16 LUGLIO 2006

«Base Usa: già prenotati i cavi Aim»
Gli americani al Dal Molin? «Il governo deve dire di no»
Affitti agli stranieri, la Gdf indaga
L’impresa al servizio segreto di Sua Maestà

«Base Usa: già prenotati i cavi Aim»
Rolando (Ds): «Gli americani vogliono potenziare le linee verso il Dal Molin»

(g. m. m.) Gli Usa hanno fretta, si sapeva. E hanno bisogno di energia per sviluppare il progetto di costruire una nuova caserma all’aeroporto “Dal Molin”. Lo si apprende dall’ennesima richiesta di dibattito in consiglio comunale, inoltrata ieri dai consiglieri Giovanni Rolando (Ds) e Sandro Guaiti (Margherita). I due esponenti dell’opposizione chiedono conto, in particolare, delle indiscrezioni secondo cui i vertici militari americani sarebbero in contatto con Aim per «opere di potenziamento delle linee elettriche che già sarebbero state programmate da Aim Energia per servire la nuova base militare». Secondo quanto riportato nel documento di Rolando e Guaiti, si prospetta la posa di «cavi dedicati di media tensione da 10-20 kilovolt, con una sezione di 95-100 millimetri quadrati, con un nuovo allacciamento alla centrale di Monte Crocetta». «I cittadini hanno bisogno di avere informazioni - concludono i due consiglieri - per sapere chi ha autorizzato la stesura del progetto, chi ha deciso i sondaggi per l’idoneità dei terreni e se esistono accordi con il Governo Berlusconi». Sempre dall’opposizione proviene un’altra richiesta di dibattito, firmata dal Verde Ciro Asproso e altri colleghi: «L'accorato appello del coordinamento dei comitati, sorto per contrastare il progetto di una nuova base americana al Dal Molin, non può lasciare indifferenti quanti, su mandato degli elettori, ricoprono cariche istituzionali e di rappresentanza democratica. Si tratta di un progetto che, qualora realizzato, produrrebbe pesantissimi effetti di carattere urbanistico, viabilistico ed ambientale, ma avrebbe serie ricadute anche in relazione alla sicurezza e al benessere sociale. Se appare più che legittima, la richiesta dei cittadini di vedersi ben rappresentati, con sincerità e autorevolezza, ai diversi livelli istituzionali, altrettanto legittima è la necessità di consentire al consiglio comunale di esprimersi sull'intera vicenda interpretando appieno il volere popolare». L’appuntamento è per martedì, quando le diverse richieste verranno messe ai voti e quando è pronosticabile una massiccia presenza in sala Bernarda da parte di esponenti dei comitati. «Della caserma se ne parla in tutti i bar - conclude Asproso - possibile che non se ne parli proprio in Consiglio?». Nell’infuocato clima politico che circonda il progetto della nuova base, si registra infine una stoccata di Alleanza nazionale contro il segretario dei Comunisti italiani Oliviero Diliberto, in visita a Vicenza venerdì. «A quanto pare finalmente l’ha capito anche la sinistra che sul Dal Molin tocca al Governo prendere una decisione - affermano il deputato Giorgio Conte, il capogruppo Luca Milani e il presidente della circoscrizione 5 Marco Bonafede -. Il segretario dei Comunisti Italiani ha infatti confermato che sul progetto della nuova base americana al Dal Molin deciderà il governo Prodi, che è esattamente ciò che ripetiamo da giorni. Quello che avremmo voluto sapere dall’on. Diliberto è il motivo per cui il governo Prodi non è ancora intervenuto su questa vicenda, anche se non è difficile immaginarlo, viste le contraddizioni del centrosinistra in politica estera». «Prendiamo atto inoltre della preoccupazione di Diliberto per la sicurezza di Vicenza, che a suo dire diventerebbe un potenziale obiettivo sensibile per le attività anti-Usa - è la conclusione -, anche se ci fa sorridere visto che fino ad oggi le uniche manifestazioni violente a cui abbiamo assistito in città sono quelle dei suoi amici no-global davanti alla Ederle e alla Chinotto».


