08 SETTEMBRE 2006

«Vicenza dica un sì o un no»
Trentamila votanti al referendum «Ecco quanto vale la democrazia»
VALDAGNO.Case Ater, in cento per un posto «Nuovi alloggi tra due-tre anni»

«Vicenza dica un sì o un no»

di Antonio Trentin

«Una cosa solo è chiara: che il tempo delle storie è finito e che bisogna decidere...». Deputato a Roma, numero 2 dell’Udeur e braccio destro del ministro-segretario Clemente Mastella, frequentatore delle stanze giuste adesso che il centrosinistra è a Palazzo Chigi, Mauro Fabris avverte dalla capitale che sta per arrivare a Vicenza un ultimatum: «Il governo chiederà alle rappresentanze istituzionali della città - e cioè in pratica al Comune - di pronunciarsi sulla base americana al "Dal Molin"». Potrebbe essere il penultimo atto - aspettando quello finale con l’okay o il niet italiano all’amministrazione militare americana - di una situazione ai confini del grottesco che va avanti da mesi con un copione irritante. Per più di un anno le forze armate Usa hanno trattato con le autorità militari italiane e con il governo Berlusconi l’insediamento della maxi-base. L’Amministrazione Hüllweck al momento giusto - cioè all’avvento della fase decisiva che portava al progetto - ha saputo e ha accondisceso, e comunque non ha mai dato un parere contrario (se non quello fugace dell’Ufficio tecnico, politicamente contestato da sindaco e giunta, sull’incongruità urbanistica del "Dal Molin"). A fine primavera il governo di centrosinistra si è ritrovato le cose fatte e scodellate, fino al minuzioso disegno di palazzine e impianti, ma da allora non ha ancora detto esplicitamente la sua: è a favore o a sfavore? Tra Vicenza e Roma rimpallano le chiamate al pronunciamento: il sindaco dice «decida il governo» (...tanto meglio adesso che tocca alla parte politicamente avversa scottarsi con la patata bollente) e il governo dell’Unione ha parlato di mai ben definite compartecipazioni di Vicenza alla scelta. Fabris ha letto carte e visto gente, a Roma. Può confermare alcune cose già ben assodate: «La data di riferimento per tutti è la sessione del Congresso statunitense in cui verrà discusso il bilancio delle spese militari. Metà ottobre. Per allora deve essere tutto chiaro e vale l’annuncio americano: se non potranno raddoppiare a Vicenza, gli Usa si orienteranno altrove, ma programmando anche la chiusura della "Ederle"». E può aggiungere un’ufficiosità cruciale: sta per scadere il tempo degli equivoci. «Nei giorni scorsi ci sono stati incontri ufficiali ai massimi livelli, ambasciata americana e ministero della Difesa italiano. Chiedono un sì o un no» racconta. E ora siamo nell’imminenza del quesito romano sul quale svicolare sarà difficile: Vicenza vuole la base o no? Tramontata appena dopo essere spuntata, l’ipotesi del referendum popolare non ha chance: non c’è tempo e «vincerebbero i No», dice la profezia congiunta dell’assessore comunale che ha seguito il caso, Claudio Cicero, e della presidente della Provincia Manuela Dal Lago, espressasi con chiarezza in favore della base. E allora? Toccherà alle istituzioni rappresentative, giunta e consiglio, mandare il parere al governo. Difficile per tutti, stavolta, dribblare l’appuntamento.
- Molti subodorano che la sorte del "Dal Molin" sia già decisa: super-caserma americana. Quello che arriverà dal governo sarà un ultimatum per farsi dire sì su una decisione che a Roma è ormai presa?
«No. Il governo interpellerà Vicenza e in base alla risposta deciderà».
- Obietteranno, dal Comune, che è il governo che deve prendersi le sue responsabilità...
«Ma ci mancherebbe altro che, in tempi di federalismo proclamato a tutti i livelli, Roma non sentisse cosa vuole Vicenza. Non si può reclamare il federalismo a giorni alterni. E i rappresentanti della città devono prendersi le loro responsabilità».
- Basterebbe un no vicentino per invertire tutto un procedimento in corso da anni?
