13 FEBBRAIO 2006

dal Giornale di Vicenza

“Precariare stanca”, via alle firme
Allarme per le polveri sottili
Tav, la protesta dei sindaci «Troppe scelte senza di noi»

Per una nuova legge d’iniziativa popolare sul lavoro è scattata ieri la campagna di sottoscrizioni: ne servono 300 mila
“Precariare stanca”, via alle firme
Nel mirino la legge 30 e la flessibilità diventata insicurezza sociale

di Antonio Trentin

Servono 300 mila firme per mandare avanti la proposta di legge d’iniziativa popolare "per contrastare la precarietà nel lavoro" che da ieri è sui banchetti nelle piazze. Considerato che i precari censiti in tutta Italia sono intorno ai tre milioni, non è scommessa rischiosa quella che dice: la raccolta sarà facile, le adesioni arriveranno in fretta... È già all’opera per incolonnare la sua dose di sottoscrizioni anche il neonato comitato vicentino "Precariare stanca", collegato a quello nazionale presieduto da Stefano Rodotà che ha nel mirino la legge 30. La prima uscita del sabato ha fruttato subito qualche modulo riempito e una collezione di stimoli a proseguire. Insieme a qualche storia eloquente. Questa per esempio: in un grande supermercato della città una delle formule del precariato, il contratto a progetto, è applicata a una quarantina di commesse e cassiere, e ci sono difficoltà serie a far proseguire il rapporto di lavoro con queste caratteristiche, visto anche che non è ben spiegabile quale "progetto" ci sia dietro una cassa o intorno a uno scaffale. Precarietà: è la prospettiva che allarma una quantità crescente di giovani e che colpisce i meno giovani, quando non bastano le protezioni sociali alzate a difesa di chi perde il posto fisso. L’Unione di centrosinistra l’ha messa tra le prime malattie sociali da curare. Un’indagine dell’Inps - citata ieri dai vicentini del comitato pro-legge popolare, tutti appartenenti alla sinistra diessina - dice che nel Veneto le posizioni previdenziali "precarie" sono 200 mila e che di esse 53 mila sono aperte in provincia di Vicenza: lavoratori a progetto, interinali o a chiamata, stagisti, ricercatori universitari e dei centri di ricerca, collaboratori delle cooperative di servizi. Reddito annuo medio: 13 mila euro. Mille euro al mese più la tredicesima. Tanti sono "figli della legge Biagi", tanti altri sono beneficiari e vittime nello stesso tempo di situazioni contrattuali incardinate dal passato nella struttura del mondo del lavoro. «L’iniziativa legislativa che lanciamo - spiega la deputata Lalla Trupia - è una risposta a esigenze vere della gente. La politica deve dire qualcosa su questo, non ridursi agli scontri in televisione. Questo del lavoro precario e delle difficoltà per le nuove generazioni è un problema che tocca davvero le famiglie, altro che le panzane del premier nelle sue televisioni». L’argomento è da campagna elettorale, come ben si capisce. L’ex-Correntone Ds diventato Correntino ne fa una bandiera di distinzione in questa fase. Fino ad andare in conflitto con il resto del centrosinistra? «Conflittuali con l’Unione certamente no, visto che anche nel programma appena approvato si parla di superamento della legge Biagi» risponde la Trupia, riferendosi alla politica di novità in materia di lavoro "capace di armonizzare flessibilità e stabilità attraverso significative modifiche della legge 30" scritta nel programma di Romano Prodi. «Ma certamente le firme per la legge d’iniziativa popolare saranno uno stimolo forte per il prossimo governo. Noi - aggiunge la deputata - la legge Biagi la vorremmo cancellata al 90 per cento...». Tra i bersagli che creeranno scintille a centrosinistra c’è anche il vecchio "pacchetto Treu", quello delle prime innovazioni varate dal centrosinistra: «Per le caratteristiche del mercato del lavoro italiano e anche per la concomitanza con una stagione di crisi e di stagnazione dell’economia, quella che voleva essere, nelle migliori intenzioni del ministro del lavoro di allora, un’operazione sulla flessibilità si è trasformata in uno strumento per generalizzare la precarietà. La legge 30 ha fatto il resto». La proposta di "Precariare stanca" è articolata in cinque punti, con altrettante operazioni di ritocco che incidono sull’impostazione generale dei rapporti di lavoro e sulle conseguenze della legge 30: - una modifica del codice civile per suddividere i lavoratori in due soli possibili ruoli, dipendenti o autonomi, con i primi tutelati quale chi sia la formula del loro contratto; - un maggior costo del lavoro a tempo determinato (contratti a termine eccetera eccetera) per responsabilizzare le aziende sulla preferenza datagli a scapito del lavoro a tempo indeterminato (il "posto fisso"); - l'impossibilità della reiterazione di questo tipo di contratti, per evitare appunto i "precari a vita"; - la tutela per 48 mesi del lavoro affittato all'esterno da un'impresa; - e infine la stabilizzazione dei lavoratori precari della pubblica amministrazione, che sono circa 300 mila in tutta Italia. Di tutto tratterà un convegno che sabato prossimo porterà in città - all’istituto Missioni Estere di Monte Berico, con inizio alle 15 - Alessandro Genovesi della Cgil nazionale, Alberto Morselli segretario della Filcem, l’economista Paolo Leon e Silvia Scabbioni del coordinamento dei ricercatori precari dell’università di Ferarra, chiamati a discutere con Oscar Mancini segretario provinciale della Cgil, l’avvocato Alberto Righi e il consigliere circoscrizionale Andrea Dapporto che parlerà per il comitato veneto "Precariare stanca".