«Vicenza diventerebbe un obiettivo sensibile dell’attività anti-Usa»
Gli americani al Dal Molin? «Il governo deve dire di no»
Oliviero Diliberto contro la nuova base: «Mette a rischio la città»

di Antonio Trentin

- Onorevole, lei è arrivato a Vicenza chiamato a rinforzare il “no” del Pdci alla nuova base americana al Dal Molin: ha portato qualche notizia da Roma, dove non si sa bene che cosa stia succedendo?
«No. Secondo me a Roma non si sa quasi niente e comunque nessuno ne discute. La nostra azione parlamentare sarà appunto quella di conoscere quello che era successo al tempo del governo Berlusconi e di agire sul governo attuale per un “no”».
Così il leader dei Comunisti italiani Oliviero Diliberto, ieri pomeriggio in città per l’inaugurazione della nuova sede provinciale del partito che ha preceduto un dibattito serale all’hotel Alfa Fiera - presenti anche Nicola Atalmi e Giorgio Langella, segretari regionale e vicentino, e Oscar Mancini segretario della Cgil - sull’intreccio tra temi urbanistici e progetti per la super-caserma Usa in viale Sant’Antonino. Diliberto ha lanciato, insieme all’impegno sul “no”, l’allarme sul rischio-Vicenza: «Con una nuova base americana la città diventerà un obiettivo sensibile dell’attività anti-Usa. Si mette a repentaglio la vita dei cittadini - ha detto - per regalare una caserma agli americani, in pieno centro abitato. Questo è avvenuto nel silenzio della giunta comunale e non sappiamo con quali patteggiamenti fatti dal precedente governo».
- Restiamo sul “no” alla caserma: qui in città si oscilla tra l’opposizione per fatto ideologico e l’opposizione per questione urbanistica. Se fosse vicentino, si infastidirebbe di più per l’arrivo della base “a stelle e strisce” o per l’impatto edilizio di un nuovo “quartiere separato”?
«Onestamente, più per la base. Mette a rischio Vicenza e non si capisce perché debba succedere».
- Forse perché la logistica è eloquente: c’è già una base importante, ci sarebbe a disposizione la pista aeroportuale...
«Va bene, ma non capisco cosa ne viene di buono per i vicentini. Il mio partito dà solidarietà piena a chi contrasta questa base e si attiverà nel governo».
- Dal punto di vista pratico, che cosa farete?
«Io non so se ci sia, voglio capire. Ma dobbiamo sapere se dietro al progetto per la base c’è un iniquo accordo già fatto o promesso dal governo Berlusconi».
- E se tocca a Prodi decidere?
«Per noi è no. Il nostro governo deve caratterizzarsi per essere un governo di pace, non di guerra. Non deve avallare un’operazione dissennata come questa di Vicenza».
- Un po’ di politica nazionale, onorevole Diliberto. Nel trimestre post-elezioni già diversi guai hanno complicato i rapporti interni all’Unione. Silvio Berlusconi aspetta il possibile tonfo, ma dice che l’ “incollaggio” alle poltrone sarà più forte di tutto. Secondo lei?
«Fa la domanda al partito sbagliato: noi non abbiamo preteso poltrone e abbiamo indicato per un ministero una personalità indipendente, il professor Bianchi».
- Ma il giudizio sull’avvio del governo?
«Brutto il modo di partire con 102 membri. Buono invece l’avvio della politica estera. Buona anche la liberalizzazione delle professioni. Luci e ombre nel Dpef».
- Su liberalizzazioni e professioni i provvedimenti del governo sembrano un classico esempio dell’anomalia italiana: la sinistra fa le cose tipiche della destra, che non le ha fatte.
«Attenzione: io queste liberalizzazioni anti-corporative le giudico di sinistra. Liberalizzare la sanità può essere di destra, ma non lo è colpire le corporazioni che costano soldi ai cittadini. Tant’è vero che il governo Berlusconi non le aveva mai toccate».
- Prodi farà digerire da sinistra anche “lacrime & sangue” per il risanamento dei conti dello Stato?
«Dipende da chi lacrimerà e chi sanguinerà... Ho trovato estremamente positivo che siano più tassate di prima le stock option, le partecipazioni azionarie con cui i dirigenti d’azienda si auto-premiano».
- Una questione di topografia a sinistra: quando il Pdci alza la sua bandiera, dentro la coalizione, il più delle volte dà l’idea di farlo per una corsa a scavalco con Rifondazione.
«Rispondo in termini geometrici: sulla linea del cambiamento di posizioni, io non mi sono mosso, in questi anni. Le cose che sostengo adesso, le sostenevo dieci anni fa: leali al centrosinistra, ma fermi sui contenuti. Forse è Rifondazione che si sposta su un versante più moderato e ci scavalca a destra: perché deve far dimenticare il 1998 e lo sgambetto a Prodi».
- Sul rifinanziamento della missione militare italiana Afghanistan, questione di queste ore, Rifondazione risulta “ragionevole”, voi gli “estremisti”. La sua conclusione è stata: «Mi piego al senso di responsabilità».
«Ho sempre detto che non avremmo mai votato fuori dall’Unione. Ma abbiamo ottenuto di discutere. In Afghanistan c’è la missione italiana con l’Onu e la Nato e c’è l’Enduring Freedom americana: a questa non dobbiamo più partecipare».
- Il suo partito ha anche chiesto il ritiro dell’ambasciatore italiano da Israele. Da destra attaccano: nel governo ci sono gli “amici di Hezbollah” e del terrorismo anti-israeliano. Lei è uno di questi amici?
«Macché amico... Io guardo a quello che sta succedendo. Al Libano che può diventare una testa di ponte per aggredire Siria e Iran, l’altro braccio della tenaglia Iraq-Afghanistan. L’intervento dell’Onu come forza di interposizione è auspicabile».
- Ma, dica la verità, secondo lei l’ambasciatore italiano tornerà o no a casa?
«Mah... Sono realista: non credo. La nostra, comunque, è una presa di posizione politica chiara».