«Sì. Il fatto è che il governo non ha attualmente nessun atto su cui basarsi per rispondere negativamente alla richiesta americana. A Roma non si leggono le rassegne stampa dei giornali o le interviste dei politici: si procede con gli atti pubblici ufficiali. Quelli fatti finora, in particolare con il parere della Commissione mista paritetica, sono tutti a favore dell’arrivo della nuova base. Senza che il Comune abbia mai obiettato. E non venga a dire il sindaco Hüllweck che il suo parere non è importante: penso che tra qualche giorno arriverà la richiesta di chiarimento e non ci sarà più spazio per far rimbalzare la palla su Roma».
- E se il Comune davvero manderà al governo un no? Come si comporteranno Parisi, D’Alema e Prodi?
«Risponderanno agli Usa che l’ubicazione della base al "Dal Molin" non è possibile, per tutta una serie di ragioni, ambientali, urbanistiche, logistiche, in passato non evidenziate da Vicenza e che a Roma non risultano in nessun atto».
- Ci sono alternative possibili a questo sì-o-no che Roma chiederà?
«Esiste una terza via sulla quale si comincia a discutere: spostare il progetto della nuova base su un’area diversa».
- Davvero immagina l’eventualità di un sito diverso, a Vicenza, senza che scoppino proteste e si mettano in marcia opposizioni, come succede per il "Dal Molin"?
«Sì. E sarebbe una soluzione anche per il Comune. Anche il sindaco è stato costretto ad ammettere che al "Dal Molin" esistono problemi. Se vuole onorare gli impegni del precedente governo amico, che ha finora condiviso, può essere lui a proporre un’alternativa».
- Dove?
«Penso agli spazi di Vicenza Est, che sarebbero vicini alla "Ederle" e al Villaggio della Pace, oltre che all’autostrada per gli spostamenti di truppe che i comandi statunitensi hanno detto di voler fare su gomma».
- Al "Dal Molin" l’area è demaniale militare, a Vicenza Est la caserma Usa dovrebbe pagarsi i terreni...
«Non dovrebbe essere proprio questo il problema: per la ridislocazione strategica a Vicenza sono previsti più di 500 milioni di dollari in quattro anni. No, non sarebbe una questione di bilancio a bloccare un’alternativa...».
- Intanto, in ambienti militari, si racconta molto della concorrenza che la Germania starebbe facendo all’Italia: la cancelliera Angela Merkel offre ospitalità a una nuova base Usa, per non far andar via quella che c’è e che vorrebbe trasferirsi a Vicenza...
«La soluzione Vicenza Est, o un’altra area se c’è, può rispondere anche a questo».
- Lei è stato presidente della società per l’aeroporto vicentino, finora rimasto utopia. Che cosa vorrebbe dire l’Ederle-bis sull’area dell’aeroporto civile verso Sant’Antonino?
«Io non voglio fare polemiche con nessuno su questo e spero che tutti siano in buona fede. Ma come si fa a dire che l’attività di volo civile potrebbe continuare? Già adesso sulla "Ederle" c’è il divieto si sorvolo: ci immaginiamo davvero che praticamente su una base militare americana possano atterrare aerei civili, in tempi di terrorismo internazionale? Chiaramente le attività di volo civile verrebbero precluse».
- Si deve presumere che, presto o tardi, la base militare diventi anche aeronautica? Quale scenario vede probabile per il "Dal Molin" in caso di conferma lì della futura base Usa?
«Faccio io una domanda: perché è stata scelta la progettazione sulla parte civile, verso Sant’Antonino?».
- Per preservare l’uso della pista per un uso militare?
«Dal mio personale punto di vista il fatto, così dichiarato, che gli americani non intendano utilizzare in futuro l’aeroporto appare piuttosto dubbio. Ricordo che al "Dal Molin" possono tranquillamente atterrare gli aerei da trasporto militare».
- Curiosità finale, per sapere come la pensate lei e il suo partito: se l’Udeur avesse un consigliere in sala Bernarda, come voterebbe?
«Contro la caserma all’aeroporto. Alla domanda "siete voi d’accordo sulla nuova base americana al Dal Molin" risponderei no, se fossi consigliere a Vicenza. Se ci fosse invece l’indicazione di un’area alternativa, senza i problemi urbanistici e ambientali di viale Sant’Antonino, per rispettare i vincoli di alleanza militare e anche per non perdere in fututro la "Ederle", risponderei sì. E credo che anche il governo sosterrebbe una soluzione del genere».


