17 SETTEMBRE 2006

Consiglio, i numeri sulla base Usa
«Impossibile chiudere i poli»
Ore più lunghe, il Rossi si ribella

Consiglio, i numeri sulla base Usa
Una conta sul filo e il parere del sindaco potrebbe essere decisivo

di Antonio Trentin

«Mi pare giusto, doveroso: si riunisca il consiglio comunale, esprima la sua posizione, credo che questa sarà considerata come si deve da parte del governo». Così Francesco Rutelli, l’altra sera ospite d’onore all’Olimpico tra gli "Olimpici del Teatro". Ad ascoltare l’invito mancava il principale destinatario, il sindaco. Con Enrico Hüllweck, il ministro per i Beni culturali aveva scambiato appena qualche battuta, prima che sulla scena piovessero premi e applausi. Poi, al momento giusto, uno da una parte e uno dall’altra. Ma la richiesta che Vicenza si pronunci resta pressante, perché il copione del confronto in sala Bernarda ormai è vicino. Con i numeri che misurano un risicato vantaggio del Sì alla base americana - come si calcola nella tabella qui sopra pubblicata - proprio il parere del sindaco potrà essere decisivo. Sempre ammesso che lui si discosti dai suoi o che la maggioranza gli voti contro su un caso così delicato. E Hüllweck - trattenendo ancora un Sì o un No espliciti - resta ben ancorato alla prudenza che gli ha dettato il "rimpallo su Roma" dei giorni scorsi e i contro-quesiti scritti al ministro della Difesa Arturo Parisi (con relativa contro-risposta attesa a Vicenza, su cui ieri sera non c’erano notizie: magari è di nuovo ferma tra i fax del Comune, come la prima missiva nei giorni della Festa dei Oto, o magari il ministero non l’ha ancora spedita...). Sorte prevista per la pista dell’aeroporto ed eventualità di voli militari sulla futura base Usa. Finanziamento delle opere connesse alla super-caserma da realizzare in città, in particolare la viabilità «che non può essere solo quella della stradina di collegamento della base, ma è tutta la viabilità periferica che ne verrebbe interessata». Futuro del personale della "Ederle", «se è vera, e non è una balla o un ricatto, l’ipotesi che la caserma chiuderà, se non verrà raddoppiata all’aeroporto». Hüllweck torna a citare questi tre dubbi e confessa di essere adesso, su di essi, anche parecchio «sospettoso e preoccupato». Quando ne saprà di più, a giorni ormai, si potrà dibattere e dare un parere in consiglio comunale.
- Forza Italia sta proponendo il 5 ottobre come data per il dibattito: è d’accordo?
«Può andare bene, ma se si vuole si può anche anticipare di qualche giorno. Comunque c’è una cosa da dire: non penso proprio che sia così categorico questo limite di metà ottobre di cui si è parlato: gli americani non mi vengano a dire che hanno bisogno di una risposta così urgente per mettere nel loro bilancio delle spese militari una cosa come questa di Vicenza di cui parlano da anni. Anche perché la spesa sarebbe programmata su più bilanci».
- Questo potrà chiederlo all’ambasciatore statunitense, se lo vedrà la settimana prossima a Roma. E se nel frattempo la chiama anche Parisi, lei va dal ministro?
«Come no? Ritengo che un’analisi seria implichi anche un confronto faccia a faccia. ’Sta menata delle lettere, con uno che scrive e un altro che risponde, è rischiosa».
- C’è la solita domanda che tutti fanno e che non ha una risposta: allo stato attuale, dopo tanto discorrere e dopo che in sala Bernarda si sono visti anche i disegni delle palazzine da costruire al "Dal Molin", lei è favorevole o no alla base?
«Ripeto che la proposta è talmente vaga che può essere tanto accettabilissima come fastidiosissima. Torno a citare la questione degli aerei: se mi dicono che non ci saranno mai aerei americani che atterrano alla base, è un conto. Se mi dicono che potrebbero essercene occasionalmente o eccezionalmente, è un altro conto. Qual è l’occasionalità? O l’eccezionalità».
- Provando ancora a chiarire e tornando alle sue domande-riserve scritte a Parisi: si può dire che il sindaco sarà per il Sì, se gli verranno risolti tutti i dubbi esposti al ministro?
«Se gli elementi critici che ho esposto non vengono chiariti, io sono sul negativo. O mi tolgono le preoccupazioni che ho o non sono d’accordo».

