Ipab, la protesta continua
Lavoratori sul piede di guerra: «Non ci sono soldi per il contratto»
di Silvia Maria Dubois
È di nuovo insurrezione. In casa Ipab si riaccende la contestazione, i dipendenti infilano il giaccone pesante e trasportano rabbia e cartelli in piazza San Pietro, ormai diventata pulpito di protesta preferito (se qualcuno deve contestare va lì, a due passi dal posto di lavoro, dice quel che deve esternare sotto le finestre del presidente Meridio. Poi torna dentro, timbra cartellino e ricomincia il turno). Motivi dell'agitazione? Sempre i soliti, verrebbe da rispondere. Ma il tempo, questa volta, ha aggravato davvero umori e intenti. Le condizioni economiche dei lavoratori, il recente blocco dei ricoveri e gli attriti Ipark hanno fatto degenerare la situazione.
«L'Ipab non ha ancora stanziato le risorse necessarie per il contratto aziendale - racconta Giancarlo Puggioni, della Cgil, in mezzo ad una quarantina di manifestanti - il Cda è trincerato nelle sue posizioni, le percentuali offerte non ricoprono nemmeno la metà dei fondi che ci servono e ai lavoratori manca ancora un contratto unico di equiparazione».
Ma le lamentele sono solo all'inizio: «Ci era stato assicurato che la gestione di Ipark avrebbe coinvolto nel dibattito le rappresentanze sindacali in ogni decisione da prendere - prosegue Puggioni - ma finora nessuno ci ha chiamato sebbene ci risulti che si stia già discutendo in merito al problema dei trasporti e al futuro di Villa Rota Barbieri: due progetti che implicano l'utilizzo di Ipark appunto. Perché questo comportamento? Ci sembra che il Cda si stia muovendo senza rispettare gli accordi presi con noi».
«È il metodo che non ci va giù - aggiunge Claudio Scambi della Uil - ancora una volta ci si rifiuta di risolvere problemi di vecchia data e i lavoratori sono sofferenti: lo dimostra anche il critico periodo di mobilità che stiamo vivendo». I dipendenti Ipab chiedono anche di risolvere la questione dei posti letto (un blocco dovuto ai 58 “coperti” prestati a Parco Città) che «ha implicato inevitabilmente una minaccia al posto di lavoro e al servizio offerto agli utenti» e, al più presto, si chiede anche la riforma regionale delle Ipab. «Siamo preoccupati, vogliamo capire cosa sta succedendo - precisa Gianpaolo Giacon della Cisl - a parole si dice che l'Ipab rimarrà un ente pubblico, ma nei fatti vediamo che succede esattamente il contrario. Noi siamo fieri di essere dipendenti pubblici: siamo gente che lavora con la vocazione di aiutare persone bisognose e cerchiamo semplicemente di avere gli strumenti adeguati per continuare a farlo». La paura è che Ipark “svuoti” progressivamente la gestione e i servizi offerti dallo storico comparto assistenziale vicentino: prima con i dipendenti di Parco Città, ora con una probabile gestione dei trasporti e con l'assunzione dei lavoratori della cooperativa "pro senectute" che opera a Villa Barbieri.
Non si fa attendere la risposta del presidente Gerardo Meridio che dalle finestre del suo ufficio osserva l'agitazione. «Non c'è nessun rischio privatizzazione - spiega - Ipark si usa proprio laddove il pubblico non può arrivare. Un esempio? I lavoratori della cooperativa che opera a Villa Rota Barbieri, ad esempio, non potrebbero essere assunti fuori dai concorsi pubblici, per questo entra in campo la nostra società. E i sindacati sarebbero stati chiamati la settimana prossima per discutere della questione». E il blocco dei posti letto? Meridio definisce la notizia una "vera troiata". «Non c'è nessun blocco - puntualizza - grazie alla deroga concessa su richiesta del Cda, di Bressan e dell'assessore Grazia, la Regione ci consente di assorbire le quote di Parco Città fino al 31 marzo 2005". Infine, il contratto dei lavoratori: «Per la verità sono io ad essere in attesa di un appuntamento con i sindacati e ho proposto anche l'erogazione di un acconto sulla produttività del 2004 - conclude Meridio - il problema delle risorse rimane, ma siamo disponibili a valutare tutte le alternative possibili. Rimaniamo in attesa».
Le aziende dell’Alto Vicentino soffrono un calo degli ordini e chiudono Fu così anche nel ’94, solo che allora il terziario favorì il riassorbimento
Nel 2004 mobilità per 1600, il 40% di questi resta senza stipendio
di Mauro Sartori
Licenziamenti in aumento, assorbimenti ridotti ai minimi termini. È crisi occupazionale nell’Alto Vicentino, inutile nascondersi dietro a un dito. I dati disponibili, peraltro ufficiosi, sono allarmanti: nel 2004 si è ricorso alla mobilità per circa 1600 lavoratori, il 60% dei quali proveniente da aziende con oltre 16 dipendenti.
Questi stanno godendo degli ammortizzatori sociali. Il problema è per l’altro 40%, più o meno 700 lavoratori, in buona parte donne e immigrati, che si ritrovano a casa senza più uno stipendio.
«Nell’ultimo mese la situazione sta precipitando, e non me lo spiego - afferma Egidio Borriero, consulente del lavoro scledense. - Mi occupo in media di due o tre piccole ditte alla settimana che decidono di chiudere perché si è interrotto il flusso degli ordini.
Pensavo fosse da addebitare al clima di incertezza politica legato alle elezioni americane, ma dubito sia il motivo reale perché non vedo miglioramenti all’orizzonte. Piuttosto mi accorgo dell’incremento esponenziale di "vù cumprà" da qualche giorno attivi in zone prima vergini come l’ospedale. È un fenomeno che fa pensare».
Il numero dei ricorsi alla mobilità non è diverso da quello fatto registrare in altri momenti di stanca produttività, come nel ’94, solo che allora la disoccupazione veniva assorbita grazie alla richiesta di professionalità esistente nel territorio, e soprattutto grazie al terziario. Che ora non dà particolari segni di vitalità.
«È una crisi strutturale, non nascondiamolo - commenta Vasco Bicego, segretario diessino. - L’impressione è che le nostre aziende non investano più in formazione a causa dell’insicurezza che attanaglia l’imprenditoria ai vari livelli. Il rischio è che si entri in una fase degenerativa a cui non si possa porre rimedio efficace in tempi rapidi. A questo punto bisogna avviare un’ampia concertazione che coinvolga associazioni di categoria e sindacali, istituzioni locali, imprese e banche».
Anche gli enti locali devono fare la loro parte, anche se Bicego ammette che qualcosa non funziona: «Prendiamo Schio. In questi anni abbiamo creato potenzialità enormi per l’occupazione, basti pensare ai servizi garantiti in zona industriale. E non restiamo fermi. Stiamo investendo nel campus dei licei, quindi nella formazione e nell’innovazione tecnologica. Ma la crisi sta accelerando spiazzandoci nei tempi rispetto alle nostre progettualità. ».
I rimedi, secondo Bicego e i Ds, che hanno presentato una proposta di legge regionale per lo sviluppo economico e sociale della "comunità Alto vicentino", ci sono: «Apriamo il dibattito attorno ad alcuni punti fondamentali. Intanto dobbiamo elevare la qualità della vita per convincere i "cervelli" a non fuggire.
Dopo necessita un piano che regoli lo sviluppo in un contesto di economia globalizzata, dove sarà vincente chi riuscirà a garantire qualità e eccellenza. Senza dimenticare che la formazione rimane elemento prioritario, e Provincia e Regione devono fare la loro parte».