08 GENNAIO 2005

dal Giornale di Vicenza

Smog, continua l'allarme delle polveri Legambiente:"Serve il blocco totale"
Minerale o rubinetto? Uguali
Badanti, lavoro "clandestino"

Pm10. Dati preoccupanti in tutto il Veneto, stretto nella morsa dell’inquinamento
Smog, continua l’allarme delle polveri Legambiente: «Serve il blocco totale»

Venezia . La Legambiente, dal suo ufficio di Padova, torna a lanciare l’allarme in Veneto sul Pm10, le terribili polveri sottili che da più di una settimana stanno stringendo in una morsa d’inquinamento la regione, complice una situazione atmosferica di blocco nel ricambio d’aria ai bassi strati. «Verona - afferma una nota di Legambiente - soffoca dal 29 dicembre, giorno in cui ha superato il limite di legge giornaliero di Pm10 stabilito in 50 microgrammi per metro cubo. È arrivata a 171 oggi». Ma non va meglio a Venezia che, secondo l’associazione ambientalista, ha toccato nella terraferma di Mestre il record veneto, con 257 microgrammi (5 volte il limite di legge) ed è sopra il limite dal 31 dicembre. Anche Rovigo «boccheggia» dal 31 dicembre: «Ieri era a 75 microgrammi, ma il picco - prosegue la nota - l’ha avuto il 5 con 113». «Padova è in apnea dal 30 dicembre, e anche se l’ultimo dato reso noto dell’Arpav - sostiene sempre Legambiente - arriva al 4 gennaio con 91 migrogrammi (120 il primo gennaio) c’è la certezza matematica che sia in linea con gli altri capoluoghi veneti. Treviso è inquinatissima dal 30 dicembre, con un picco a 176 giovedì sceso a 150 ieri». E Vicenza non fa eccezione, con una serie negativa che dura ininterrottamente da S. Silvestro, annunciando un 2005 se possibile peggiore rispetto al 2004, quando i limiti di legge furono superati 156 volte in 366 giorni. Di fronte a questa situazione, e con una tendenza per i prossimi giorni al persistere della condizione atmosferica attuale, Legambiente chiede ai capoluoghi e alle Province del Veneto «di proclamare un blocco totale del traffico il prima possibile». «Va ricordato - rileva Lucio Passi, di Legambiente Padova - che lo scorso anno la "Carta Padova", dopo 9 giorni di superamento consecutivo prevedeva il blocco totale la prima domenica utile».


La ricerca critica le pubblicità "ingannevoli": «Nella maggior parte dei casi i va- lori di sodio sono identici». E molte etichette sulle bottiglie riportano valori parziali
Minerale o rubinetto? Uguali
Legambiente sfata i pregiudizi sull’acqua che beviamo, promuovendo la "potabile"
Con la differenza che la seconda costa mille volte meno della prima