Tutti dicono di voler votare Sì o No ma non succederà prima di ottobre

Il 5 ottobre, un giovedì di ordinaria convocazione in Comune. Potrebbe essere questa la data buona per avere, finalmente, quel parere ufficiale - semplicissimo e difficile: un Sì o un No - che Vicenza attende da mesi dai suoi politici sul "Dal Molin" super-caserma americana. Ne parlavano ufficiosissimamente, ieri, i capigruppo di destra e di sinistra, ragionando su una mezza proposta del forzista Andrea Pellizzari. Giovedì prossimo sarebbe troppo presto: il viavai di lettere e controlettere tra il ministero della Difesa e Palazzo Trissino forse non è ancora finito; il sindaco sarà in viaggio per Roma mercoledì e conta di vedere l’ambasciatore statunitense Ronald Spogli (e magari qualcun altro di importante); ventiquattr’ore potrebbero non bastargli per andare, discutere, ritornare e comunicare a Palazzo. La settimana dopo, l’ultima di settembre, il consiglio comunale non è convocato: se si è aspettato mesi, si può ancora aspettare giorni, dice sul tema l’agenda lentocratica della sala Bernarda. E in più proprio Pellizzari, capo del gruppo più grosso nonché esplicito sostenitore dell’arrivo della maxi-base («il direttivo del mio partito si è già espresso a favore» ricorda), in quel periodo sarà fuori città e non è il caso di far mancare numeri al conto già risicato dei favorevoli. Buono il 5 del mese prossimo, allora, per sapere un Sì o un No? Probabile, perché così tutti finirebbero per avere sott’occhio le ultime carte utili per decidere, anche i più prudenti del centrosinistra, come il margheritino Marino Quaresimin che non fa fretta al calendario del confronto finale. «Si dovrà comunque interpellare anche la città: in un caso del genere non basta il voto delle istituzioni» dice subito Emilio Franzina per il Prc-Rifondazione, che sta sul fronte del No insieme col resto dell’Unione. Ma un voto, comunque, adesso sembrano pronti tutti a darlo, compresi quelli che nelle scorse occasioni hanno fatto muro di gomma, limitandosi a bocciare i No, ma senza mai votare il Sì. La compattezza del centrodestra - schierato a favore della base Usa con dubbi complessivamente minori di quelli che ha palesato Enrico Hüllweck capo dell’Amministrazione - non è garantita al 100 per cento dai capigruppo e ha esplicite falle nella coppia "mista" Bettenzoli-Equizi e nell’Udc. «Porte aperte agli americani - dice Mario Bagnara, conciliante ma non troppo - ma chi pagherà la nuova viabilità, per esempio? Se vogliono aumentare la loro presenza, gli americani devono aiutare la città». Se non si impegneranno con chiarezza, voto negativo anche dallo scudocrociato. Alla garanzia che non ci saranno «oneri aggiuntivi» fatti pagare al Comune vincolano il loro consenso la Lega Nord con Manuela Dal Lago e Alleanza nazionale con Luca Milani. Che torna ad aggiungere al conto da presentare all’amministrazione militare Usa anche le future spese per un nuovo campo di rugby, dopo lo sfratto che patirebbe l’associazione presieduta dall’aennista Sante Sarracco. E intanto Vicenza Capoluogo, preparandosi al No, spartisce le critiche con ampiezza bipartisan: «Assurdo il rimpallo tra governo e Comune su chi deve esprimersi. È chiaro l’atteggiamento possibilista dell’Amministrazione Hüllweck ad accogliere la richiesta dei militari americani: ciò è riscontrabile dalle dichiarazioni fatte negli ultimi anni dal sindaco e dai suoi assessori e dal "via libera" dato dall’allora presidente del consiglio Berlusconi alla definizione di un progetto, poi presentato in consiglio comunale. Ma non abbiamo ancora sentito una posizione esplicita dell’attuale governo che continua, giustamente, a chiedere la concertazione degli enti locali, ma non fornisce alcuna indicazione di tipo politico».

I partiti dell’Unione ci pensano
Si fa un referendum tutto autogestito?