Inquinamento. “Obiettivo qualità” mancato nei valori del 2005
Allarme per le polveri sottili
È stato un gennaio da paura Solo tre giorni sotto il limite nelle due centraline in funzione in città

di Cristiano Carli

Fa quasi sorridere, ma è un riso amaro, che per legge la soglia limite delle polveri sottili non debba essere superata per più di 35 volte l’anno, quando Vicenza le sue giornate a disposizione se le è già “bruciate” quasi tutte nel solo mese di gennaio. La soglia da non superare per il limite delle 24 ore è fissata in 50 microgrammi di polveri (le famigerate Pm10) per metro cubo d’aria, ma il bollettino delle centraline di rilevamento assomiglia più a un bollettino di guerra. Il dato meno negativo è il “non disponibile” della centralina di viale Milano, fuori uso ormai da molte settimane perché l’incrocio dov’era posta è stato trasformato in rotatoria e bisogna trovarle una nuova destinazione nei paraggi. Ma per mettersi le mani nei capelli sono sufficienti i responsi delle due centraline “superstiti”, quella di via Spalato e quella di quartiere Italia. In entrambi i casi, dall’1 al 31 gennaio sono stati ben 26 i giorni di “sforamento” (ma solo in tre casi si è andati al di sotto del imite in entrambe le centraline lo stesso giorno), con picchi fino a due volte e mezza il limite, come successo con il record mensile di mercoledì 25 gennaio in via Spalato: ben 133 microgrammi di polveri per metro cubo. D’altra parte, considerando anche che l’inverno è il periodo più inquinato dell’anno, le medie risultano allineate con quelle del 2004, anno in cui i superamenti sono stati 141 in via Spalato e quartiere Italia, 192 in viale Milano. Sono andati a farsi benedire anche i buoni propositi dell’“obiettivo qualità” che fissava per il 2005 l’abbassamento della media annuale di Pm10 a 40 microgrammi per metro cubo. Media superata dai 56 microgrammi di via Spalato, dai 51 di quartiere Italia e dai 62 di viale Milano. E dopo un gennaio del genere, che farsene a questo punto dei nove giorni ancora a disposizione per tutto il 2006 nei quali poter superare il limite? È più che probabile (anche se sarebbe bello essere smentiti) che sono già stati “fatti fuori” nella prima metà di questo mese, periodo del quale non ci sono ancora i dati, se non quello del primo febbraio, che è già tutto una promessa: 139 microgrammi di Pm10 per metro cubo d’aria in via Spalato, 83 in quartiere Italia (cui la caratteristica di zona residenziale non risparmia la concentrazione di smog). Chi mal comincia... chissà dove finisce.