L’intervento della consigliera Garbin
Il Ppe attacca Hüllweck «Si sbrighi a dire di no»

di Giovanni Zanolo

«A causa dell'immediata scadenza dei finanziamenti gli americani stanno per cominciare i lavori: bisogna sbrigarsi». Ad ingrossare le fila del coro di no alla base americana al Dal Molin arrivano rinforzi anche dallo stesso centrodestra comunale. La consigliera Chiara Garbin, formalmente ancora forzista, ma Ppe de facto, si unisce così al centrosinistra nella radicale critica alla linea del sindaco Enrico Hüllweck e, di conseguenza, nel chiedere un immediato messaggio di stop da parte del Comune a Roma sull'edificazione dei 700 mila metri cubi di caserma. La consigliera, in veste di presidente del circolo di Vicenza del Movimento Veneto per il Ppe, ritiene necessaria un'accelerata alle iniziative per fermare il progetto: «Ormai non c'è più tempo per dibattere o percorrere strade alternative. Il continuo battibecco o rimpallare di responsabilità crea solo maggiore confusione. E non si è ancora compreso quali sarebbero i benefici per la città: si parla di 800 milioni di dollari per lavori da affidare a ditte vicentine, di 400 nuove assunzioni e di un contributo di 40 milioni di euro per opere di viabilità. Tutto ciò vale veramente il prezzo per una città Unesco come Vicenza? A parte l'immediato introito, si è pensato alla ricaduta nel medio-lungo termine?». L'unica strada da percorrere, per la carolliana, è qualcosa che - guardando ai recenti sviluppi (regressi?) del sempre più tormentato dialogo fra Comune e Governo - implicherebbe una svolta non da poco: «Il sindaco stesso si renda portavoce verso l'attuale governo - chiede la Garbin - presentando un documento dettagliato che evidenzi e sottolinei le oggettive difficoltà nel realizzare l'opera a Vicenza, in quanto ne bloccherebbe lo sviluppo futuro». Nel frattempo, mentre il Ppe vicentino cerca di smuovere le acque, alla Circoscrizione 5 (la diretta interessata al futuro del Dal Molin) i consiglieri di minoranza denunciano calma piatta da parte del consiglio di circoscrizione: «Mentre i cittadini raccolgono firme, i comitati lanciano appelli, i parlamentari presentano interrogazioni, e avanzano i lavori di bonifica, il consiglio della 5 tace - accusa il consigliere dei Verdi Agostino Masolo - Fedele esecutore delle strategie del sindaco il presidente Marco Bonafede ha iniziato le attività di luglio dando una serata di libertà alla sua maggioranza facendo mancare il numero legale al primo consiglio del mese, quando era all'ordine del giorno una mozione presentata dalla minoranza che esprimeva un no al nuovo insediamento americano. Ha in seguito annunciato una mozione di maggioranza sull'argomento, per poi fissare la data del prossimo consiglio di circoscrizione alla metà di settembre, mandando tutti in ferie». Conclude preoccupato Masolo: «In giorni così determinanti per le vicende dell'aeroporto questo atteggiamento denuncia il totale disinteresse per le istanze dei residenti».


