14 APRILE 2005

dal Giornale di Vicenza

Virus letale, allarme alla Ederle.
BROGLIANO."I soldati italiani via dall'Iraq tra poco tempo? Un'utopia"

Virus letale, allarme alla Ederle
Spediti a 3.747 laboratori sparsi per tutto il mondo.
Il ministro Sirchia: «Aspettiamo la conferma che siano stati distrutti»

di Marino Smiderle

Una provetta che contiene un virus killer fa un viaggio intercontinentale. Parte da Cincinnati, Ohio, e finisce in un laboratorio della caserma Ederle, a Vicenza. Il virus si chiama H2N2 ed è quello che causò l’epidemia di influenza assassina alla fine degli anni 50, quando morirono dai 4 milioni di persone in tutto il mondo. Su quella provetta i tecnici del laboratorio devono fare dei test, come richiesto dal College of American Pathologists, l’ente che ha disposto l’invio del campione attraverso l’azienda specializzata Meridian Bioscience. Nessuno sa che lì dentro si nasconde un pericolo mortale. Pare l’inizio di un film thriller, uno dei tanti presenti nella cinematografia americana. Il guaio è che a volte la realtà supera la fantasia: quella provetta esiste davvero e, nonostante alcuni esperti assicurino che il pericolo di contagio sia limitato, il rischio esiste. E, se maneggiata in maniera impropria, quel virus antico potrebbe rimettersi a fare danni. Ma perché Vicenza? È stata l’agenzia Adn-Kronos ad individuare la caserma Ederle quale destinazione italiana del virus killer. Da viale della Pace non arrivano né conferme, né smentite. Di certo, specie dopo il pericolo chimico diffusosi dopo l’attentato alle Torri Gemelle, tutte le basi americane in Europa sono state dotate di strumenti idonei per eseguire analisi accurate. All’interno del 22° Gruppo di supporto c’è una sezione specializzata nel settore chimico ed epidemiologico. Qualche mese fa, proprio nei vialetti della caserma, era stata eseguita un’esercitazione, insieme ai vigili del fuoco di Vicenza, alla Croce rossa, alla protezione civile, che simulava un attacco terroristico batteriologico. Tutto rientra nella norma, dunque. Quello che non si riesce proprio a capire è come un virus così pericoloso sia potuto uscire dai laboratori statunitensi e finire in quelle provette custodite ora negli armadietti vicentini. I patologi americani responsabili dell’errore (perché di clamoroso errore si tratta) hanno spiegato che alla fine dell’anno scorso e agli inizi del 2005 sono stati spediti dei campioni di influenza su cui avrebbero dovuto essere eseguiti dei test specifici (Proficiency test). «Immediatamente - si legge in un comunicato del Cap - è stato comunicato ai 3.747 laboratori che avevano ricevuto i campioni di distruggerli immediatamente e di rendere conto al Collegio ad operazione avvenuta». La maggior parte dei campioni sono stati inviati ad altri laboratori negli Stati Uniti e in Canada. Altri 61 laboratori si trovano invece sparsi tra Bermuda, Belgio, Brasile, Cina, Francia, Germania, Hong Kong, Israele, Italia, Giappone, Libano, Messico, Corea, Arabia Saudita, Singapore, Taiwan, Cina. Ad allertare l’Organizzazione mondiale della sanità è stata l’agenzia canadese, accortasi della pericolosità di quei campioni. Il ministro della Salute, Girolamo Sirchia, da Parigi, ha detto che il rischio non è elevato, sempre che quelle provette vengano distrutte. «Bisogna controllare che vi sia la distruzione di questo reagente in modo tale che il pericolo non sussista del tutto - ha detto il ministro - e quindi che ci sia una certificazione che ci garantisca che questo procedimento di distruzione è avvenuto. Stiamo aspettando questa dichiarazione». Al momento quella dichiarazione non c’è. Ci sono, invece, molte preoccupazioni. Due ipotesi sul tappeto: o qualcuno ha voluto appositamente scatenare il panico internazionale, magari nel tentativo di infettare qualcuno deliberatamente; oppure è stata commessa una leggerezza imperdonabile, che dimostrerebbe quanto allegramente gli Stati Uniti gestiscano sostanze così pericolose. Il dott. Jared Schwartz, portavoce del Cap, ha detto che non è chiaro come Medical Bioscience abbia potuto commettere questo errore. «Secondo quanto ha riferito un loro funzionario - ha rivelato - non credevano che quelle provette contenessero un agente patogeno così pericoloso». «In ogni caso - ha poi aggiunto Schwartz - la maggior parte dei laboratori che hanno ricevuto quelle partite hanno già provveduto a distruggerle. Questa è la prima volta che, nei nostri test epidemiologici, ci capita di incappare in un simile incidente. Stiamo lavorando perché un simile errore non si ripeta mai più». Intento encomiabile, ma che al momento non aiuta certo a tranquillizzare i laboratori coinvolti in questo allarme totale. Come auspicato da Sirchia, si attende con ansia la diffusione di un comunicato in cui venga assicurato che tutti quei campioni di virus letale siano stati distrutti. E quand’anche arriverà questa benedetta conferma, resterà l’inquietudine di fondo: come è possibile che dagli Stati Uniti escano queste diavolerie batteriologiche? Nella lista dei Paesi coinvolti figura anche l’Arabia, dove i fan di bin Laden sono parecchi. Che succederebbe se ne venissero in possesso? Una bella trama, davvero, se fosse un film. Invece è un reality show di pessimo gusto.