di Gian Marco Mancassola

Ma che differenza c’è fra l’acqua potabile, quella che sgorga dal rubinetto, e l’acqua minerale, quella imbottigliata e acquistata al supermercato? A tentare una risposta è Legambiente Veneto, che ha confezionato un dossier ricco di numeri e di accurati confronti. Fra le conclusioni cui è pervenuta la ricerca - tanto vale scoprire subito le carte - c’è che la maggior parte delle acque minerali ha le stesse caratteristiche delle acque potabili. Con almeno una differenza: le seconde costano mille volte meno, ma soffrono di troppi pregiudizi. Eppure, in Italia si consuma più acqua minerale che in qualsiasi altro Paese del mondo: circa 172 litri l'anno pro-capite, con un giro d'affari attorno ai 3 miliardi di euro. La spesa media per l'acqua minerale a famiglia è di circa 18 euro mensili. Vediamoli, allora, questi pregiudizi, smontati uno a uno da Legambiente, che ha raccolto e analizzato le etichette di dodici acque minerali fra le più vendute nel Veneto (Vera, S. Benedetto, Fonte Tavina, Don Carlo, Lora Recoaro, S. Francesco, Monte Cimone, Levissima, Vitasnella, Lauretana, Rocchetta e Panna). Inoltre sono stati chiesti agli Ato (le autorità di bacino) del Veneto i referti delle analisi delle acque distribuite nelle reti. L’acqua in bottiglia è più salubre? «Per legge non è così. Perché le concentrazioni di sostanze tossiche e la frequenza dei controlli sono molto più precisi e ristrettivi per l'acqua dell'acquedotto», si legge nel dossier. «L’acqua minerale, che è solo una parte dell'acqua imbottigliata, non dovrebbe subire trattamenti. Ma anche l'acqua dell'acquedotto è talvolta pura acqua di falda». L’acqua minerale ha meno sali di quella del rubinetto? «È vero solo per le acque "minimamente mineralizzate", cioè quelle particolarmente leggere (nella ricerca è una sola, la Lauretana, mentre l’unica medio minerale è la Don Carlo: tutte le altre sono oligominerali ndr ), altrimenti tutte le acque del rubinetto sarebbero caratterizzate come acque oligominerali. Le acque minerali sono particolarmente consigliate per chi fa sport o chi si sottopone a cure particolari. Ma per sceglierle è meglio farsi consigliare dal medico e leggere bene l'etichetta». E però si scopre dalla ricerca che spesso le etichette dei contenitori commercializzati non sono complete: in questi casi «il consumatore non è dunque in grado di sapere che cosa contiene effettivamente una bottiglia di minerale, perché non è previsto l’obbligo di indicare la composizione analitica completa». Dalle etichette appare evidente che le acque considerate, tranne due, non hanno caratteristiche particolari: «Già questo crea notevoli perplessità, perché le acque minerali sono nate e disciplinate separatamente proprio per le peculiari caratteristiche di prodotti "medicinali". I produttori di acque minerali affermano, infatti, che le acque minerali possono avere proprietà favorevoli alla salute, ma questa ormai non è più una peculiare caratteristica che le definisce». L’acqua in bottiglia si conserva pura, quella dell'acquedotto parte pulita ma si contamina strada facendo? «L’acqua distribuita è in genere in pressione e esce dalle tubazioni. L'acqua scorre e si rinnova di continuo. Non è così per l'acqua in bottiglia. Provate ad immaginare la vostra bottiglia aperta da qualche ora a temperatura ambiente: è certo che la carica batterica presente la renderebbe certamente non potabile per un acquedotto». L’acqua in bottiglia non è poi così cara? «Il costo oscilla tra le vecchie 200 e le mille lire al litro. A cui bisognerebbe aggiungere il costo di smaltimento come rifiuto delle bottiglie. Un prezzo tutto sommato simile a quello della benzina, al netto delle tasse. Mentre per l'acqua dell'acquedotto si paga qualche centinaio di lire al metro cubo, cioè per mille litri. In questo costo è inclusa anche la tariffa comunale per la depurazione. Insomma, costa mille volte di meno». Nel conto delle spese, poi, andrebbero messi i costi di smaltimento della plastica e del vetro e i costi di trasporto. Le conclusioni del dossier sono spiazzanti: «La maggior parte delle acque minerali ha le stesse caratteristiche delle acque potabili. Le due acque che hanno caratteristiche peculiari rispetto alle acque potabili e che quindi potrebbero avere delle proprietà medicinali, non contengono nelle etichette le eventuali controindicazioni di un uso prolungato delle stesse. La maggior parte delle acque potabili considerate ha gli stessi valori di sodio delle minerali: quindi è assurdo che la pubblicità faccia leva su questo. In alcuni casi, i nitrati nelle acque potabili sono un po’ più alti che nelle minerali (fino a 17-18 mg). Contenuti di nitrati superiori a 45 mg/l possono essere dannosi per i bimbi».


