni estremamente delicate: se, da una parte, io come genitore ho il dovere di curare un figlio malato, perché non posso scegliere di far nascere quel figlio sano, visto che la scienza mi dà la possibilità di saperlo prima? Chi sei tu per dirmi di dover mettere al mondo a tutti i costi un bambino malato? In nome di quale diritto? Non c’è nulla di hitleriano nel desiderare che il proprio figlio nasca sano».