Quindici anni senza cattedra
«È logorante, perdiamo il coraggio e la speranza»
di Marco Scorzato
Lavorano nella scuola rispettivamente da cinque e quindici anni. Da altrettanti stanno peregrinando attraverso tutto il territorio provinciale per restare aggrappate a quel lavoro. Hanno famiglia, ma arrivare alla fine del mese è per loro una sfida continua. Percepiscono oggi uno stipendio uguale a quello del primo anno d'impiego, senza scatto d'anzianità alcuno; ogni anno, a luglio e agosto sono ufficialmente disoccupate, con tanto di assegno. Fanno un lavoro, ma non hanno un "posto" di lavoro. Il loro presente è la provvisorietà, il futuro professionale un enorme punto interrogativo: sono insegnanti "precarie" alla scuola secondaria. Si chiamano Marialuisa Scarmagnan e Antonella Balasso e a Valdagno, e in Italia, sono solo due "casi" di un fenomeno molto - troppo - diffuso.
«Sono precaria dal 2000», racconta Marialuisa Scarmagnan, valdagnese di 35 anni, una laurea in architettura a Venezia e così tanta passione per il suo lavoro da essere motivata a fare l'insegnante di sostegno per tre anni. «Il primo anno ho accettato un lavoro in Trentino. Mi alzavo alle 4 tutte le mattine. Poi mi sono avvicinata, lavorando con ragazzi disabili. Lo scorso anno ho avuto una cattedra all'Itis di Valdagno, ma il mio pellegrinaggio non è finito. Sono in attesa della nuova destinazione». Che quest'anno tarda ad arrivare: le convocazioni dell'ex Provveditorato avverranno il 13 settembre, quando molte scuole avranno già iniziato l'attività.
Anche quando ha lavorato a Valdagno, Marialuisa Scarmagnan non ha mai smesso di viaggiare: «Dovevo specializzarmi - afferma -. Per un precario la specializzazione è tutto: ottenere abilitazioni all'insegnamento è vitale per scalare le graduatorie. Ma è un salasso dal punto di vista economico: in 4 anni, tra corsi vari a Venezia, Padova e Vicenza non ho avuto un momento di pausa. Oltre ai costi degli spostamenti, ho speso quasi 8 mila euro di tasse». Poco meno dello stipendio annuo di un precario. «Le nostre retribuzioni sfiorano la soglia della povertà, secondo gli indici Istat - prosegue Scarmagnan - e sono sempre quelle del primo anno. Sono sposata ma un figlio non è nei programmi: è penoso dirlo, ma non posso averlo adesso».
La sua collega Antonella Balasso, invece, ha due figlie. Ha 44 anni, 20 di lavoro sulle spalle di cui 15 a scuola, da precaria: «Mi sento come se fossi al primo anno di gavetta - ammette -. Essere precari è logorante. A luglio e agosto godiamo solo di un assegno di disoccupazione, anche se almeno i contributi ci vengono versati».
Poi, a settembre, la nuova collocazione, sempre tardiva rispetto alle reali esigenze, e ai diritti, di un precario: «Arrivando a settembre - spiega Balasso - dobbiamo "subire" gli orari predisposti da altri. Non è un capriccio, il nostro, ma un'esigenza: i precari spesso devono "dividersi" insegnando in più istituti. Ma se gli orari non combaciano si deve rinunciare ad un posto cui si aveva diritto, dimezzando lavoro e stipendio».
Lo scorso anno Balasso si divideva tra Valdagno e Schio. «In 15 anni ho girato tutta la provincia, da Vicenza a Bassano ad Arzignano, ricominciando ogni anno daccapo. Ma così si perde coraggio e speranza».
E conclude, aprendo uno squarcio su un altro aspetto della precarietà dell'insegnamento: «Sono preoccupata per le mie figlie, che vanno a scuola, perché alla fine sono anche gli studenti a rimetterci in tutto questo: quando cambiano insegnante tutti gli anni non si instaurano rapporti veri e a risentirne sono l'apprendimento e l'educazione».