L’Unione di centrosinistra - intesa come partiti e capi dei partiti - sta pensando seriamente, molto seriamente, a organizzare un referendum autogestito sul caso-Dal Molin, se una qualche consultazione pubblica non verrà promossa dall’Amministrazione comunale. Il modello sarebbe la "primaria" fatta nell’ottobre scorso per intronizzare Romano Prodi leader della coalizione: seggi aperti in luoghi pubblici, partecipazione libera a tutti i cittadini, scheda semplicissima per un Sì o un No netti, scrutinio fatto davanti agli occhi di tutti gli interessati. Ieri ne parlavano le due big parlamentari del centrosinistra vicentino, la margheritina Laura Fincato e la diessina Lalla Trupia: «Chiederemo a Vicenza di pronunciarsi: in fondo è quello che sollecitava Prodi due mesi fa, quando parlava di consultazione con la città» promette la prima; «Il sindaco è stato prima attivo fautore del progetto per la base americana e adesso si dice "personalmente contrario": ma devono pronunciarsi i cittadini» completa la seconda. Insieme spiegano che la decisione sarà sottoposta entro pochi giorni al giudizio dell’intera coalizione e che la consultazione "in proprio" potrebbe essere fatta entro qualche settimana, «indipendentemente da quello che farà il consiglio comunale». Fedelissimi dell’idea referendaria restano un po’ tutti i partiti dell’opposizione comunale: «È la forma migliore per far decidere Vicenza e resta l’opzione primaria del nostro partito» commenta il capogruppo Ds Luigi Poletto. «L’unico modo per rispondere a Prodi è il referendum consultivo ufficiale - insiste il verde Ciro Asproso - perché solo così si potrà concludere la vicenda con un parere netto e inequivocabile dei cittadini». E quest’ultima ipotesi di referendum "volontario"? «Resto dell’idea - risponde il capogruppo del Sole-che-ride - che il Comune possa promuovere una propria consultazione ufficiale: un referendum proposto da una parte politica, per quanto libero e aperto, resterebbe sempre contestabile».

Il comitato dei dipendenti chiede una decisione per chiudere la partita
Per quelli del “sì” è l’ora della verità La Ederle chiede: «Adesso votate»

di Maria Elena Bonacini

«Chiediamo che il consiglio comunale voti, in qualsiasi modo, ma che ci dia qualche risposta». Questa la richiesta del comitato che sostiene la realizzazione della base militare Usa all’aeroporto Dal Molin, promosso dai dipendenti vicentini della caserma Ederle, che vedono altrimenti minacciati i loro posti di lavoro. «Se ci siamo costituiti in comitato - spiegano tramite il portavoce Roberto Cattaneo - non è solo per il nostro lavoro, ma anche perché condividiamo il progetto della base al Dal Molin. A noi lo status quo andrebbe benissimo, non siamo guerrafondai come ci hanno accusato di essere, vogliamo la pace, ma la realtà della caserma la vediamo tutti i giorni. È una realtà diversa che ci ha dato per 50 anni la possibilità di vivere bene e ha permesso a Vicenza di avere un’economia forte. Non crediamo che il progetto del Dal Molin sia pericoloso come vuol far credere chi da mesi fa disinformazione». Per loro, insomma, «il volantino diffuso dai comitati del no è zeppo di menzogne e preoccupazioni al 90 per cento ideologiche. Come è una leggenda quella della certezza di mantenere i nostri posti di lavoro: solo un terzo sono assicurati. Se la Ederle fosse un’azienda davanti al rischio di chiusura ci sarebbero mille appoggi. Mentre le ditte del Vicentino delocalizzano gli americani raddoppiano e gli si dà contro». E proprio sull’indotto della caserma puntano i sostenitori del “sì”, che spiegano come in un secondo momento sarebbe da riadattare anche il 70 per cento della caserma Ederle, e anche quei lavori «per un valore di circa 800 milioni di dollari, sarebbero messi in gara e appaltati a ditte italiane, utilizzando materiali italiani». Proprio per questo, secondo il comitato, le 10 mila firme raccolte «sono di esercenti, operai, tutto quell’indotto che non vuole che la base vada via, e non sono stati abbindolati con un quesito poco chiaro, perché i fogli erano corredati da un’introduzione dettagliata sul progetto. Se il sindaco Enrico Hüllweck le contesta, è una presa di posizione abbastanza chiara». Uno dei punti più battuti dal comitato è il non sorvolo della base, una delle questioni sulle quali Hüllweck ha ripetutamente chiesto rassicurazioni prima di esprimere un parere. «Gli americani - spiegano - hanno detto più volte che a loro non interessa. E comunque il Comune potrebbe anche dare parere positivo ponendo come condizione che sia garantito il sorvolo».


