12 SETTEMBRE 2006

Ultimatum di Parisi: «Dite sì o no»
«Arsenale, a Venezia rafforzeremo il no al piano trattarifiuti»

Ultimatum di Parisi: «Dite sì o no»
Hüllweck studia le mosse per il confronto di oggi in Consiglio

di Antonio Trentin

La lettera da Roma c’è. È piombata, non inattesa, a Palazzo Trissino ieri mattina, viaggiando via fax, e si è fermata tra gli incartamenti urgenti del sindaco: a sera giuravano di non saperne niente né il "vice" Valerio Sorrentino né l’assessore Claudio Cicero che per mesi aveva tenuto i contatti con il governo Berlusconi e i comandi militari. Dentro sta scritto - garbato ma sostanziale - l’ultimatum che una settimana fa Mauro Fabris, portavoce nazionale dell’Udeur, aveva annunciato in arrivo: Vicenza vuole o no la nuova base americana all’aeroporto "Dal Molin"? È stato il ministro delle Difesa a firmare il documento che ora Enrico Hüllweck tiene in borsa e maneggia con le pinze, perché è di quelli che scottano. Dal municipio sono filtrati solo pochi cenni. Arturo Parisi spiega all’Amministrazione vicentina quello che già tutti sanno e cioè che l’ambasciatore statunitense Ronald Spogli gli sta facendo fretta. Prima che il Congresso americano scriva il prossimo bilancio delle spese militari, Roma deve informare Washington sulla volontà del governo Prodi di confermare il "via libera" del governo Berlusconi al "Dal Molin americanizzato". In ballo entro metà ottobre ci sono oltre 500 milioni di dollari per palazzine, impianti sportivi e corredi logistici vari, da spendere in quattro anni per l’arrivo dalla Germania dei 1600 soldati della 173. brigata aviotrasportata da riunificare a Vicenza con i commilitoni della "Ederle". «Presa coscienza della preoccupazione emersa in sede locale - aveva dichiarato alla Camera il presidente del consiglio Romano Prodi a fine luglio, dopo le interrogazioni arrivategli dal centrosinistra che echeggiavano l’allarme scoppiato in città (e la protesta mista urbanistica-ambientale e ideologica-politica) - il governo intende riconsiderare con gli Stati Uniti il progetto nel suo complesso, riaprendo nei tempi più brevi possibili un confronto al riguardo (...) ovviamente coinvolgendo le amministrazioni locali». Adesso il tempo del coinvolgimento è arrivato e l’urgenza pressa. La vuole o no, l’Amministrazione comunale, questa base? Vale la petizione con 10 mila "no" vicentini inoltrata al governo o valgono i "sì" detti tre mesi fa nel Comitato misto paritetico sulle servitù militari, presenti i "civili" nominati dalla Regione? Allo stato attuale quello del Comune di Vicenza sulla super-caserma all’aeroporto è un esempio perfetto di silenzio-assenso: Hüllweck non ha mai detto un «sì» formale, ma neppure ha mai fatto balenare un «no». Il sindaco si è sempre trincerato dietro un ragionamento abile, semplice e efficace: le competenze sugli insediamenti militari americani in Italia - tanto più questo insediamento che è militare su terreni militari - è totalmente del governo, e perciò dica questo nuovo governo se è d’accordo con quanto voluto dal governo precedente. Gli oppositori della base Usa al "Dal Molin" - ben spartiti tra i filo-americani infastiditi per la sorpresa confezionata in tempi berlusconiani e ora preoccupati per le conseguenze sul territorio, e gli anti-americani "ideologici" che non vogliono veder super-militarizzata Vicenza - gli obiettano una cosa precisa: che anche il solo non dire ufficialmente niente, o rimettersi alla scelta governativa, è automaticamente un consenso al progetto scodellato quasi all’improvviso a fine primavera. Appena qualche giorno fa Hüllweck insisteva sulla sua linea («dica il governo se è interessato o no») ma - in una dichiarazione al Giornale di Vicenza - introduceva un concetto che potrebbe adesso diventare risolutivo: «Personalmente non ho ho alcun interesse che vengano in città altri 1600 soldati americani. Eventualmente è un interesse del governo, che si occupa dei rapporti internazionali. Quindi: se il governo non ha interesse alla costruzione di una nuova caserma, lo dica subito che la finiamo qui; se invece gli fa gioco, lo manifesti e a quel punto siamo disponibili a sederci intorno a un tavolo per collaborare». In sostanza Parisi dovrebbe aver scritto, appunto, che per quanto gli compete, non avendo mai firmato niente in passato, il governo Prodi può anche archiviare il dossier-Dal Molin com’era stato mandato avanti dal governo Berlusconi con il tacito o esplicito assenso degli enti locali vicentini. Ma deve dirglielo Vicenza e chi la rappresenta: altrimenti come può Roma negare a Washington il "sì" sostanziale dato dal passato governo e ribadito a metà giugno dal Comitato paritetico, dov’era presente e non obiettante il Comune? Ma a chi spetta ora dire che la città vuole (o no) la super-caserma? Chi è titolato a rispondere, finalmente, con la chiarezza di una firma o di un voto? Hüllweck si preparava ieri a interloquire con chi - e non saranno pochi - gli chiederà oggi un confronto in sala Bernarda. Il consiglio comunale si riunisce a fine pomeriggio dopo un mese e mezzo di pausa: la rentrée è garantita col botto.