Brogliano. Il generale Luigi Federici ha parlato al Rotary Club
«I soldati italiani via dall’Iraq tra poco tempo? Un’utopia»

di Aristide Cariolato

«Il terrorismo, che nonostante l'azione di contrasto abbastanza globale ha ottenuto indubbi successi; che ha costretto l’occidente ad assumere onerose iniziative di sicurezza, che condizionano la nostra libertà; che genera in noi un senso di insicurezza e di ansia, è la vera peste del Ventunesimo secolo». Questo l’esordio dell’intervento che Luigi Federici, generale di corpo d’armata, ha tenuto al ristorante “Perinella” nel conviviale interclub con Arzignano, invitato dal presidente del Rotary Club Valle Agno, Carmelo Pozza, a parlare di terrorismo internazionale. Ne ha tracciato un quadro a 360 gradi, dividendo il fenomeno in terrorismo “casereccio”, quello nazionale, che riguarda due formazioni eversive, le nuove brigate rosse e i gruppi anarchici insurrezionali, una popolazione di circa 50 mila persone più o meno giovani; e terrorismo internazionale, che fa capo al fondamentalismo islamico. Questo si avvale di un'efficace organizzazione, composta di finanziatori, reclutatori, di logisti e ideologi, e della rete internet. Il fondamentalismo islamico e l'integralismo religioso sono i due fenomeni sociali con i quali si dovrà fare i conti nei prossimi anni. «L'epicentro del movimento fondamentalista - ha proseguito il generale Federici - è l'Iraq, dove opera il contingente italiano di circa 3 mila uomini, esercito, carabinieri, marinai, aviatori, con compiti definiti dal parlamento. Il rapporto di fiducia che ha instaurato con la popolazione rischia di isolare le cellule della guerriglia. Questo è stato il motivo scatenante - ha ribadito il generale Federici - della strage di Nassiria. Se prima la guerriglia era contro le forze della coalizione, ora polarizza i suoi interventi sulle forze e i civili che collaborano con il governo iracheno. Pensare che il contingente di pace possa lasciare l'Iraq a breve termine è un'utopia». A parere del relatore, l'antidoto per il terrorismo “casereccio”, oltre ad una sempre più penetrante azione dei servizi di sicurezza, delle forze dell'ordine, della magistratura, consiste nella dissociazione di tutte le forze politiche e sindacali, non a chiacchiere, ma con i fatti. Per quanto riguarda il terrorismo internazionale, bisogna contrapporre la globalità della reazione, coinvolgendo i paesi arabi moderati per evitare che la lotta al terrorismo venga concepita come scontro di culture e di religioni. Allo stesso tempo difendere le radici della cultura europea. Rispondendo ai numerosi interventi, il generale Federici ha sottolineato che bisogna accantonare l'idea un po' arrogante di voler esportare a tutti i costi la democrazia occidentale. Mentre per quanto riguarda la Turchia, un paese di credo islamico moderato, nella Ue, costituisce un ponte per stabilire un rapporto più stretto con analoghi paesi arabi moderati. Da ultimo, ha invitato la chiesa ad esprimere la sua posizione in maniera più incisiva verso l'integralismo islamico. Mentre si nota dalle gerarchie ecclesiastiche un atteggiamento attendista.