Immigrati. La questura: «I tempi lunghi dei permessi di soggiorno dipendono dal picco di ingressi e sanatoria»
«Impossibile chiudere i poli»

«I tempi per ottenere il permesso di soggiorno si allungano perché c'è stato un picco, dovuto ai rinnovi della sanatoria e ai nuovi ingressi in Italia che hanno fatto aumentare le richieste del 44 per cento. Chiudere i poli significa, di fatto, allungare ancora più i tempi, anche perché la convenzione su scala nazionale con le poste, che doveva partire in giugno, è slittata sulla carta ad ottobre e non si sa con certezza quando e come partirà. Il rischio è quello di trovarsi scoperti, senza né poli né poste». La posizione della questura in merito alla chiusura dei “poli per l'immigrazione”, paventata dai Comuni che fanno parte dell'iniziativa con una lettera al prefetto, è chiara. I tempi sono più lunghi perché maggiore è il carico di lavoro, e non vi è possibilità concreta di aumentare significativamente l'organico dell'ufficio immigrazione a causa dell'annosa carenza di personale della polizia vicentina. Far cessare l'attività dei poli - che fino ad oggi hanno rappresentato un modello di riferimento per tutta Italia - vorrebbe dire gravare ancor più sulla questura stessa e, di fatto, sugli stranieri. Due recenti riforme hanno reso più comoda, peraltro, l'attesa di un rinnovo del permesso di soggiorno. Da giugno, infatti, il questore Dario Rotondi concede la proroga del permesso fino alla data dell'appuntamento per ricevere quello nuovo; in agosto, poi, la Gazzetta ufficiale ha pubblicato la cosiddetta "Direttiva Amato", con cui il ministro dell'Interno certifica come la ricevuta della domanda del rinnovo vale tanto quanto il permesso. In concreto: l'immigrato è in regola, con gli stessi diritti che aveva prima, fino a quando non ha in mano l'agognato documento. I mesi di attesa sono dunque "coperti", e tutti i Comuni, gli enti, le associazioni di categoria - alle quali la questura lo ha comunicato - devono adeguarsi a queste disposizioni ministeriali. I comuni di Vicenza, Bassano, Schio, Chiampo, Arzignano e Tezze sul Brenta, come ha spiegato l'assessore berico agli Interventi sociali Davide Piazza, hanno scritto al prefetto Mattei affinché trovi una nuova forma di collaborazione con la questura, accusata di vanificare con i ritardi l'impegno anche economico delle amministrazioni locali. I Comuni, inoltre, hanno precisato che gli immigrati si lamentano con loro per i tempi lunghi. Nei mesi scorsi, però, quando da Roma era stata avanzata l'ipotesi di affidare il servizio di raccolta dei documenti per il rinnovo del permesso alle poste, era stata verificata la possibilità di promuovere il modello vicentino (i poli, struttura rara in Italia ed estremamente funzionale) come alternativa. Un progetto che avrebbe potuto essere curato dall'Anci, ed in merito al quale l'onorevole Mauro Fabris aveva scritto al vecchio governo. Di quell'idea, però, non si è fatto più nulla: ora, con la chiusura dei poli - che dovrebbero cessare l'attività a fine dicembre - e con l'accordo con le poste ancora da definire, i disagi per gli stranieri potrebbero aumentare considerevolmente, anche se restano “coperti” e rispettati nei loro diritti. Se il picco di richieste degli ultimi mesi sta per essere superato, una soluzione per il futuro potrebbe giungere dalla chiusura della scuola di polizia, che garantirebbe alla questura personale in più. «Se il meccanismo dei poli funziona - aveva scritto Fabris all'ex ministro dell'Interno - non ha senso modificarlo. È con la collaborazione e la sinergia, senza accuse reciproche o particolarismi, che si risolvono i problemi». Tempo per chiudere il caso in maniera positiva per gli stranieri, fino a dicembre, ce n'è ancora.