L’inchiesta. Le fiamme gialle stanno compiendo una serie di controlli a campione sui contratti
Affitti agli stranieri, la Gdf indaga
Al vaglio la regolarità dei rapporti e i contributi di migliaia di titolari

di Diego Neri

Un’indagine a vasto raggio, con centinaia di verifiche su contratti e affitti. È quella che la guardia di finanza di Vicenza sta compiendo in questi giorni sui rapporti fra i proprietari di appartamenti e i loro affittuari immigrati. Una realtà sempre più diffusa stante il crescente numero di immigrati che vivono in città e provincia e che il comando generale delle fiamme gialle, su scala nazionale, ha deciso di mettere a fuoco nell’ottica di combattere forme di irregolarità e di evasione. I finanzieri del colonnello Arturo Mascolo stanno inviando a numerosi vicentini degli inviti a presentarsi in caserma; altrettanti ne stanno spedendo agli stranieri che alloggiano in affitto in città e nell’hinterland. L’obiettivo? Verificare la documentazione che regolamenta i rapporti fra i proprietari degli alloggi e chi ci vive. Un’indagine analoga era stata affrontrata lo scorso anno sul fronte degli affitti agli studenti universitari, e gli inquirenti riscontrarono numerose irregolarità. In questo caso, però, i profili di mancato rispetto delle normative sono diversi, e non solo di aspetto amministrativo. Il proprietario di un appartamento, infatti, prima di cederlo in affitto deve verificare se lo straniero a chi lo affida è in regola con il permesso di soggiorno; in caso contrario potrebbe essergli contestato il favoreggiamento della permanenza clandestina in Italia, se era a conoscenza che si trattava di una persona senza permesso. Inoltre, oltre al rispetto del contratto con il versamento di contributi, c’è da accertare anche che chi abita nell’alloggio non lo subaffitti ad altri, e che il numero di persone che vi abitano sia superiore ai termini du legge. L’inchiesta delle fiamme gialle mira a far luce nel sottobosco di affitti che costituiscono un ingente movimento d’affari per i proprietari di appartamenti: affari gestiti a volte totalmente o parzialmente in nero, con vantaggi fiscali tanto per i titolari quanto per gli stranieri, che in questo modo abbattono illegalmente le spese. Gli accertamenti sono partiti nelle scorse settimane dai finanzieri comandati dal capitano Roberto Atzori, che hanno contattato centinaia di titolari o locatari sollecitandoli a presentarsi. A ciascuno è arrivata una lettera con l’invito a presentarsi per «dare chiarimenti, fornendo dati, notizie e precisazioni per consentire gli accertamenti tributari». A ciascuno viene richiesta la documentazione (contratti d’affitto, quietanze e ricevute dei canoni di locazione, carte bancarie) che comprovi la regolarità della loro permanenza. In caso in cui i convocati non si presentino al comando senza preavviso, è prevista una sanzione amministrativa da 250 a 2 mila euro. Se poi dalle verifiche dei finanzieri emergesse che i contratti non sono in regola, allora la multa sarebbe ben più elevata, con la richiesta di versare la tassazione prevista e finora evasa. Rischiano tanto gli immigrati quanto i proprietari. Nello specifico, infatti, chi affitta appartamenti o stanze in nero evita di versare allo Stato i contributi previsti dalla normativa del 1986: una pratica diffusa poiché garantisce lauti incassi ai proprietari senza dover tenere canoni troppi elevati, non a misura di immigrato giunto da poco in Italia. Al momento i risultati degli accertamenti non sono ancora noti, certo è che alcune irregolarità sarebbero già emerse. Per conoscere l’esito dell’indagine - condotta a campione, anche se su scala piuttosto ampia - bisognerà attendere qualche mese.


