14 GIUGNO 2005

dal Giornale di Vicenza

Urbanistica. La Margherita chiede un dibattito a 360 gradi in consiglio comunale sulla prospettiva del nuovo villaggio americano in via Moro
«La “Ederle 2”? Parliamone»

Vogliono vederci chiaro, i consiglieri comunali della Margherita, e capire che tipo di impatto avrà il nuovo villaggio americano che sorgerà a supporto della caserma Ederle lungo via Aldo Moro. La prima mossa è stata fatta con un’interrogazione di Claudio Veltroni, che chiedeva conto del nuovo insediamento e delle implicazioni urbanistiche: «Si sta valutando se l’evento può essere realmente volano di ricchezza per la città? Per quali attività? O gli americani si insedieranno in piena autonomia di infrastrutture e rifornimento? Ci sarà un effetto sensibile sulla qualità della vita dei residenti per il nuovo traffico aereo? Quali misure saranno necessarie per gestire l’aumentato rischio di terrorismo in relazione alla nuova e massiccia presenza americana?».In risposta, l’assessore Maurizio Franzina ha spiegato che gli uffici comunali hanno predisposto una variante al Prg che interessa un’area di circa 330 mila metri quadri da destinare a “zona di progetto per la realizzazione di alloggi e relative strutture di servizio a supporto di attrezzature militari. «La variante d’interesse pubblico - chiarisce Franzina - dovrà essere adottata dal consiglio comunale e approvata dalla giunta regionale», nonché sottoposta all’esame della circoscrizione e della commissione consiliare.Per gli aspetti viabilistici, l’assessore alla mobilità Claudio Cicero ha assicurato che sono state date una serie di prescrizioni finalizzate a non compromettere la funzione di via Moro quale asse della futura circonvallazione esterna della città. «La viabilità di collegamento tra l’area di progetto e via Moro - ha spiegato Cicero - deve avvenire direttamente tramite il previsto snodo di svincolo in corrispondenza dell’incrocio a livelli sfalsati fra via Moro e strada di Bertesina, in modo da non interferire con la circolazione di via Moro. Se necessario, il collegamento fra l’area e la caserma può avvenire in modo diretto tramite un sovrappasso o un sottopasso pedonale, ciclabile o carrabile».Queste le risposte fornite finora, ma il capogruppo Marino Quaresimin annuncia già l’intenzione di chiedere un dibattito a 360 gradi per capire e discutere tutte le implicazioni di un insediamento di notevole importanza.


Astensione. Con sorprese del lunedì
Il primo quesito, quello sulla ricerca, si riconferma il più votato in assoluto mentre per il quarto, quello sulla fecondazione eterologa,“ fiocca” addirittura il 29,80 per cento di no

