«Gli agenti della “Sasso”, liberi d’estate
sono stati dirottati in massa a Verona
I politici dovrebbero occuparsi di questo»
di Diego Neri
La convenzione con cui il Comune ha incaricato la società “Pantere” di pattugliare Campo Marzo e dintorni tutti i fine settimana da giugno a ottobre è illegittima. La contestazione, nell’aria da tempo, arriva dai sindacati di polizia, che ritengono il documento da sistemare, ma soprattutto la metodologia adottata dal vicesindaco Sorrentino errata: «Non è con dei buttafuori che si produce sicurezza e si tranquillizzano i cittadini».
In realtà, che la convenzione non fosse del tutto adeguata era una voce che rimbalzava da giorni, tanto che il prefetto Angelo Tranfaglia avrebbe sollecitato una modifica in alcuni punti. È in corso una correzione, e sarebbe stata già prodotta una nuova bozza per migliorare i punti critici. Nello specifico le “pantere” non potrebbero esercitare attività di pubblica sicurezza né avrebbero titolo per invitare i cittadini al rispetto delle regole. Analoghe soluzioni erano state tentate, invano, in altre parti d’Italia, come nel Veronese, dove il Comune di Peschiera nel 2004 aveva pagato dei privati per allontanare dalla statale prostitute e clienti. Ora, con buoni frutti, quel servizio lo svolgono i vigili urbani.
Ma il Siulp va più in là: «I politici devono fare sinergia per aumentare il numero dei poliziotti veri a Vicenza. E invece quest’anno abbiamo solo due agenti della scuola distaccati in questura, contro i 10 di un anno fa».
Per comprendere al meglio la bufera delle ultime ore è necessario fare un passo indietro. Ad inizio giugno, Sorrentino aveva promosso la convenzione con la società “Pantere servizi”, di cui è responsabile Michele Somma. Il progetto prevede che, dal 18 giugno al 2 ottobre, ogni sabato e domenica dalle 14 alle 20, quattro dipendenti girino per i giardini Salvi e Campo Marzo, con un costo che si aggira sui 10 mila euro complessivi. Riconoscibili per le mountain bike, per il berretto e la divisa, hanno il compito di sorvegliare comportamenti scorretti, di «provvedere alla raccolta di oggetti a rischio per la cittadinanza (siringhe e vetri) - si legge nella convenzione -, intervenire invitando i trasgressori al rispetto delle norme, segnalando eventualmente situazioni anomale al comando di polizia».
Le parti controverse sono almeno un paio, e si tratterebbe delle modifiche sollecitate dal prefetto. In primo luogo alle “pantere” è stato affidato un «incarico di supporto alla polizia locale», in secondo quello di «intervento» in caso di necessità. «È dovere di tutti i cittadini supportare le forze dell’ordine - precisa Roberto Meridio, segretario provinciale del Siulp -, e le “pantere” non sono diverse dagli altri, perché non hanno qualifiche. In che modo, poi, dovrebbero intervenire? Nessuno è tenuto ad ascoltarle, non possono chiedere documenti, non possono elevare sanzioni. Obiettivamente, a che servono, pur pagati, se non per dare l’idea, non realizzata, di dare sicurezza?».
Il ragionamento dei sindacati è semplice: le “pantere” non fanno male a nessuno, ma in primo luogo il Comune poteva destinare la spesa per assumere nuovi vigili urbani o per acquistare nuovi mezzi. Inoltre è il concetto di esercitare sicurezza e giustizia in questo modo che è sbagliato.
«Come poliziotto la ritengo una scelta poco idonea - spiega Meridio, che in questo interpreta un pensiero diffuso fra tutte le forze dell’ordine -. Ho la sensazione che siano dei buttafuori a cui viene chiesto qualcosa che va al di là della loro preparazione, che è ottimale ma in un settore diverso. Con questa scelta l’amministrazione leva allo Stato la vera funzione che ha. È il primo passo di un percorso che rischia di delegittimare le istituzioni. Da questo punto di vista, non c’è differenza fra “pantere” e guardie padane. Sono palliativi, tentativi di fare propaganda politica mirata ad un certo target di elettori. La sicurezza è un’altra cosa».
Al proposito, i sindacati della questura sottolineano come nessun politico, a Vicenza, si sia mosso per gli agenti distaccati dalla scuola di polizia. Ogni estate la caserma “Sasso” - di cui da mesi si ipotizza la chiusura - ferma la sua attività. Nel 2004 furono 10 gli agenti che vennero distaccati in questura, e che furono usati per il controllo della città. «Quest’anno sono solo due, perché a Verona ne hanno mandati, da Vicenza, 15. I politici devono far pressione su queste scelte. I cittadini vogliono fatti concreti, non pubblicità». Con convenzioni ritenute illegittime: quella delle “pantere” sarà modificata?