La fine delle lezioni è stata spostata alle 13.35. Scatta lo sciopero del primo sabato di scuola
Ore più lunghe, il Rossi si ribella
Sciopero e traffico bloccato Contestata la preside Biondi

di Anna Madron

Sono scesi in strada, hanno fermato il traffico e protestato tra striscioni e slogan. È stata una manifestazione massiccia quella di ieri mattina al Rossi, rumorosa e impossibile da non notare, visto il nutrito corteo di ragazzi che hanno deciso di disertare le lezioni - appena il 10-15% è entrato in classe - protestando in modo vistoso contro la scuola e la dirigente Zeila Biondi. Ma anche moltissimi docenti, a quanto raccontano i ragazzi, non condividono le nuove decisioni della preside. Motivo della querelle, che tra l’altro coincide con il primo sabato dell’anno scolastico, giorno in cui per “tradizione” i ragazzi incrociano le braccia, è la modifica dell’orario che aggiunge una manciata di minuti a quello in vigore in passato. In sostanza se la prima campanella quest’anno suonerà come sempre alle 7.45, l’ultima verrà invece posticipata alle 13.35 (anziché alle 13.15). Venti minuti in più che erano già stati deliberati dal collegio docenti qualche giorno addietro, fa sapere il vicepreside Giorgio Spanevello, che sottolinea come la recente circolare del direttore generale Carmela Palumbo sul rispetto dei sessanta minuti di lezione, là dove “cause di forza maggiore” non lo impediscano, non sia strettamente legata alla decisione presa al Rossi. Tutto è nato, piuttosto, da una lettera con la quale la preside Biondi ha interpellato le aziende di trasporto, Aim ed Ftv, per capire quando, dal loro punto di vista, sarebbe stato più opportuno terminare le lezioni al Rossi, scuola caratterizzata da grandi numeri e da un’utenza che arriva gran parte da fuori città, servendosi non solo degli autobus ma anche delle corriere. Alle 13.35, è stato il responso di Aim e Ftv, tutt’altro che ignorato. Anzi, messo subito in pratica con l’aggiunta, appunto, di quei venti minuti che portano le ore di lezione a 55 minuti. Senza obbligo di recupero per gli insegnanti, dato che i 60 minuti caldeggiati dalla circolare regionale sarebbero impossibili da attuare e si scontrerebbero con le già citate cause di forza maggiore, in altre parole con le carenze del servizio trasporti. «Ci siamo mossi in maniera autonoma rispetto alle altre scuole - spiega Spanevello - cercando un’intesa con la controparte che non è mai stata raggiunta durante i numerosi incontri organizzati in Comune alla presenza dell’assessore Cicero e degli altri dirigenti». Se l’accordo non arriva, dunque, meglio cercarselo da soli. E così il Rossi ha fatto, confrontandosi direttamente con i propri interlocutori in materia di strade e mezzi di trasporto. «Uscendo alle 13.35 gli studenti trovano subito gli autobus e non aspettano - afferma Spanevello - anche se chi abita in provincia gioco forza torna a casa più tardi». Uscire di scuola dopo l’una e trenta, tenuto conto che il 70% dell’utenza del Rossi arriva da fuori, significa per tanti giovani rincasare sicuramente dopo le 14 e magari più verso le 15 per chi deve recarsi in stazione e da lì salire su una corriera Ftv diretta a Montebello o a Noventa. Di qui i malumori dei ragazzi che ieri mattina si sono fatti sentire prima davanti all’istituto e poi lungo le vie limitrofe dove sono transitati in massa, bloccando il traffico e creando non pochi disagi a chi a quell’ora si trovava a passare da quelle parti. Intanto nell’istituto di via Legione Gallieno ad ogni singolo studente è stato consegnato un modulo da compilare, relativo al luogo di residenza e ai mezzi utilizzati, che poi verrà esaminato dalla scuola insieme alle aziende di trasporto. «Per capire - conclude il vicepreside - e possibilmente andare incontro ad esigenze particolari, soprattutto di coloro che abitano in zone poco servite dai mezzi pubblici. Per il momento, comunque, qualsiasi richiesta di uscita anticipata verrà soddisfatta, e così anche in futuro, se ci saranno ragazzi per i quali il nuovo orario costituirà davvero un problema insormontabile».