Oggi un sit-in del fronte del no
«Abbiamo scoperto che lo Stato italiano paga il 37% delle spese delle basi Usa»

(p. e.) Saranno certamente le notizie di questa mattina (vedi a fianco) ad agitare ancora più gli animi, ma già ieri il fronte del “no” alla nuova base americana ha riaperto ufficialmente la sua battaglia dopo l’attività forzatamente ridotta dei mesi estivi, anche se nel frattempo si è arrivati - annunciano i responsabili - a quota 10 mila firme contro il progetto della nuova base americana che occuperebbe tutta una lunga fascia di terreno lungo viale S. Antonino che costeggia l’aeroporto Dal Molin. Stampa e tv sono stati convocati dai responsabili dell’Osservatorio contro le servitù militari e del Coordinamento dei comitati cittadini: Martina Vultaggio e Olol Jackson da una parte, e Giancarlo Albera e Cinzia Bottene dall’altra, hanno presentato la serie di nuove iniziative pubbliche che verrà inaugurata già oggi pomeriggio alle 17.30 con una manifestazione (si è parlato di un sit-in) promossa a Vicenza ovest (partendo dalla rotatoria) in occasione della fiera “Orogemma”. «No alla città militare, sì alla città d’arte» è lo slogan coniato dai manifestanti, che ieri hanno annunciato anche altre iniziative già in programma. Sabato 23 settembre gli studenti delle superiori di Vicenza - è stato annunciato ieri - hanno organizzato uno sciopero proprio per manifestare contro il progetto della base Usa. Il sabato successivo, il 30 settembre, si organizzerà a Vicenza un convegno nazionale cui saranno invitati altri comitati che si sono opposti in Italia a progetti e presenze militari: quelli per la base di Camp Darby (tra Pisa e Livorno), quelli dell’aeroporto di Rimini, quelli della base della Maddalena, quelli della base di Aviano e i rappresentanti del movimento “Beati i costruttori di pace”. Il convegno punta anche a dare contro-proposte per dare altre opportunità di sviluppo e di lavoro rispetto al rischio che un “no” alla nuova base americana crei problemi di occupazione alle centinaia di persone che lavorano dentro la caserma Ederle: «Andiamo a manifestare in Fiera proprio per ribadire il nostro sì alla Vicenza che produce arte, a cominciare da quella orafa, e il nostro no alla Vicenza che diventa sempre più un presidio militare, visto che abbiamo già caserme e presidi come la Ederle, il villaggio Usa a Vicenza est, le basi di Longare e Tormeno, la Gendarmeria europea», sottolineano Vultaggio e Albera. Il comitato comunque apre un altro fronte di confronto: quello sui benefici economici che il progetto della caserma Usa porterebbe a Vicenza. «Abbiamo verificato dai siti ufficiali del governo Usa e dai documenti dei parlamentari italiani - spiegano Jackson e Bottene - che lo Stato italiano rimborsa ogni anno agli Stati Uniti il 37% delle spese sostenute per le basi americane in Italia. Significa una spesa, a carico di tutti noi cittadini italiani, di milioni di euro. Anzi, abbiamo pronto uno studio molto dettagliato, fatto da consulenti dei comitati, che fa i conti dei benefici-costi economici per Vicenza: ci saranno sorprese quando lo divulgheremo, tenuto conto ad esempio che la Ederle non versa un euro di Ici al Comune e lo stesso succederà per l’aeroporto». Infine un preciso appello politico: ai partiti del centrosinistra perché si facciano finalmente sentire con i loro colleghi che siedono nel governo Prodi, e al sindaco Enrico Hüllweck perché incontri il comitato e convinca prima di tutto il suo partito Forza Italia a dire “no” alla base, che sia al Dal Molin o a Vicenza est.

