09 OTTOBRE 2004

dal Giornale di Vicenza

Auchan, le lavoratrici si ribellano.
Una tenaglia sull'Ancora
Skinheads, verso l'assoluzione?

«Dipendenti che alla fine dell’orario normale timbrano e poi riprendono l’attività senza essere pagati» Alternative? «Se non va bene te ne puoi andare», rispondono i capireparto. «Cassiere che rientrano dalla maternità e si ritrovano trasferite in altri settori con orari inconciliabili per accudire un bambino piccolo»
Auchan, le lavoratrici si ribellano
Cgil, Cisl e Uil sul piede di guerra lanciano accuse al supermercato

di Chiara Roverotto

Il sindacato accusa: «I l mobbing dilaga ». L’azienda replica: «F alsità ». Ecco il clima che si respira all’ipermercato Auchan, secondo le affermazioni dei tre sindacati confederali: Cgil-Cisl e Uil, rappresentati da Sergio Baù, Costantino Vaidanis e Grazia Chisin. Cosa che, (vedi altro articolo) l’azienda nega con forza.Circa 280 dipendenti, il 90 per cento donne, sarebbero al centro di continui disagi, rivendicazioni, molestie, « in alcuni casi anche di natura sessuale » (il sindacato ha già aperto un paio di vertenze). Ma, soprattutto, si è parlato di mobbing. «D obbiamo discutere della dignità e dei diritti che una persona deve avere e conservare in un luogo di lavoro: ecco perché abbiamo deciso di denunciare questa situazion e» , dice Sergio Baù della Filcam. E poi auspica l’intervento di Inps, ispettorato del lavoro e parlamentari.
I sindacati sono intenzionati a proclamare lo stato di agitazione e, «s e l’azienda non dimostrerà alcun segnale di apertur a» , penseranno ad un pacchetto di giorni di sciopero. Innanzitutto, Cgil-Cisl e Uil denunciano un clima di intimidazione molto forte all’interno dell’ipermercato. «S iamo allarmati - ha precisato Grazia Chisin della Uil - dalle continue e pressanti segnalazioni telefoniche che arrivano quotidianamente alle segreterie provinciali da parte di lavoratrici e anche lavoratori che raccontano cose che a volte hanno dell’incredibile, in un paese che si professa civile e in un gruppo commerciale che ha filiali in tutto il mondo ».
« I dipendenti - racconta Costantino Vaidanis della Cisl - sv olgono il loro lavoro, alla fine timbrano e riprendono l’occupazione senza alcuna copertura assicurativa e, soprattutto, senza alcuna retribuzione. Se qualcuno non accetta? ’La porta è sempre aperta’, rispondono i capi reparto... ». Questo non è che uno degli esempi. «I lavoratori devono affrettarsi a sollevare casse anche di peso superiore rispetto a quanto prevede la legge e, soprattutto, senza alcun strumento di supporto ». E se qualcuno si lamenta la risposta sarebbe sempre la stessa: le porte dell’ipermercato si aprono, tanto la fila di chi cerca un’occupazione è sempre abbastanza lunga. Ma c’è un aspetto che ha dell’incredibile, come denunciano i sindacati: «È stata negata la pausa per recarsi ai servizi durante il lavoro, e sebbene alcune lavoratrici e lavoratori abbiano portato certificati medici non c’è stato nulla da fare, con tutte le implicazioni sia fisiche che personali che questo comporta anche in termini di umiliazioni ». Al rientro della maternità pare che la mansione di molte lavoratrici sia stata cambiata al punto che alcune venivano costrette alle dimissioni. «I n sostanza - spiega Grazia Chisin- se prima lavoravano alla cassa, alla ripresa venivano spostate in altri comparti: ortofrutta piuttosto che banco salumi, ma soprattutto con orari inconciliabili per chi ha un bimbo piccolo: dalle 17 alle 22 non ci sono certo asili aperti e alcune dipendenti sono ragazze madri per cui non hanno molte persone sulle quali con tare» . Ma la lista continua con cambi di orario decisi al momento dell’assunzione e poi cambiati causando forti disagi ai dipendenti e alle loro famiglie. «A bbiamo riscontrato differenze tra l’orario retribuito e quello timbrato dai dipendenti. Non vengono pagate le visite mediche previste dalla legge 626. Senza dimenticare che in uno degli ultimi incontri avuti con le direzione- dicono i sindacati - siamo stati scortati e guardati a vista dagli addetti alla sicure zza» . Comuque la parola d’ordine è una: «N on ci faremo intimidire. Oltre ad informare l’Inps, l’Ispettorato del lavoro e i parlamentari cercheremo di ripristinare un dialogo anche attraverso un tavolo sindacale che serva da osservatorio al problema, proporremo progetti di Azioni positive finanziati dal ministero del Lavoro in ottemperanza della legge 53 per le flessibilità, mirati a cogliere i bisogni della conciliazione tra vita di lavoro e fami glia» .
«E che il problema del mobbing sia sempre più sentito - ribadisce Cinzia Chisin - si deduce anche dalle vertenze che arrivano nelle sede sindacali dai settori del commercio, terziario e artigianato, dove il 52 per cento delle lavoratrici denuncia molestie che spesso non sono che l’anticamera del mobbing".