In un convegno le perplessità dei primi cittadini sul progetto dell’Alta Velocità
Tav, la protesta dei sindaci «Troppe scelte senza di noi»

(g. z.) Alta velocità: va bene purché si badi con precisione ai costi e ai benefici, nonché ad un dialogo costante con gli enti territoriali interessati. Quindi, per ora, sarebbe proprio meglio lasciar perdere. È stato questo il chiaro e semplice sillogismo che ha unito un po’ tutti gli interventi del convegno organizzato dalla Conferenza permanente dei sindaci vicentini recentemente tenutosi nell’auditorium Canneti con il titolo “La direttrice Lisbona-Kiev ad Alta velocità (Tav): strategicità dell’opera, reale fattibilità e ipotesi alternative”. «La Conferenza permanente dei sindaci, che lavora con delibere consigliari da quasi dieci anni, non ha mai rifiutato la Tav - esordisce il vicepresidente Maria Luisa Teso, sindaco di Grumolo -. I sindaci hanno piuttosto richiesto tre adempimenti che sono l’elementare presupposto per ogni opera pubblica (le ricadute sociali finanziarie ed economiche, la minimizzazione degli impatti ambientali e la fattibilità finanziaria). Inoltre è dal 1999 che lavoriamo in collaborazione con il ministro dei Trasporti, poi sottoscrivendo un protocollo di intesa tra la regione e le Fs (ed in seguito tra il Comune di Vicenza e la Regione) per avviare un gruppo di progetto dove i comuni esplicitavano che se non fosse passata l’ipotesi tunnel, avremmo appoggiato l’ipotesi del passaggio a sud». Cosa ha portato i comuni, dunque, a chiedere di optare per “l’opzione zero”, che significa null’altro che “valorizzazione e potenziamento della rete esistente”? «Da quando la Regione ha detto sì all’ipotesi tunnel non riceviamo più alcun documento ufficiale e continuiamo a non ricevere alcuna risposta alle richieste di audizione. Tutto quello che sappiamo lo apprendiamo dai giornali, dove traspare tutto tranne che un’idea di chiarezza», spiega il presidente della Conferenza Mirco Bolis, sindaco di Grisignano, alludendo probabilmente al tira e molla del “tunnel, non tunnel, spostamento a sud o metropolitana leggera”, emerso dalla cronaca degli ultimi mesi. «Siamo sconcertati: che cosa dobbiamo rispondere ai nostri cittadini? Il progetto preliminare approvato che prevede un pezzettino di tunnel ad ovest di Vi - continua Bolis - è per noi un aborto di progetto, non essendo collocabile in nessun vero iter procedimentale. E continuiamo a non venire informati di nulla». Un problema, quello dell’incomunicabilità tra chi prende le decisioni e gli enti territoriali interessati, che sembra accomunare la situazione dei comuni di Vicenza con quelli della Val di Susa: «Sono 15 anni che continuiamo a lavorare e a confrontarci sulla Tav - afferma il presidente dei sindaci della valle di Susa, Antonio Ferrentino -, ma continuano a venire fatte scelte senza di noi. Il progetto al quale ci siamo opposti era stato dichiarato come assurdo anche dalla Regione: era stato fatto su cartine di 10 anni fa, per non parlare dei numerosi errori riguardo ai nomi dei fiumi o delle località. Ma il governo andava avanti come se niente fosse con il progetto “grandi opere”. In faccia alla devolution».