Immigrazione, condomini roventi
Sempre più difficile la convivenza
«Gli stranieri con
casa mantengono
i mobili italiani, ma
soffrono il diverso
modo di abitare»
di Eugenio Marzotto
«Se non si insegnano agli immigrati che vivono in appartamento le regole della buona convivenza, tutto il lavoro di integrazione fatto in questi anni rischia di essere vanificato».
La tolleranza passa anche per gli spazi da condividere con gli italiani, secondo don Giovanni Sandonà direttore della Caritas diocesana: «Guai a sottovalutare un fenomeno che si sta allargando». Riuscire a far coesistere tra i condomini, costumi e abitudini degli immigrati con quelli degli italiani è la prossima sfida della Caritas. «Un percorso di formazione va pensato subito - commenta Alberto Bordignon, responsabile dell’Agenzia sociale casa - l’integrazione passa per la convivenza negli spazi abitativi».
Anche di questo si è discusso ieri in una conferenza stampa con la presenza di don Sandonà, Alberto Bordignon, Egidio Dal Cortivo e Chiara Zoccante, che ha curato lo studio sui “Tanti modi di abitare” a Vicenza. Ma l’incontro di ieri è stato anche il momento per fare il punto sulla questione alloggi in provincia.
È vero che rimane aperta la questione della casa a Vicenza e il conseguente «dramma degli sfratti», ma è altrettanto vero che per chi la casa la possiede, marocchino o filippino che sia, si aprono nuove questioni. E la ricerca presentata ieri in sede Caritas, curata da Maria Cristina Ghiotto, Chiara e Alessandra Zoccante, mostra come “le quattro mura” in realtà nascondano esigenze culturali e religiose che vanno al di là del semplice abitare.
«Lo studio rivela - spiega Chiara Zoccante - che le differenti concezioni degli spazi hanno indotto gli stranieri a modificare le case dove sono andati a vivere, conformandole alle loro abitudini. Emerge una tensione tra il mantenere le modalità e le proprie abitudini ed il cambiare modo di vivere, adattandosi al nuovo contesto».
E non è un caso che l’arredamento degli interni sia in “stile” italiano, pur diventando l’alloggio luogo di preghiera e incontro. L’alloggio made in Italy è e rimane un bene prezioso, tanto più che rappresenta per gli immigrati «la volontà di radicarsi al territorio».
L’emergenza casa a Vicenza resta comunque alta, sia per gli immigrati che per gli italiani, costretti a fare i conti con prezzi esosi e una crisi economica che non risparmia nessuno. I dati che emergono dall’“Agenzia sociale casa” della Caritas dopo quattro anni di attività parlano chiaro. Nel 2004 sono stati 552 le persone che si sono rivolte allo sportello per una consulenza su come avviare le pratiche d’acquisto. Nei primi sei mesi di quest’anno invece sono stati 104 gli utenti. Nel totale, gli italiani che in quattro anni hanno chiesto informazioni alla Caritas sono il 15%.
L’incertezza non ha colore e la fa da padrone tra immigrati e vicentini, tutti incapaci in questa fase, di fare previsioni e investimenti per comprare casa.
«La nostra attività di tipo socio-amministrativa - spiega Alberto Bordignon che ha coordinato il progetto - ha messo in luce la sempre più evidente necessità di nuovi strumenti per le politiche abitative, dove è necessaria una rete di collaborazioni».
Pestaggio, la Digos dà i nomi
Il questore Rotondi: «Encomio ai poliziotti intervenuti»
Sono attesi per le prossime ore gli sviluppi dell’indagine sul pestaggio di Pino Monaco, 43 anni, l’avvocato pugliese ferito domenica mattina a Schio durante la commemorazione dell’eccidio del 1945. Gli investigatori della questura si sono riuniti ieri mattina con il pm Marco Peraro per studiare la strategia per incastrare i responsabili. Nel mirino della polizia anche gli autori di altri atti vandalici, come il lancio di sterco.
Mentre ferve la polemica politica, quindi, prosegue l’attività della Digos che, attraverso filmati e foto, inviate anche alle altre questure del Veneto - a Schio sono arrivati anche da altre città italiane per la manifestazione di destra con la Mussolini e per la contromanifestazione della sinistra parlamentare e di quella antagonista -, sta dando un nome a coloro che hanno tenuto atteggiamenti da codice penale, primo fra tutti l’aggressione a Monaco passato con la croce celtica in mezzo ai giovani dei centri sociali.
Il questore Dario Rotondi, che ha difeso i suoi poliziotti dalle accuse della Mussolini, si dice pronto a sollecitare l’encomio per i due agenti della Digos che in pochi secondi - i filmati fanno fede - hanno protetto Monaco e sedato la zuffa. «L’intervento è stato tempestivo e sollecito», ha ribadito il numero uno della questura, che ha negato anche che qualche agente possa aver consigliato Monaco a passare fra i manifestanti di sinistra pronti a partire in corteo.