di Silvia Maria Dubois

Astensione con sorpresa. E con decollo di voti nella ferialissima mattinata del lunedì.Dopo due giorni di referendum sulla legge 40, Vicenza riesce a regalare un risultato con rivelazione finale: in città la percentuale di votanti raggiunge il 30, 35 per cento, contro un trend nazionale arrestatosi al 25,9 per cento. Il dato cittadino deve almeno un terzo del suo totale all’afflusso concentrato nella mattinata di ieri. Nella serata di domenica, infatti, le rilevazioni si erano chiuse adagiandosi su un 21,97 per cento a Vicenza e su un 16,19 per cento per l’intera provincia. Insomma, nel nostro cattolicissimo capoluogo, c’è chi ieri si è svegliato ed è uscito di casa dieci minuti prima o ha usato la pausa pranzo per votare. Magari per quattro volte sì. Dove il boom di voti e dove il flop. In tutto il territorio vicentino ha votato il 22,25 per cento degli aventi diritto al voto. Fra le urne più snobbate della provincia, si trovano quelle di Altissimo, dove ha votato solo il 6,63 per cento degli elettori, Crespadoro, dove si registra un 7,56 per cento e San Pietro Mussolino con l’8,44 per cento di elettori. In perfetto allineamento con il trend votaiolo del capoluogo, invece, i comuni di Valstagna con il 29,42 per cento di elettori, Schio, dove si registra il 27,53 per cento e Altavilla Vicentina, con il 27,13 per cento. Uomini e donne. Leggermente più alta la percentuale di donne che si è recata a votare rispetto agli uomini. In città le elettrici “attive” sono state non meno di 13mila 932 (se si prende come base minima il quesito che ha preso meno voti), contro i 12mila 269 colleghi maschi. Un duello ideale che proietta simili proporzioni anche in provincia dove le donne che hanno votato non sono meno di 73mila e 34, mentre gli uomini non meno di 67mila 777.I quattro quesiti. C’è chi dice no. O meglio: molti elettori si sono recati al seggio per votare negativamente ai quesiti posti. Il più gettonato, sia in città che nell’intera provincia, è stato il primo, quello sulla ricerca clinica e sulla sperimentazione sugli embrioni: nel Vicentino il sì ha ricoperto l’83,86 per cento dei voti, contro il 16,14 dei no. Situazione simile per il secondo quesito, quello sulle norme che pongono limiti all’accesso alla procreazione assistita, che ha ricevuto l’84,59 per cento di sì contro il 15,41 per cento di no. Si registrano poche variazioni anche per il terzo quesito, quello sulle finalità e sui diritti dei soggetti coinvolti, che in totale ha preso un 82,77 per cento di sì, mentre il no non superava il 17,23. Il quesito meno votato, invece, è stato il quarto, quello sulla fecondazione eterologa: in tutta la provincia ha convinto a votare sì solo il 70,20 per cento degli elettori attivi, mentre il no si è alzato al 29,80 per cento.Nessun vincitore. I big locali della politica sono concordi nell’ammettere che, da questo referendum, escono dei vinti, ma non dei vincitori. «Se da una parte mi fa sempre piacere quando la mia posizione coincide con quella della stragrande maggioranza degli italiani - esordisce il sindaco Enrico Hüllweck -, dall’altra credo non sia giusto commentare i dati dal punto di vista partitico e politico. Credo semplicemente che questa astensione ci abbia testimoniato tre caratteristiche espresse degli elettori: la mancanza di stimolo che ha suscitato questo referendum, la non condivisione dei temi proposti in questo modo e l’intuizione che, dietro il buonismo diffuso, si nascondevano argomentazioni spesso strumentali, basate su una propaganda che ha giocato sull’agitazione di scenari medico-scientifici al limite del credibile».«Eccetto i Ds, ribadisco l’assenza che qui hanno dimostrato tutti i partiti - precisa l’on. Lalla Trupia (Ds) -. Quello che più mi preoccupa è che, con questa astensione, il cittadino dimostra di considerare la politica sempre più lontana dai problemi della vita reale. Si diffonde spaventosamente, inoltre, il concetto di delega, di non occuparsi di ciò che non ci riguarda direttamente. L’Italia che esce da questo voto è un’Italia sempre meno laica e il referendum dimostra di essere uno strumento che necessita di una seria riforma, magari abbattendo il quorum ed alzando le firme». «Siamo amareggiati, anche se il risultato di Vicenza ci conforta - aggiunge Daniela Sbrollini, segretaria provinciale dei Ds -; nessuno può comunque esultare: oggi ad essere sconfitta è la democrazia».

E nella sede del Comitato per il sì preparano le valigie
«Con questo risultato le donne regrediscono ancora»

(s. m. d.) Ora non sorridono più, non si mettono più in posa come nelle foto dei giorni scorsi, ma si ritrovano, comunque, nella stessa, affollata sede di piazza dei Signori. Fanno un brindisi a tutto il lavoro svolto e poi, nel tardo pomeriggio, si abbandonano all’ultima azione consumata in collettivo: un malinconico trasloco. Le donne del Comitato del sì sono tutte lì: dopo un mese di estenuante tournée in tutti i comuni della provincia e di sacrificio degli affetti e della vita personale, si ritrovano per l’ultima, triste considerazione. «Prendiamo atto del risultato emerso dalla consultazione referendaria e non possiamo che rispettare il volere del popolo sovrano - dichiara il comitato - .Ribadiamo, però, che la campagna per un astensionismo di massa rappresenta una posizione di dubbio valore etico, confidando nella sommatoria di indifferenti, sfiduciati, fisicamente impediti e politicamente convinti. Si è trattato dunque di un escamotage a danno di quelli che, viceversa, hanno deciso di esercitare un diritto democratico ed esprimersi». «La legge 40 rimarrà in vigore e continuerà a produrre i danni che ha già prodotto nei primi dieci mesi e di cui nessuno ha parlato - riferisce il comitato - : la diminuzione del 15 per cento di nascite con la fecondazione medicalmente assistita e l’aumento del 6 per cento degli aborti. Non solo: aumento dei parti gemellari, crescita del turismo procrativo all’estero, più dolore e meno ricerca». Un pensiero particolare, però, va alle donne: «È su di loro che si abbatterà la scure di un nuovo integralismo che non le vuole più responsabili dei propri corpi e dei propri desideri - si puntualizza -. A questo si aggiungono politiche inadeguate nel campo del lavoro, della famiglia e dello stato sociale. Insomma, l’arretramento delle donne è già in atto, nel silenzio generale e con buona pace degli embrioni». Ora, nella sede del Comitato, sono affissi dei cartelloni con su scritto a mano “noi ci abbiamo provato”. Un messaggio avvolto dalla malinconia che, però, non preclude qualche sogno. «Ci piacerebbe che questa diventasse la sede di una grande casa delle donne - racconta la coordinatrice Marina Bergamin -, un punto di riferimento su tre piani per tutte le associazioni femminili della città».