Nessuna famiglia si rivolge al mercato "ufficiale", troppo costoso. Così si ricorre al passaparola
Badanti, lavoro "clandestino"
La Caritas di Valdagno denuncia le irregolarità

di Veronica Molinari

Scatta l’allarme per il mercato nero delle badanti. Lo denuncia la Caritas di Valdagno, che quotidianamente gestisce un elenco di straniere con il permesso di soggiorno. Le famiglie scelgono di servirsi soprattutto delle immigrate per i costi notevolmente inferiori rispetto a quelli che comporta l’assunzione di un’italiana. Ad alimentare il mercato parallelo è il passaparola attivato da famiglie, che già utilizzano il sistema alternativo a quello ufficiale. Questo comporta l’arrivo in città di altre connazionali con permesso turistico, che puntualmente non viene rinnovato una volta scaduto.
«A noi si rivolgono in maggioranza rumene, moldave, ucraine - spiega Giorgio Fassina, volontario dell’associazione umanitaria -. Sono ormai poche le italiane che si occupano dell’assistenza agli anziani e per di più spesso si tratta di infermiere professioniste che, quindi, hanno delle richieste economiche proporzionate al servizio prestato». Secondo il responsabile della Caritas valdagnese non sarebbe, però, corretto pensare che le immigrate «rubino il lavoro alle nostre connazionali». Molte famiglie, infatti, «non potrebbero permettersi un aiuto esterno se dovessero assumere regolarmente una persona». È vero, d’altra parte, che questo genere di lavoro richiede molta pazienza e spirito di sacrificio. Queste persone «vengono spesso da piccoli borghi dei Paesi dell’Est dove la povertà è la norma e, quindi, la fatica non le spaventa». Il modo più usato per trovare una badante «è il passaparola - non esita a ribadire Fassina -. Le più fortunate che hanno trovato un posto di lavoro chiamano parenti o amiche che arrivano in Italia, con un visto temporaneo per motivi legati al turismo. Poi il più delle volte per le difficoltà poste dalla legge, scaduto il permesso trimestrale, vi rimangono come clandestine. Sembrava che con la legge Bossi-Fini la situazione dovesse cambiare. In realtà è molto raro che queste persone rispondano ai requisiti richiesti per metterle in regola. Questo a dispetto di tante famiglie che vorrebbero regolarizzarle per assicurarsi una certa continuità». Allo sportello dell’Informagiovani del Comune, che ha sede in galleria Festari ed è gestito dalla cooperativa Studio Progetto, confermano che «oltre il 50 per cento delle persone che hanno dato la loro disponibilità come badanti sono cittadine extracomunitarie. Il 28% arriva dall’Africa, mentre il 17% dall’Est Europa». Dall’agenzia di lavoro itinerale "Adecco" fanno sapere che non hanno nominativi disponibili per l’assistenza agli anziani. Le famiglie, infatti, non si rivolgono alle agenzie di impiego temporaneo per trovare la badante: «costerebbe troppo servirsi di canali ufficializzati e sarebbe inutile, dato che le persone che si offrono scelgono altre vie per trovare lavoro». Particolarmente numerose a Valdagno sono le badanti ucraine regolari, che si ritrovano al Centro diurno per anziani della parrocchia di S. Clemente. Gli incaricati del Centro affermano che «si riuniscono ogni domenica pomeriggio nel salone al piano terra. Lo spazio è stato messo a loro disposizione perché altrimenti si ritroverebbero per strada. Sentono molto il bisogno di aggregazione ed è giusto cercare di aiutarle». Il problema della clandestinità pare proprio sia risaputo in città, anche se vi è una sorta di omertà a parlarne. La maggior parte dei cittadini conosce la situazione delle badanti, sa come funziona il binomio richiesta- offerta. È una situazione di comodo per entrambe le parti che difficilmente potrà trovare soluzione.