Ma il gruppo nega tutto «Sono soltanto calunnie»

(c. r.) La replica della direzione di Auchan non si fa attendere. Anche se il responsabile preferisce scrivere un comunicato piuttosto che rispondere ad alcune domande. Del resto, le accuse dei sindacati sono puntuali e precise, soprattutto per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro, anche se gli iscritti all’interno dell’ipermercato dei Pomari - a detta dei rappresentanti sindacali - pare non abbiano vita facile.
« Le affermazioni calunniose del sindacato sono del tutto prive di fondamento, e la società Auchan-Gruppo Rinascente di Vicenza si riserva di tutelare la sua immagine ricorrendo al giudice ». Queste le prime fasi del comunicato giunto in redazione.
« Già alcuni mesi fa, nel maggio 2004, i sindacati avevano sollevato una polemica sul nostro utilizzo delle telecamere, per essere poi clamorosamente smentiti dall’Ispettorato del Lavoro. Inoltre, per fare un altro esempio, lo stesso sindacato che denuncia l’assenza dell’azienda, non più tardi di giovedì 30 settembre alle 16.30 incontrava i responsabili su vari temi »
« In realtà - si legge ancora nella nota della direzione del Gruppo Rinascente - Auchan di Vicenza è un esempio di eccellente gestione del personale, che fruisce di un piano di formazione all'avanguardia, di uno dei migliori contratti integrativi aziendali, di una consistente retribuzione variabile sui risultati condivisi da tutti i 300 collaboratori, della possibilità di crescere professionalmente in azienda ».


Una tenaglia sull’Ancora
Dopo aver ottenuto il via libera ai bilanci resta la fiducia degli alleati? «Vedremo» Dimissioni già scritte? «Non mi risulta»
Dossier ai giudici finanziari per una certificazione di correttezza nei conti con Aim Ma la maggioranza cerca una via d’uscita dal tunnel
E l’assessore annuncia: «Tutte le carte alla Corte dei Conti»

di Antonio Trentin

Stretta tra i due bracci della tenaglia che minaccia di stroncarle la carriera in Comune - la richiesta di dimissioni propagandata in giro per la città dal centrosinistra e la non-dichiarabile ma chiacchieratissima disistima di una parte dei suoi alleati - l’assessore Carla Ancora scava a palazzo Trissino un’ultima trincea, buona per difendersi ma anche per tentare un contrattacco in extremis. Le pesa addosso, ed è gravosa anche sul piano umano e professionale, l’accusa di aver taciuto e negato, tra maggio e giugno, la gravità del rischio-buco che si profilava nel bilancio comunale dopo la virata dei conti in Aim. Il non aver riconosciuto subito quello che stava succedendo - nella convinzione di poter sistemare i conti strada facendo, come poi le è riuscito e come ha certificato il "sì" della Casa delle libertà l’altra notte in sala Bernarda sull’assestamento di bilancio - si è trasformato nel caso politico dell’estate. In consiglio comunale, dopo aver ammesso le tergiversazioni "a fin di bene" facilmente diventate «bugie e menzogne» nell’accusa degli avversari (e di diversi "amici" di partito, silenziosi ai microfoni ma non nei corridoi), è stata attaccata su questo. Anche nel centrodestra parecchi la considerano ormai indifendibile. Ma lei non accetta che il "caso" diventi una sentenza già scritta. Mentre la maggioranza di centrodestra studia la formula che potrebbe costarle il posto, preannuncia infatti che manderà tutti gli incartamenti Comune-Aim alla Corte dei Conti, «la sola che può dare un giudizio su quanto successo» commenta l’assessore, perché si verifichi lì se c’è stata o no correttezza e perché sia certificato che non ci sono stati da nni per l’Amministrazione. Cardini della difesa, i soliti: il Comune ha scritto i suoi bilanci quando Aim prometteva una cosa, si è trovato spiazzato dalle decisioni di contrà San Biagio, ha ricostruito la tranquillità finanziaria in tempo per schivare conseguenze che potevano essere devastanti. Verrà e, se verrà, quando arriverà il pronunciamento dei magistrati amministrativi-finanziari? Potrebbero esserci tempi lunghissimi, biblici rispetto alle urgenze della politica. Potrebbe neanche esserci un giudizio, perché non è detto che la Corte apra un dossier su una segnalazione basata proprio sul fatto che non c’è stato danno patrimoniale. L’Ancora, comunque, sta raccogliendo le carte. A partire da quelle che lei individua - l’ha fatto intendere anche mercoledì in consiglio comunale - come prove di un vero e proprio attentato alla stabilità dei conti comunali e quindi dell’Amministrazione Hüllweck: l’improvvisa decisione del consiglio di Aim SpA di diminuire in aprile il gran pacco di milioni di euro promesso al Comune in gennaio; e la lettera dell’amministratore forzista in Aim Alberto Filosofo che in maggio raccontava il "buco" profilatosi (o ammanco o disallineamento o disarmonia o come altro si voglia eufemizzare...), una lettera diventata rapidamente arma di contesa politica per l’opposizione e dentro la maggioranza.
- Assessore, dietro le quinte i suoi sembrano preparare conseguenze politiche che la riguardano...
«Con tutto quello che è successo, è ovvio che stiano discutendo. Capisco anch’io che ci sono conseguenze politiche. L’opposizione è stata abilissima a montare la polemica, con un metodo particolarmente pesante sul piano personale».
- Ma è anche nel centrodestra che serpeggia l’accusa di silenzi suoi in momenti decisivi: sente di avere o no la fiducia della sua maggioranza, adesso che si profila il dibattito sulla richiesta di dimissioni?
«Vedremo».
- Pensa che resterà in giunta o che dovrà lasciare?
«Non penso proprio niente: a me interessa la verità e che la verità sia accertata» .
- La leghista Manuela Dal Lago, a capo di un gruppo decisivo nei numeri del centrodestra comunale, ha detto che la verità non si capisce ancora...
«Ha tutto il diritto di dirlo, naturalmente».
- E il sindaco? Le ha fatto balenare quello che molti chiedono o sperano, cioè la perdita del posto in giunta? Ha ancora la sua fiducia?
«È una domanda che va rivolta al sindaco. Non sarebbe corretto se rispondessi io» .
- Dicono, a centrodestra, che ci sia già una sua lettera di dimissioni a disposizione di Hüllweck...
«Davvero? Piacere di saperlo... Non mi risulta proprio» .