Protesta bis
Via Albinoni, tornano il gazebo e il comitato
«Se il segretario insiste, intervenga la procura»

di Sandro Sandoli

Indubbiamente il ragionamento è “originale”: la realizzazione di un’opera pubblica, dopo il sì di giunta e consiglio comunale e soprattutto dopo che il progetto esecutivo è stato approvato da un dirigente comunale, non può più essere fermata o corretta. Nemmeno con un’altra delibera del Consiglio stesso e tanto meno se la richiesta di cambiar rotta arriva dal basso ed è formulata tramite uno strumento del decentramento. Stringi stringi, questo è infatti quanto sostiene il segetario comunale, il dott. Domenico Giuliani, il quale, con questa sua interpetazione della legge, ha mandato in bestia il comitato di S. Lazzaro che era pronto a raccogliere le 500 firme necessarie per proporre in sala Bernarda una delibera di iniziativa popolare per bloccare il passaggio della pista ciclabile per via Albinoni e per spostarla, come chiede il quartiere, in via Corelli. Insomma il comitato, che aveva già le penne in mano per far firmare i moduli pronti da quindici giorni, ha un diavolo per capello e lo manifesta sotto il gazebo allestito in fretta e furia proprio ai margini della ciclopista quasi ultimata di via Albinoni. Il segretario ha “spiegato” al comitato che la proposta di delibera di iniziativa popolare è “irricevibile”? Il comitato, dopo una lunga filippica, nella quale si accusa il funzionario di avere anche espropriato lo stesso consiglio comunale del sacrosanto diritto di deliberare di nuovo, spara ad alzo zero: «Non solo è un atto illegittimo, ma è stato commesso anche un illecito: se il presidente del consiglio Sarracco e il sindaco Hüllweck non intervengono, ci appelleremo alla procura della Repubblica». L’escamotage dell’utilizzo di uno strumento previsto dall’articolo 12 dello statuto del Comune s’era concretizzato a fine maggio, dopo la manifestazione dei residenti che avevano bloccato il cantiere dell’Amcps e dopo che un incontro indetto in quattro e quattr’otto nell’ufficio dell’assessore alla mobilità Claudio Cicero s’era rivelato una chiacchierata tra sordi. Il comitato aveva tirato fuori dal cilindro la proposta di delibera (cinque-sei righe) con la quale si chiedeva che sala Bernarda si pronunciasse sull’idea di soppressione del tratto di ciclopista di via Albinoni e sulla sua sostituzione con analogo tratto in via Corelli. La presentazione di una proposta scritta di delibera è il primo passaggio per arrivare in Consiglio: il segretario comunale, preso atto della domanda, che dev’essere accompagnata da una ventina di firme (il testo presentato a palazzo Trissino ne aveva anche qualcuna in più), avrebbe dovuto affiggerla all’albo pretorio per sessanta giorni, durante i quali sarebbero dovute essere raccolte le 500 firme. Invece il dott. Giulani giovedì scorso ha scritto a Fulvio Rebesani referente per il comitato “Seimbici”, precisando che «...il progetto esecutivo di tale rete ciclabile è stato approvato con provvedimento del direttore del settore mobilità il 27 ottobre 2004, in forza di legge e di un costante orientamento giurisprudenziale spetta infatti alla dirigenza l’approvazione dei progetti esecutivi di opere pubbliche», specificando anche che «...l’ordinamento sulle competenze degli organi è riserva di legge e pertanto non è derogabile nè da norme regolamentari nè da atti deliberativi» e concludendo che «...la proposta di delibera è irricevibile per incompetenza dell’organo chiamato a deliberare nella fattispecie». In poche parole, un fulmine a ciel sereno. Sotto il gazebo la meraviglia e l’indignazione sono palpabili. Il consigliere di circoscrizione 6 Andrea Tapparo spiega ai residenti, protagonisti della “rivolta” di fine maggio, le prossime mosse del comitato: «Poichè il segretario ha compiuto un atto arbitrario, perchè non aveva nessun potere di giudicare ma doveva solo prendere atto dell’iniziativa popolare, verranno subito chiamati in causa presidente del consiglio e sindaco ai quali la poposta di delibera era stata inviata». Invece il membro supplente della commisione territorio Fulvio Rebesani illustra i passi salienti del lungo documento spedito nella stessa mattinata al segretario comunali per contestargli le motivazioni addotte qualche giorno fa per decretare l’“irricevibilità”: «La decisione di far passare la ciclopista per via Albinoni è frutto delle decisioni del Consiglio comunale e non del dirigente che ha firmato il progetto esecutivo, noi vorremmo quindi che ad esprimersi di nuovo fosse il consiglio, ma ci viene impedito dal dott. Giuliani, che esercita un potere inesistente, pertanto commettendo un atto illecito. E ora se non fa un passo indietro lui, deciderà la procura».