L’impresa al servizio segreto di Sua Maestà
Innovazione e ricerca ad alto livello: la ricetta di Alessio Grotto alla guida della Videotec

di Alberto Tonello

Alla corte di sua maestà si sono inchinati di fronte ad un vicentino, anzi per la precisione di fronte ad un giovane scledense. Nella patria di James Bond e degli 007, Alessio Grotto, 36 anni, presidente della Videotec spa di Schio, è giunto in finale dell’Ifsec Award, una sorta di Oscar per l’elettronica applicata alla sicurezza. Ha superato la concorrenza di oltre mille aziende provenienti da tutto il mondo e riunite a Birmingham, in Inghilterra, per la più importante fiera mondiale nel settore della sicurezza, con sistemi di elettronica avanzata. Grazie ad Ulisse, un sistema di videosorveglianza da esterni di ultima generazione (progettato e prodotto dalla sua Videotec), dalle prestazioni incredibili e gestito da un sofisticato software, ha conquistato la giuria che lo ha ammesso alle finali. Occhio vivo e sguardo penetrante, fisico asciutto da sportivo, abbigliamento casual e un sorriso che conquista, Alessio Grotto è un figlio d’arte, il papà è il titolare e fondatore della Gps, sempre di Schio, leader mondiale nella progettazione e fabbricazione di borse per negozi di moda e alte firme, per interderci quelle dove si infila un paio di scarpe di Prada o una camicia di Armani quando si va a fare shopping. Il giovane Alessio avrebbe potuto entrare in azienda e seguire la stessa strada o anche semplicimente vivere di gloria e invece no, ha scelto la strada in salita. Quella di fare fortuna con le proprie forze e il proprio ingegno imprenditoriale. Si è messo in gioco partendo da zero e il motivo lo racconta lui stesso: «Incompatibilità di carattere con mio padre - ammette candidamente con un sorriso Alessio - erano scintille ogni volta che ci confrontavamo in azienda, scontri duri, aspri, ma sempre leali, tra due caratteri forti, ad un certo punto ho deciso che non ce la facevo più e visto che l’azienda era una creatura di mio papà è stato giusto che lasciassi io». E da un dissidio generazionale, di quelli che in altre situazioni avrebbero potuto mettere in crisi un’azienda, è nata invece un’impresa di successo in tutto il mondo: «L’elemento vincente dell’azienda è l’attenzione maniacale alle risorse umane - ammette candidamente Grotto -. I nostri dipendenti sono il nostro tesoro più prezioso per cui investiamo molto nella selezione del personale e quando lo assumiamo vogliamo che resti con noi soddisfatto, che venga a lavorare con il sorriso. Per questo abbiamo creato un ambiente di lavoro stimolante». Oltre ad aver investito moltissimo nella ricerca, tanto che all’ufficio ricerca e progettazione lavorano oltre 20 giovani, gli artefici di tutti i prodotti della Videotec. La filosofia secondo la quale, se si è felici si lavora meglio, Alessio Grotto l’ha applicata anche ai clienti con i quali vuole intrattenere relazioni che vadano oltre il semplice rapporto professionale: «Ad esempio li portiamo a vedere una gara di MotoGp, l’ultima volta siamo andati ad Assen - spiega - io sono appassionato di sport, moto e K-surf in particolare». E questo modo nuovo di concepire l’impresa e il business ha dato i suoi frutti, piazzando Videotec tra le maggiori società al mondo nel settore della videosorveglianza. Un traguardo che le ha permesso di siglare una partnership con un colosso come Sony, di vincere un appalto per la fornitura di telecamere anticorrosione e anti-orso al governo scozzese, da piazzare nei torrenti per monitorare la risalita dei salmoni, ma anche di fornire sistemi di sorveglianza a carceri, aeroporti, luoghi di massima sicurezza, stadi, l’aeroporto di Venezia e l’autostrada cinese che collega Shenzhen e il porto di Hong Kong, dove attraccano i traghetti. E infine di piazzare custodie per telecamere antiesplosione e antincendio sulla prima portaerei italiana, la Cavour, varata nel 2005, custodie indistruttibili, progettate e costruite dalla Videotec. E molti altri appalti ancora. «Ma la soddisfazione più grande - conclude Alessio Grotto - è la collaborazione iniziata con l’università di ingegneria di Padova per le nuove tecnologie che ci vede impegnati nell’analisi computazionale del segnale video, una ricerca che potrebbe rendere la videocamera intelligente, in grado cioè di riconoscere da sola determinate immagini (tipo ladri, teppisti o altre cose in movimento tipo auto) e quindi puntarle e ingrandirle. All’università è stato attivato il “Videotec Lab”, dove i nostri tecnici fanno ricerca in collaborazione con il professor Ruggero Fressa, responsabile del laboratorio».