Incitazione all’odio razziale e violazione della legge Mancino Sono le accuse dalle quali si difendono 23 teste rasate, parte delle quali vicentine, già giudicate a Verona nel febbraio 2001
Skinheads, verso l’assoluzione?
Quattro investigatori testimoniano su fatti del «secolo scorso»

di Ivano Tolettini

Dieci anni fa, il 4 ottobre, la procura di Verona con un blitz all’alba decapitava le teste rasate del Veneto Fronte Skinheads, fondato con atto notarile il 14 dicembre ’90. Sette persone, tra cui il fondatore e leader Piero Puschiavo da Gambellara, venivano arrestate. Ieri mattina, dopo un primo processo arrivato alla fine a Verona nel febbraio 2001 quando il tribunale anzichè il verdetto emise un’ordinanza di trasferimento degli atti a Vicenza per incompetenza territoriale, si è scritta con ogni probabilità la pagina conclusiva di un’inchiesta avviata nel ’92, ma le cui premesse, come ha spiegato in aula lo storico sostituto commissario della digos veronese Giordano Fainelli, risalivano al 1989 dopo Italia-Uruguay giocata al Bentegodi.
Per capire come potrebbe finire il processo per il presunto incitamento all’odio razziale, cioè la violazione della legge Mancino, per il quale sono a giudizio 23 degli originari 43 skin imputati, è sufficiente leggere che cos’è successo alle 13.15 di ieri. Alla conclusione dell’esame del quarto teste d’accusa - il sostituto commissario della digos berica Giuseppe Ciscato, dopo le deposizioni dei colleghi Antonio Sangiorgi di Bologna e Alfredo Degiampietro di Verona -, la difesa ha rinunciato ai propri undici testimoni e il pubblico ministero Alessandro Severi all’esame degli imputati. Così il calendario che prevedeva altre tre udienze con conclusione fissata il 3 dicembre è stato modificato dal presidente Giuseppe Perillo (giudici Giovanni Biondo e Michele Bianchi) e il 22 ottobre è prevista la sentenza.
«Nulla è mai scontato in un’aula di giustizia - ha detto uscendo l’avv. Roberto Bussinello a Piero Puschiavo, unico imputato presente -, ma non penso si possano condannare delle persone senza prove». Oltre a Puschiavo i vicentini imputati sono il fratello Claudio e la moglie di questi Federica Zambonin, Fabio Baretta, Fernando Canilli, Mario Fochesato, Thomas Gallio, Michel Lupatini, Il pm Severi, da parte sua, ha interpretato il ruolo del pm che ha ereditato l’ingombrante inchiesta con scrupolo. Ha istruito il processo, l’ha sfoltito dagli imputati che dovevano essere prosciolti dalla prescrizione, ha poi chiesto il processo per quelli che a suo avviso erano stati i maggiori interpreti di un movimento che all’inizio degli anni Novanta inquietava per la rozzezza, ma che oggi si è molto imborghesito e, perche no?, democraticizzato. Vuoi perché quindici anni in più sulle spalle si fanno sentire, anche se gli imputati sono ancora relativamente giovani; vuoi perché l’azione repressiva e preventiva dello Stato ha comunque raggiunto il risultato di raffreddare un movimento che si richiama a valori culturali sui quali c’è molto da obiettare e molto da prendere le distanze. In un’intervista mai smentita del ’92 i leader del movimento così argomentavano: «Certo, ci riconosciamo nei principi del nazionalsocialismo. La guerra purtroppo non l’abbiamo fatta, ma crediamo in quei valori di razza, purezza e ordine sociale che si richiamano al nazionalsocialismo. Se guardiamo a quello che ha fatto la democrazia in Italia nel dopoguerra, ebbene sì, ci sentiamo fascisti». Detto questo però, bisogna trasferire dall’idea al piano concreto le presunte violazioni. I processi si fanno sui fatti, al di là dei giudizi di valore che si possono esprimere su extracomunitari o avversari politici. Altrimenti si rischia di incamminarsi su una china che ha poco di processuale. Del resto, dei quattro testimoni d’accusa nessuno è venuto a raccontare fatti che integrassero l’incitamento all’odio razziale. La commemorazione della nascita di Hitelr il 21 aprile ’94, l’affissione di volantini deliranti, la pubblicazione di un periodico come l’Inferocito con parole dure verso la società multiulturale, l’organizzazione di concerti a tema in cui si denigravano gli immigrati, denotavano senz’altro un contesto politicamente orientato e censurabile nei modi (sui contenuti ognuno è libero di pensarla come vuole). Ma lo è anche sotto il profilo penale?