Omessa denuncia
Hüllweck, quattro testimoni per provare la sua innocenza

(i. t.) Nessuna delle dipendenti comunali che dissero di essere state “avvicinate” dall’assessore Baldinato riferirono chiaro e tondo al sindaco quello che sarebbe (vista l’assoluzione dalle molestie sessuali in primo grado dell’ex assessore) successo. Le donne parlarono con lui, ma non affrontarono mai di petto il problema. Ci girarono attorno, facendo ipotizzare più scenari, ma non permisero al sindaco di comprendere effettivamente la portata degli avvenimenti che facevano discutere il palazzo. Gli unici che in maniera diretta riferirono al primo cittadino delle ipotetiche avance furono i consulenti amici, poi traghettati sulla riva dell’inimicizia, Carlo Loro, Renato Ellero e Letterio Balsamo. Ma la loro posizione alla lunga si rivelò ambigua nei rapporti con il sindaco e pertanto non se ne fece nulla. Dunque, Enrico Hüllweck aveva un quadro incerto di una vicenda dal sapore boccaccesco, ma che non richiamava direttamente responsabilità penali e pertanto un obbligo di denuncia alla magistratura. È questa la tesi difensiva, a grandi linee, che l’avvocato Niccolò Ghedini vorrà dimostrare tra una settimana al giudice Giovanni Biondo che dovrà valutare il comportamento dell’imputato eccellente. Per sostenere l’innocenza del primo cittadino, il legale padovano ha chiesto che il giudizio avvenga con il rito abbreviato e che siano ascoltati quattro testimoni. Il primo è l’on. Pierantonio Zanettin all’epoca dei fatti assessore a palazzo Trissino, poi l’attuale direttore generale Umberto Zaccaria, infine gli assessori Carla Ancora e Michele Dalla Negra. Il caso è fin troppo noto perché si discute da oltre due anni. Dopo che Gilberto Baldinato finì sotto inchiesta, l’attenzione degli inquirenti si spostò anche sul sindaco perché dal palazzo giungevano segnali che egli avesse saputo e fosse stato prudente. Enrico Hüllweck, al contrario, ha replicato ai suoi detrattori che egli stesso nel gennaio 2003 quando conobbe il contenuto di un anonimo che chiamava in causa l’allora assessore al personale, con Zaccaria si recò dall’allora procuratore Fojadelli per segnalarli il caso per le eventuali contromisure giudiziarie. L’ipotesi accusatoria, però, parte dal presupposto che Hüllweck si sarebbe mosso quanto non avrebbe potuto più tracheggiare poiché il caso era diventato fin troppo di dominio pubblico. Come dire, un passaggio obbligato al quale non si poteva sottrarre. La lista dei testi a difesa che la difesa del sindaco aveva presentato per l’udienza del 19 aprile era fitta di venti nominativi. Tra di essi anche Baldinato, il quale ha sempre sostenuto che l’intera faccenda fu gonfiata a dismisura per una battaglia politica Mentre quelli dell’accusa erano sei - le tre dipendenti che avevano censurato il comportamento di Baldinato e appunto l’ex direttore generale Balsamo, l’avv. Ellero e l’ing. Loro -, quelli a discarico comprendeva gran parte dell’attuale giunta. Dopo l’assoluzione di Baldinato un mese fa, il primo cittadino disse di sentirsi rasserenato perchè «sono accusato di avere attuato in ritardo una segnalazione di fatti riguardanti la vicenda, sull’esistenza dei quali non sussistono prove, come ha sentenziato la magistratura». Se non si è raggiunta la prova in aula per l’autorità giudiziaria - questo il ragionamento del sindaco - come volete «avrei potuto muovermi che non ho le competenze di un investigatore e tanto meno di un giudice?»


