Dopo aver ottenuto il via libera ai bilanci resta la fiducia degli alleati? «Vedremo» Dimissioni già scritte? «Non mi risulta»
Dossier ai giudici finanziari per una certificazione di correttezza nei conti con Aim Ma la maggioranza cerca una via d’uscita dal tunnel
E l’assessore annuncia: «Tutte le carte alla Corte dei Conti»
di Antonio Trentin
Stretta tra i due bracci della tenaglia che minaccia di stroncarle la carriera in Comune - la richiesta di dimissioni propagandata in giro per la città dal centrosinistra e la non-dichiarabile ma chiacchieratissima disistima di una parte dei suoi alleati - l’assessore Carla Ancora scava a palazzo Trissino un’ultima trincea, buona per difendersi ma anche per tentare un contrattacco in extremis.
Le pesa addosso, ed è gravosa anche sul piano umano e professionale, l’accusa di aver taciuto e negato, tra maggio e giugno, la gravità del rischio-buco che si profilava nel bilancio comunale dopo la virata dei conti in Aim. Il non aver riconosciuto subito quello che stava succedendo - nella convinzione di poter sistemare i conti strada facendo, come poi le è riuscito e come ha certificato il "sì" della Casa delle libertà l’altra notte in sala Bernarda sull’assestamento di bilancio - si è trasformato nel caso politico dell’estate. In consiglio comunale, dopo aver ammesso le tergiversazioni "a fin di bene" facilmente diventate «bugie e menzogne» nell’accusa degli avversari (e di diversi "amici" di partito, silenziosi ai microfoni ma non nei corridoi), è stata attaccata su questo. Anche nel centrodestra parecchi la considerano ormai indifendibile.
Ma lei non accetta che il "caso" diventi una sentenza già scritta. Mentre la maggioranza di centrodestra studia la formula che potrebbe costarle il posto, preannuncia infatti che manderà tutti gli incartamenti Comune-Aim alla Corte dei Conti, «la sola che può dare un giudizio su quanto successo» commenta l’assessore, perché si verifichi lì se c’è stata o no correttezza e perché sia certificato che non ci sono stati da nni per l’Amministrazione. Cardini della difesa, i soliti: il Comune ha scritto i suoi bilanci quando Aim prometteva una cosa, si è trovato spiazzato dalle decisioni di contrà San Biagio, ha ricostruito la tranquillità finanziaria in tempo per schivare conseguenze che potevano essere devastanti.
Verrà e, se verrà, quando arriverà il pronunciamento dei magistrati amministrativi-finanziari? Potrebbero esserci tempi lunghissimi, biblici rispetto alle urgenze della politica. Potrebbe neanche esserci un giudizio, perché non è detto che la Corte apra un dossier su una segnalazione basata proprio sul fatto che non c’è stato danno patrimoniale. L’Ancora, comunque, sta raccogliendo le carte.
A partire da quelle che lei individua - l’ha fatto intendere anche mercoledì in consiglio comunale - come prove di un vero e proprio attentato alla stabilità dei conti comunali e quindi dell’Amministrazione Hüllweck: l’improvvisa decisione del consiglio di Aim SpA di diminuire in aprile il gran pacco di milioni di euro promesso al Comune in gennaio; e la lettera dell’amministratore forzista in Aim Alberto Filosofo che in maggio raccontava il "buco" profilatosi (o ammanco o disallineamento o disarmonia o come altro si voglia eufemizzare...), una lettera diventata rapidamente arma di contesa politica per l’opposizione e dentro la maggioranza.
- Assessore, dietro le quinte i suoi sembrano preparare conseguenze politiche che la riguardano...
«Con tutto quello che è successo, è ovvio che stiano discutendo. Capisco anch’io che ci sono conseguenze politiche. L’opposizione è stata abilissima a montare la polemica, con un metodo particolarmente pesante sul piano personale».
- Ma è anche nel centrodestra che serpeggia l’accusa di silenzi suoi in momenti decisivi: sente di avere o no la fiducia della sua maggioranza, adesso che si profila il dibattito sulla richiesta di dimissioni?