È l’obiettivo del comitato promotore che punta per domenica su un’affluenza massiccia
Trentamila votanti al referendum «Ecco quanto vale la democrazia»
«Se votassero in mille il Consiglio comunale non cambierebbe le regole»

Obiettivo 25-30 mila votanti, per poter dimostrare al consiglio comunale che la democrazia diretta piace ai vicentini. Punta a questo risultato, il Comitato “Più Democrazia”, promotore del referendum di domenica. «Se non ci saranno abbastanza votanti, se andassero a votare in mille, il consiglio comunale non sarebbe certo motivato a modificare lo statuto per introdurre i tre tipi di referendum che chiediamo - hanno commentato i dirigenti ieri, ormai alla vigilia della consultazione -: quello abrogativo per cancellare decisioni dell’Amministrazione, quello propositivo per obbligare consiglio comunale e giunta a introdurre nuovi provvedimenti, quello misto abrogativo-propositivo». L’effetto politico del "referendum sui referendum" si misurerà, dunque, dal totale dei presenti ai seggi. Sulla vittoria del Sì ci sono pochi dubbi: la mobilitazione ai seggi sarà solo dei favorevoli, la stragrande maggioranza delle forze politiche sta snobbando l’appuntamento, il fronte del No ufficialmente non esiste. «Non abbiamo avversari» osserva il comitato. Perché i contrari fanno conto sul disinteresse - per banale distrazione, per assentesismo festaiolo o per calcolata assenza - della maggioranza dei vicentini. «E perché è difficile andare a dire ai cittadini che devono rinunciare a uno strumento che gli permetterà di contare direttamente sulle scelte del Comune» annota Più Democrazia. Se si dovesse fissare una soglia minima al di sotto della quale il referendum sarebbe da giudicare un disastro - risultato pro-Sì a parte - bisogna prendere forse proprio quella che i proponenti indicano come "soglia di validità" dei futuri referendum decisionali proposti: se domenica parteciperà meno del 10 per cento di votanti (con più o meno 9 mila cittadini ai seggi) sarebbe, appunto, una clamorosa sconfitta politica. «Il No non ha né padri né padrini. Il Sì non si sente avversario di nessuno» spiegano i promotori: «Puntiamo soltanto ad avvicinare di più i cittadini alle istituzioni». E quanto ad avvicinamenti, intanto, misurano con un certo stupore («ma certamente non lo respingiamo») quello dell’estrema destra neofascista. «Azione sociale voterà Sì e non è un problema, ma la dimostrazione che il referendum non ha uin colore politico» è il commento di Più Democrazia sull’annuncio fatto l’altro giorno da Alex Cioni: «I vicentini devono rendersi conto delle immense potenzialità che lo strumento referendario può dare - ha dichiarato il responsabile locale del partitino di Alessandra Mussolini - e di come può risvegliare, e allo stesso tempo formare, un’opportuna coscienza civica». «Nessun dubbio o ripensamento sui contenuti» dice il Comitato, difendendo i due numeri controversi che vengono sottoposti al parere della città: il 2 per cento di elettori che basterebbe a far convocare un referendum (meno di 2000 firme) e il 10 per cento che renderebbe valida una consultazione (così che, al limite dell’aritmetica, 5000 votanti appena potrebbero decidere su argomenti sostanziali della vita amministrativa).


Quest’anno le domande di abitazioni popolari hanno superato il centinaio ma ne sarà accontentata solo una
Case Ater, in cento per un posto «Nuovi alloggi tra due-tre anni»

di Marco Scorzato

Oltre cento in lizza per un solo posto. Quella all’alloggio “popolare” è una corsa che vede in pista una schiera di cittadini, che devono fare i conti però con un’ormai cronica ristrettezza di abitazioni a disposizione. Le 235 case Ater esistenti, infatti, sono da molti anni assegnate. Di nuove costruzioni, da alcuni anni a questa parte, non c’è traccia. Eppure, in fondo al tunnel, si intravede la luce: in località Tomasoni il Comune ha individuato un’area per l’edilizia popolare. Ma per vedere i primi mattoni, c’è da aspettare ancora. È stata pubblicata in questi giorni la graduatoria provvisoria per l’assegnazione degli alloggi Ater (azienda territoriale edilizia residenziale) in città. Quest’anno sono oltre un centinaio le domande pervenute ai servizi sociali del Comune. Numero in crescita rispetto agli 84 del 2003 e ai 99 del 2004. Oggi, a fronte di 109 domande, 107 delle quali sono state accettate, «c’è un solo alloggio libero», come conferma l’assessore ai servizi sociali Giancarlo Acerbi. Il mercato dell’edilizia popolare non ha visto negli ultimi anni una crescita dell’offerta e così, oggi, chi cerca casa a prezzi calmierati, deve sperare soltanto che qualcuno degli appartamenti già occupati si liberi, o perché gli attuali residenti hanno deciso di rinunciarvi e trasferirsi altrove, o perché sono costretti a farlo non avendo più i requisiti necessari per occupare quell’abitazione. Delle 107 domande accolte quest’anno, 69 sono state presentate da cittadini italiani, le restanti 38 da stranieri residenti in città. Negli alloggi Ater oggi vivono 214 famiglie italiane e 20 extracomunitarie. Uno solo, come detto, è l’appartamento libero. Se il mercato dell’edilizia popolare è al momento bloccato, il prossimo futuro dovrebbe riservare maggiori opportunità, grazie al via libera regionale al nuovo Piano regolatore generale e soprattutto alle recenti modifiche urbanistiche approvate dal Consiglio comunale, c’è finalmente la possibilità di una nuova edificazione residenziale popolare. L’area individuata è quella in località Tomasoni, nella parte sud della zona industriale valdagnese: «Probabilmente sarà quella la zona dove sorgeranno le prossime case popolari - spiega il sindaco Alberto Neri -. Nel giro di un mese verrà completata la procedura di variante approvata a luglio dal Consiglio comunale». Nel frattempo sono già stati stabiliti i primi contatti con l’Ater: «Abbiamo incontrato il presidente Marco Tolettini - spiega Acerbi - e abbiamo proposto la zona dei Tomasoni e altre, più piccole, in contrada Stupenda e vicino al palazzetto dello sport. Contiamo, nel giro di due-tre anni, di avere un’ottantina di nuovi alloggi». Insomma, l’amministrazione comunale sta percorrendo la strada degli interventi di edilizia popolare “a macchia di leopardo” in diversi punti della città. «In sede di predisposizione del Prg - aggiunge Neri - l’amministrazione comunale ha fatto una scelta precisa: invece di tracciare “strade obbligate” per il cittadino, ha deciso di offrire un ventaglio di possibilità diverse, così che possa esserci spazio per una scelta».