Montecchio/1. Partita la trattativa, spunta l’ipotesi di accorpare gli stabilimenti
Fiamm, resta solo Almisano?
L’assessore Bertinato a Roma per vedere Sacconi

di Eugenio Marzotto

Un unico stabilimento, quello di Almisano, dove produrre insieme trombe per auto e batterie industriali, razionalizzando così le spese e diminuendo i costi fissi. È questa la proposta che arriva dal sindacato ai vertici Fiamm, i quali non escludono l’ipotesi e si riservano, forse oggi, di dare una risposta che manterrebbe la produzione a Vicenza. Su una cosa però la Fiamm è stata chiara. Sarà impossibile mantenere qui la produzione di batterie industriali che attualmente si costruiscono ad Almisano, difficile dunque pensare che la fabbrica di Lonigo mantenga gli attuali volumi produttivi e di conseguenza lo stesso numero di operai.Così Fim, Fiom e Uilm, insieme alle rappresentanze sindacali dei due stabilimenti, nel corso del primo incontro con l’azienda di ieri pomeriggio, hanno calato la prima carta, individuando nella fabbrica di Almisano il luogo dove concentrare produzione e lavoratori. Si svuoterebbe così lo stabilimento di via Gualda che prevede comunque la chiusura, visto che meno di un anno fa è stato firmato l’atto di vendita ad un’immobiliare e la dismissione totale entro la fine del 2005. Dal primo gennaio dell’anno prossimo la Fiamm è dunque costretta ad andarsene da via Gualda e forse, alla luce dell’incontro di ieri, si trasferirà ad Almisano, ma quanti lavoratori la seguiranno alle porte di Lonigo, quanti dei 420 dipendenti rimarranno nell’organico Fiamm? È la questione più difficile da chiarire e che la proprietà ieri non ha voluto affrontare, la direzione ha però detto esplicitamente che si dovrà mettere mano al capitolo dei costi. Tutti. «L’azienda non ha chiesto altri esuberi, ma lo farà», si limita a dire Antonio Sirimarco della Fim dopo quattro ore di trattativa portata avanti con i colleghi Maurizio Ferron della Fiom e Carlo Biasin della Uilm. Non è un caso forse che Giulio Bertinato, l’assessore al lavoro della Provincia, domani a Roma incontrerà il sottosegretario Sacconi. «Stiamo lavorando perché l’azienda di Montecchio mantenga produzione e organico - spiega Bertinato - ma non possiamo presentarci impreparati nell’eventualità che arrivi la richiesta di diminuire il personale. Per questo a Sacconi chiederò che il Governo intervenga per rafforzare il sistema degli ammortizzatori sociali, come cassa integrazione e mobilità». Con lui Bertinato parlerà non solo di Fiamm ma dell’intera provincia, chiedendo finanziamenti per investire e reti di protezione sociale per far fronte a nuovi esuberi purtroppo probabili nei prossimi mesi e a Roma la Provincia chiederà anche di intervenire sul sistema creditizio. Su questo Bertinato non si sbilancia ma ribadisce che «le banche devono avere un ruolo diverso da quello avuto finora». Tasto, questo, molto sensibile in casa Fiamm come del resto in altre situazioni di emergenza. E oggi toccherà all’azienda toccare il capitolo dei costi su cui intervenire. Se l’ipotesi Almisano andasse in porto andrebbe pagato sicuramente un prezzo, quale è presto ancora per dirlo. La trattativa comunque va avanti e i tempi per un accordo non sembrano lontanissimi.