«Vedremo».
- Pensa che resterà in giunta o che dovrà lasciare?
«Non penso proprio niente: a me interessa la verità e che la verità sia accertata» .
- La leghista Manuela Dal Lago, a capo di un gruppo decisivo nei numeri del centrodestra comunale, ha detto che la verità non si capisce ancora...
«Ha tutto il diritto di dirlo, naturalmente».
- E il sindaco? Le ha fatto balenare quello che molti chiedono o sperano, cioè la perdita del posto in giunta? Ha ancora la sua fiducia?
«È una domanda che va rivolta al sindaco. Non sarebbe corretto se rispondessi io» .
- Dicono, a centrodestra, che ci sia già una sua lettera di dimissioni a disposizione di Hüllweck...
«Davvero? Piacere di saperlo... Non mi risulta proprio» .
Skinheads, verso l’assoluzione?
Quattro investigatori testimoniano su fatti del «secolo scorso»
di Ivano Tolettini
Dieci anni fa, il 4 ottobre, la procura di Verona con un blitz all’alba decapitava le teste rasate del Veneto Fronte Skinheads, fondato con atto notarile il 14 dicembre ’90. Sette persone, tra cui il fondatore e leader Piero Puschiavo da Gambellara, venivano arrestate. Ieri mattina, dopo un primo processo arrivato alla fine a Verona nel febbraio 2001 quando il tribunale anzichè il verdetto emise un’ordinanza di trasferimento degli atti a Vicenza per incompetenza territoriale, si è scritta con ogni probabilità la pagina conclusiva di un’inchiesta avviata nel ’92, ma le cui premesse, come ha spiegato in aula lo storico sostituto commissario della digos veronese Giordano Fainelli, risalivano al 1989 dopo Italia-Uruguay giocata al Bentegodi.
Per capire come potrebbe finire il processo per il presunto incitamento all’odio razziale, cioè la violazione della legge Mancino, per il quale sono a giudizio 23 degli originari 43 skin imputati, è sufficiente leggere che cos’è successo alle 13.15 di ieri.
Alla conclusione dell’esame del quarto teste d’accusa - il sostituto commissario della digos berica Giuseppe Ciscato, dopo le deposizioni dei colleghi Antonio Sangiorgi di Bologna e Alfredo Degiampietro di Verona -, la difesa ha rinunciato ai propri undici testimoni e il pubblico ministero Alessandro Severi all’esame degli imputati. Così il calendario che prevedeva altre tre udienze con conclusione fissata il 3 dicembre è stato modificato dal presidente Giuseppe Perillo (giudici Giovanni Biondo e Michele Bianchi) e il 22 ottobre è prevista la sentenza.
«Nulla è mai scontato in un’aula di giustizia - ha detto uscendo l’avv. Roberto Bussinello a Piero Puschiavo, unico imputato presente -, ma non penso si possano condannare delle persone senza prove».
Oltre a Puschiavo i vicentini imputati sono il fratello Claudio e la moglie di questi Federica Zambonin, Fabio Baretta, Fernando Canilli, Mario Fochesato, Thomas Gallio, Michel Lupatini,
Il pm Severi, da parte sua, ha interpretato il ruolo del pm che ha ereditato l’ingombrante inchiesta con scrupolo. Ha istruito il processo, l’ha sfoltito dagli imputati che dovevano essere prosciolti dalla prescrizione, ha poi chiesto il processo per quelli che a suo avviso erano stati i maggiori interpreti di un movimento che all’inizio degli anni Novanta inquietava per la rozzezza, ma che oggi si è molto imborghesito e, perche no?, democraticizzato. Vuoi perché quindici anni in più sulle spalle si fanno sentire, anche se gli imputati sono ancora relativamente giovani; vuoi perché l’azione repressiva e preventiva dello Stato ha comunque raggiunto il risultato di raffreddare un movimento che si richiama a valori culturali sui quali c’è molto da obiettare e molto da prendere le distanze. In un’intervista mai smentita del ’92 i leader del movimento così argomentavano: «Certo, ci riconosciamo nei principi del nazionalsocialismo. La guerra purtroppo non l’abbiamo fatta, ma crediamo in quei valori di razza, purezza e ordine sociale che si richiamano al nazionalsocialismo. Se guardiamo a quello che ha fatto la democrazia in Italia nel dopoguerra, ebbene sì, ci sentiamo fascisti».