Piero Puschiavo, fondatore nel 1990 davanti a un notaio di Roma del movimento “Veneto Fronte”, era l’unico imputato presente
«Pensare che 10 anni fa ero stato arrestato»

(i. t.) Se gli skinheads del Veneto Fronte fossero da giudicare per il contenuto di uno degli ultimi volantini distribuiti in città ci sarebbe da chiedersi il motivo per il quale sono davanti ai giudici. «Dopo 10 anni di inchieste e udienze in un processo farsa nel tribunale di Verona eccoci sul banco degli imputati. Colpevoli di essere: difensori della nostra cultura, della nostra identità e della nostra tradizione, differenti dalla mediocrità di una massa amorfa e conformista, fedeli al nostro libero codice d’onore, oppositori del “pensiero unico” e dell’arroganza del potere, estranei alla viltà e al servilismo, contro la droga, contro l’immigrazione incontrollata contro l’uso politico della giustizia per non delegare ad altri il nostro futuro». Al di là della perentorietà del messaggio e di alcuni passaggi, sui quali peraltro anche molti moderati potrebbero convergere, non c’è traccia del furore ideologico di cui dieci anni fa erano portatori. Che cosa sta succedendo?
«Quindici anni sono tanti - spiega Piero Puschiavo (nella foto) fuori dell’aula - ci sono nuovi problemi sociali e possiamo dire di avere anticipato certi fenomeni».
- Era la maniera in cui avevate posto certe problematiche, le circostanze in cui vi siete manifestati e il modo in cui vi siete confrontati con l’avversario ad inquietare, tanto che il giudice che firmò il suo ordine di cattura parlava del Veneto Fronte Skinheads come un movimento eversivo?
«Non rimpiango nulla del nostro passato, della nostra azione culturale. Abbiamo interpretato disagi sociali che oggi trovano rispondenza nel sentire della gente. Siamo stati vittime di un atteggiamento repressivo dello Stato più per quello che eventualmente abbiamo detto che per quello che in effetti è stato fatto».
- L’impressione, dieci anni dopo, è che siate a un passo all’assoluzione.
«Me lo auguro. Certo, allora fummo arrestati per le nostre idee, perché io sono convinto che si tratti di un processo alle idee».
- Idee, però, molto forti e che in alcuni scritti esprimevano violenza, non a caso il processo di oggi.
«Noi siamo contro la società multiculturale, siamo per una politica nazionalista, siamo contro la politica imperialista americana di aggressione, manifestatasi anche in Iraq. Per contro, l’anno scorso al nostro convegno sull’ordine di cattura europeo era relatore l’avvocato Taormina. Il Veneto Fronte Skinheads oggi è questo.