08 FEBBRAIO 2006

dal Giornale di Vicenza

Scoppia la “cimice-fobia” Sindacati decisi all’attacco
«Espulsi per un teorema infondato»

Il “telecamera-gate”. L’ufficio comunale era già stato insonorizzato
Scoppia la “cimice-fobia” Sindacati decisi all’attacco
Cicero ammette: «Avevo chiesto io l’installazione dopo un furto»

di G. M. Mancassola

«La telecamera l’ho richiesta io». Al suo rientro in ufficio dopo una trasferta istituzionale a Roma, l’assessore alla Mobilità Claudio Cicero affronta di petto la bufera delle intercettazioni ambientali e della telecamera installata nell’ufficio delle sue segretarie per scovare un ladro di documenti, ma subito smascherata. Come è stato possibile che lo strumento sia finito così presto nel mirino dei sindacati? Colpa di un’installazione maldestra o di una soffiata per far sapere a tutti che c’era un occhio elettronico in azione? L’assessore respinge ogni dietrologia: «Dopo il furto di un documento, sono stato io il primo a volere l’installazione. E sono io il primo a voler sapere come si è diffusa la notizia. Mi piacerebbe che la procura chiedesse al sindacalista chi gliel’ha detto». Secondo l’assessore, l’oggetto non identificato che ha allarmato Claudio Scambi della Uil, autore di una lettera al sindaco Enrico Hüllweck per chiedere conto dell’apparecchio non ha le sembianze di una telecamera tradizionale: «Non si capisce cos’è», incalza Cicero. Eppure, dopo pochi giorni, tutto il municipio ne parlava. Si era pensato addirittura fosse uno strumento per sorvegliare il lavoro delle segretarie. «Non è detto, tuttavia, che non abbia visto qualcosa di importante prima di essere scoperta», accenna sibillino l’assessore, che poi aggiunge: «Una cosa deve essere assolutamente chiara: la telecamera non era stata certo installata per chi lavora nell’ufficio, su cui non c’era alcun sospetto». Nella ricostruzione di Cicero, il ladro è esterno al suo ufficio, che nei mesi scorsi era stato insonorizzato per evitare che si origliasse dai corridoi. Ciò non toglie che l’aria che si respira è pesante: «Voglio esprimere il mio disagio per un’applicazione che inevitabilmente comporta problemi di riservatezza». Molto fastidio, poi, gli è venuto da una lettera firmata pubblicata dal nostro giornale: «Chi parla a vanvera senza sapere e senza dire nome e cognome è un coniglio». La vicenda, che ha ancora molti lati non chiariti, è destinata oggi a vivere un nuovo capitolo vibrante. È in programma, infatti, una riunione con i rappresentanti sindacali, durante la quale si chiederà nuovamente conto dell’installazione: «Non ci è ancora stata data una risposta ufficiale - tuona Scambi della Uil - quello che sappiamo lo leggiamo sulla stampa. Se non ci daranno spiegazioni, per noi è un illecito e quindi agiremo di conseguenza». Il telecamera-gate è solo all’inizio.


Tiene banco il rimpatrio dei due algerini Abdelkader Toubal e Djelloul Halimi, fermati nel gennaio 2004 per terrorismo
«Espulsi per un teorema infondato»

(i. t.) «Sono stati espulsi in base al decreto Pisanu per quello che noi riteniamo un teorema infondato. Non solo, sono stati trasferiti subito in Algeria e di loro non si sa più nulla. Le rispettive mogli e i figli vivono qui in città, mentre di Halimi e Toubal non si sa più nulla. La vicenda è ancora più strana perché la questura aveva perquisito i due algerini per la prima volta il 17 aprile 2002 e da allora non è cambiato niente. La differenza, se vogliamo, è che tra poche settimane ci sono le elezioni». A parlare è l’avv. Paolo Mele senior, il legale dei due algerini di 44 e 38 anni, sottoposti a fermo nel gennaio 2004 e subito scarcerati per mancanza di prove. Per altre tre volte l’autorità giudiziaria napoletana aveva cercato di riportarli in carcere, ma ogni volta i giudici avevano respinto la richiesta, compresa la Cassazione l’ultima volta lo scorso dicembre. Per questo motivo il legale dei due algerini afferma che è una palese contraddizione il fatto che prima si è chiesto la loro cattura per il pericolo di fuga, poi una volta che la stessa magistratura ha negato la cattura, è intervenuto il ministero degli Interni espellendoli. «Non si conoscono i motivi dell’espulsione - aggiunge il legale, sollecitato dall’imam Touhami -, se non genericamente per questioni di terrorismo che le indagini fin qui espletate dall’autorità giudiziaria hanno negato. Le posizioni dei due algerini sono state passate al setaccio da più giudici, ma non sono emersi reati. Per questo non riusciamo a capire in base a quali motivazioni due stranieri in possesso di un regolare permesso di soggiorno sono stati espulsi dal nostro paese, dove rimangano moglie e figli». La doppia espulsione ha creato timori nella comunità islamica. Non c’è dubbio che da una parte lo Stato si tutela giustamente contro l’attività di presunto fiancheggiamento al terrorismo, ma dall’altro ogni provvedimento dev’essere motivato da sospetti fondati. «Le richieste del pubblico ministero di Napoli di arresto dei miei due assistiti - sottolinea l’avv. Mele - si fondano su una esposizione storico-politica che, per quanto interessante, risulta ai fini processuali astratta e incoerente per l’assenza di precisi ed obiettivi riscontri a carico dei due lavoratori algerini. Anche perché ancora il 17 aprile 2002 la questura li aveva perquisiti rinvenendo a carico di Toubal due numeri di una rivista religiosa e a carico di Halimi un libro dell’Umda, oltre ad altra documentazione incompleta. Come si faccia a fondare un’accusa di terrorismo in base a questi elementi me lo si deve spiegare, tant’è che i giudici hanno respinto tutte le richieste della procura di Napoli. Per questo non capiamo le ragioni di un’espulsione di cui non conosciamo ancora i motivi e contro la quale ricorreremo subito. Il problema è che nel frattempo non si sa dove siano finiti i due algerini». Ma questo, com’è evidente, è un problema delle autorità algerine e non italiane.