Detto questo però, bisogna trasferire dall’idea al piano concreto le presunte violazioni. I processi si fanno sui fatti, al di là dei giudizi di valore che si possono esprimere su extracomunitari o avversari politici. Altrimenti si rischia di incamminarsi su una china che ha poco di processuale.
Del resto, dei quattro testimoni d’accusa nessuno è venuto a raccontare fatti che integrassero l’incitamento all’odio razziale. La commemorazione della nascita di Hitelr il 21 aprile ’94, l’affissione di volantini deliranti, la pubblicazione di un periodico come l’Inferocito con parole dure verso la società multiulturale, l’organizzazione di concerti a tema in cui si denigravano gli immigrati, denotavano senz’altro un contesto politicamente orientato e censurabile nei modi (sui contenuti ognuno è libero di pensarla come vuole). Ma lo è anche sotto il profilo penale?
Piero Puschiavo, fondatore nel 1990 davanti a un notaio di Roma del movimento “Veneto Fronte”, era l’unico imputato presente
«Pensare che 10 anni fa ero stato arrestato»
(i. t.) Se gli skinheads del Veneto Fronte fossero da giudicare per il contenuto di uno degli ultimi volantini distribuiti in città ci sarebbe da chiedersi il motivo per il quale sono davanti ai giudici. «Dopo 10 anni di inchieste e udienze in un processo farsa nel tribunale di Verona eccoci sul banco degli imputati. Colpevoli di essere: difensori della nostra cultura, della nostra identità e della nostra tradizione, differenti dalla mediocrità di una massa amorfa e conformista, fedeli al nostro libero codice d’onore, oppositori del “pensiero unico” e dell’arroganza del potere, estranei alla viltà e al servilismo, contro la droga, contro l’immigrazione incontrollata contro l’uso politico della giustizia per non delegare ad altri il nostro futuro».
Al di là della perentorietà del messaggio e di alcuni passaggi, sui quali peraltro anche molti moderati potrebbero convergere, non c’è traccia del furore ideologico di cui dieci anni fa erano portatori. Che cosa sta succedendo?
«Quindici anni sono tanti - spiega Piero Puschiavo (nella foto) fuori dell’aula - ci sono nuovi problemi sociali e possiamo dire di avere anticipato certi fenomeni».
- Era la maniera in cui avevate posto certe problematiche, le circostanze in cui vi siete manifestati e il modo in cui vi siete confrontati con l’avversario ad inquietare, tanto che il giudice che firmò il suo ordine di cattura parlava del Veneto Fronte Skinheads come un movimento eversivo?
«Non rimpiango nulla del nostro passato, della nostra azione culturale. Abbiamo interpretato disagi sociali che oggi trovano rispondenza nel sentire della gente. Siamo stati vittime di un atteggiamento repressivo dello Stato più per quello che eventualmente abbiamo detto che per quello che in effetti è stato fatto».
- L’impressione, dieci anni dopo, è che siate a un passo all’assoluzione.
«Me lo auguro. Certo, allora fummo arrestati per le nostre idee, perché io sono convinto che si tratti di un processo alle idee».
- Idee, però, molto forti e che in alcuni scritti esprimevano violenza, non a caso il processo di oggi.
«Noi siamo contro la società multiculturale, siamo per una politica nazionalista, siamo contro la politica imperialista americana di aggressione, manifestatasi anche in Iraq. Per contro, l’anno scorso al nostro convegno sull’ordine di cattura europeo era relatore l’avvocato Taormina. Il Veneto Fronte Skinheads oggi è questo.