«Combattiamo insieme una guerra globale»
Helmick: «Italia e Usa uniti in Afghanistan e Iraq»

di Eugenio Marzotto

Mezz’ora per ricordare le vittime dell’11 settembre di cinque anni fa può bastare per quei soldati che hanno visto morire sui campi di battaglia di Afghanistan e Iraq i loro compagni. Sono 27 i soldati della Setaf partiti da Vicenza per le missioni di guerra e uccisi durante gli scontri, un prezzo che hanno dovuto pagare dopo gli attacchi al Word Trade Center di New York da parte dei terroristi di Al Qaeda, quando da quell’11 settembre del 2001 nulla è stato più come prima. Erano le 8,46 e New York bruciava. Da quel momento gli assetti mondiali cambiarono radicalmente. E basta guardare in faccia quei soldati per capire che dietro alle mimetiche da combattimento si celano migliaia di ricordi di quella giornata, memorie che nella base Usa sono ancora vive. Basta il “silenzio” suonato da un alpino nel parco delle adunate della caserma Ederle, come è successo ieri, per percepire come sia ancora alta la tensione e la commozione dentro la base vicentina. Quel giorno se lo ricorda bene Frank G. Helmick che ieri pomeriggio nella giornata commemorativa, davanti alle autorità, nel suo intervento non smette di ripetere che si tratta di «una guerra globale combattuta per cinque anni dove hanno perso la vita quasi tremila fra donne e uomini delle nostre forze armate». Parole marcate da parte di chi governa una base strategica per le missioni in Iraq e Afghanistan e che sa bene che questa guerra durerà a lungo. Schietto, di fronte ai suoi soldati e alle istituzioni vicentine, Helmick guarda in faccia la realtà e chiarisce che «non si tratta di capire se ci saranno altri attentati terroristici, il problema è capire piuttosto dove avverranno e quando». Prima gli inni nazionali dell’Italia e Stati Uniti avevano dato il via alla cerimonia, seduti ad ascoltare il generale c’erano il prefetto Piero Mattei, il questore Dario Rotondi e per il Comune di Vicenza, Sante Sarracco, oltre ad altri rappresentanti delle istituzioni vicentine. Tutti ad ascoltare e ad osservare gli sguardi dei soldati, gente pronta a partire, salire sull’aereo militare che li porterà nelle zone calde del conflitto della guerra globale se necessario. Il grazie all’Italia nella lotta al terrorismo è scontato, non sono scontate però le affermazioni del capo della base di viale della Pace. «Noi non possiamo vincere questa guerra da soli - spiega Helmick - i nostri amici italiani ed i loro militari servono accanto a noi in Iraq, in Afghanistan e dovunque la minaccia terroristica sollevi la sua testa». E ancora: «I nostri alleati italiani hanno ugualmente pagato il prezzo per sconfiggere la minaccia del terrorismo, così 32 militari dei carabinieri hanno perduto la vita. Il loro sacrificio ed il coraggio hanno grandemente contribuito allo sforzo di liberare il mondo dai violenti atti di terrorismo». «Saremo inflessibili finchè dovremo continuare a combattere con i nostri alleati questa battaglia contro un nemico senza volto che cerca di distruggere la nostra libertà». È finita con queste parole la giornata del ricordo alla Ederle, con il generale che sparisce per ritornare nel suo ufficio dopo qualche stretta di mano e con pochi soldati che sostano vicino al monumento ai caduti, “figli” della base americana a Vicenza. Gli altri sono già nei reparti pronti per le loro mansioni. Non è più il momento del lutto, la commemorazione è già alle spalle, ma tutti alla Ederle sanno che dalle 8,46 di quell’11 settembre di cinque anni fa, nulla è rimasto come prima.


Comune e Provincia domani in Regione
«Arsenale, a Venezia rafforzeremo il no al piano trattarifiuti»

(g. m. m.) «A Venezia andremo a ribadire il nostro no più deciso al progetto dell’impianto per trattare rifiuti pericolosi all’Arsenale delle Fs». Parlano quasi all’unisono i due assessori all’ecologia di Comune e Provincia, vale a dire Valerio Sorrentino e Walter Formenton. Il progetto presentato dalla società Wisco Spa era stato bocciato all’unanimità sia dal consiglio comunale che dal consiglio provinciale nel 2005. Una lettera arrivata all’inizio di settembre dalla Regione Veneto, però, ha messo in allarme due consiglieri comunali di Alleanza nazionale, il capogruppo Luca Milani e il presidente della commissione Territorio Giuseppe Tapparello. Si tratta di una convocazione alla riunione della commissione regionale Via per la valutazione dell’impatto ambientale, che si terrà domani alle 12 a palazzo Linetti. Nel testo si legge che «la commissione provvede all’istruttoria ai fini dell’assunzione dei provvedimenti richiesti, che sostituiscono a ogni effetto visti, pareri, autorizzazioni e concessioni di organi regionali, provinciali e comunali e che l’approvazione del progetto costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico comunale e comporta la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza e indifferibilità dei lavori». Di qui la decisione di Milani e Tapparello di presentare un’interrogazione urgente per saperne di più e conoscere con quale mandato il Comune si presenterà a Venezia. «Presenteremo il parere negativo così come elaborato dal consiglio comunale - spiega il vicesindaco e assessore all’ecologia Sorrentino - sia per l’impatto su una zona residenziale, sia per il rischio dovuto alle sostanze che verrebbero trattate». Anche Formenton ribadisce la netta contrarietà manifestata dalla Provincia: «quando ci sono due pareri così negativi da parte degli enti locali, per esperienza posso dire che la commissione non ne può non tenere conto».