07 AGOSTO 2006

«Era una cellula del terrore salafita»
Nuova Ederle, cresce il fronte del “sì” Oggi assemblea dei 700 dipendenti

«Era una cellula del terrore salafita»
Rimangono in prigione i quattro algerini arrestati dai carabinieri dei Ros

di Ivano Tolettini

L’impalcatura delle accuse regge. Il vaglio è importante. I quattro algerini sono pericolosi perché avevano messo in piedi una rete logistica di supporto al terrorismo internazionale con molteplici rapporti su diversi scacchieri della paura. Una trama che partiva dal Medio Oriente, passando per l’Italia, con contatti fino in Inghilterra. I giudici del Riesame di Venezia non hanno dubbi. Per questo motivo i magrebini catturati due settimane fa tra Vicenza e Brescia rimangono dietro le sbarre, perché avrebbero fatto parte di una cellula fondamentalista islamica collegata ad altri fratelli musulmani che si prefiggeva, se ci fosse stata l’opportunità, di organizzare attentati a Vicenza e in Italia. Come nel 2002, quando il piano di assaltare la caserma Ederle fu messo da parte solo all’ultimo momento. Come si era ipotizzato sabato, il fatto che il tribunale della libertà presieduto da Giuseppe Maria Bertolino non si fosse pronunciato per la scarcerazione già nella giornata di venerdì, faceva presagire che gli indizi che sono alla base dell’ordinanza di custodia firmata dal gip Gallo a metà luglio, ed eseguita una settimana più tardi dai carabinieri del Ros di Roma e Padova, assieme ai colleghi di Vicenza, poggiassero su fondamenta consistenti. GRAVI INDIZI. Per i giudici non ci sono le condizioni, al contrario sollecitate dall’avvocato difensore Paolo Mele senior, per rimettere in libertà Farid Gaad, 36 anni, ritenuto l’elemento di spicco del gruppo, il fratello Nabil, di 24, Khaled As, di 30 e Alì Touati, di 34. Tutti e quattro fino alla scorso maggio hanno ruotato attorno al call-center di corso San Felice, di cui Farid era il gestore. Per i magistrati ci sono gravi indizi di colpevolezza e c’è il concreto rischio, qualora fossero liberati, di una immediata fuga. I quattro sono accusati di avere partecipato all’associazione terroristica internazionale chiamata “gruppo salafita per la predicazione e il combattimento " (gspc) organica alla rete di Al Qaeda, che com’è noto è stata creata da Bin Laden. Si è appreso che sono complessivamente otto le persone indagate, nell’ambito dell’inchiesta sulla cellula vicentina, dal pm antiterrorismo di Venezia Luca Marini. Assieme gli arrestati, nella lista degli indagati si cono un altro fratello Gaad, Rabah, di 31, domiciliato a Londra, l’egiziano Gaber El Senbawy, di 46 anni, e altri due presunti terroristi del calibro di Yamine Bouhrama, di 33 anni, e Khaled Serai, di 36, entrambi in carcere dalla fine dell’anno scorso su ordine del tribunale di Napoli. Gli otto indagati, ad eccezione di Rabah Gaad, devono rispondere anche di avere costituito un’associazione per delinquere per reperire e falsificare documenti d’identità, permessi di soggiorno e contratti di lavoro per favorire l’immigrazione clandestina e la permanenza illecita in Italia di clandestini. NEL NOME DI ALLAH. Tra le tante intercettazioni ambientali eseguite con microspie satellitari dai carabinieri ce n’è una che la dice lunga sulla personalità dei quattro sospettati. È quella registrata intorno a mezzanotte del 22 ottobre di un anno fa. La conversazione è registrata all’interno della vecchia Renault 19 (targata VI 799905) di Alì Touati, col quale ci sono Yamine Bouhrama, aspirante kamikaze in cella a Napoli, e Khaled As. Essi parlano di compravendita di automobili poi si fermano nelle vicinanze di un’abitazione, smontano, ma rimangono vicino alla vettura e la microspia li intercetta. Parlano di un connazionale condannato a 5 anni di reclusione, ma che ne deve scontare ancora 2. Poi risalgono in macchina, continuano a parlare di un algerino arrestato in Francia. Quindi Bouhrama dice a Touati di non frequentare gente sospetta. Più avanti gli ribadisce:« Sì, ma cosa importante era che tu eri là con loro! Tu eri andato per i soldi - il giorno prima Touati assieme allo sceicco Al Galal era andato nel Milanese per partecipare a riunioni e raccogliere denaro - ma potrebbero accusarti di qualcosa della quale sei innocente e distruggerai la vita del tuo bambino!». A quel punto Bouhrama, che avrebbe voluto organizzare un attentato in città nel 2002, lascia la macchina, mentre Khaled As ripete a Touati: «Alì, ti prego, sta fuori dai guai, lo so che tu stai facendo tutto questo nel nome di Allah, ma se succede qualcosa nulla ti proteggerà o ti salverà». Una settimana più tardi, altra conversazione in macchina tra i due, e As chiede a Touati: «Tu non credi che anche il tuo telefono è sotto controllo?» Il connazionale è convinto, ma evidentemente non sapeva di essere intercettato con le miscrospie ambientali, e perciò gli risponde: «No». Che motivo c’era di ricorrere da un lato a un linguaggio criptato e guardingo, mentre dall’altro c’era bisogno di fare continui riferimenti a connazionali arrestati perché sospettati di gravitare nell’orbita terroristica, se gli indagati fossero stati slegati dal circuito internazionale fondamentalista islamico? «Noi siamo convinti che il gruppo algerino individuato a Vicenza abbia finalità terroristiche e gli indizi raccolti lo dimostrano», ha ripetuto dal 21 luglio, giorno del blitz, il pm Marini. La decisione del Riesame di respingere la domanda di scarcerazione nei confronti di tutti e quattro i magrebini lo conferma. Alla difesa, a questo punto, non rimane che presentarre appello in Cassazione, mentre appare sempre più probabile il trasferimento degli atti a Napoli perché lì nell’aprile 2005 venne avviata l’inchiesta sulle presunte cellule terroristiche di matrice salafita disseminate anche nelle province di Salerno, Brescia e Vicenza. Il sospetto degli inquirenti è che di attive ce ne siano altre.


Timori e preoccupazione tra i lavoratori che temono di perdere lavoro e futuro
Nuova Ederle, cresce il fronte del “sì” Oggi assemblea dei 700 dipendenti
Pronti alla raccolta firme: «Senza gli americani la città perde una fetta di economia»

(e. mar.) Aeroporto Dal Molin e nuovo insediamento. Ora sono i lavoratori a salire in cattedra con un’assemblea prevista per oggi e con un costituendo comitato per il “sì” che vorrebbe salvare posti di lavoro ed economia locale. Cresce di giorno in giorno la preoccupazione dei 700 dipendenti della caserma Ederle, in ballo c’è il futuro dell’attuale sito americano, ma anche quello di oltre un migliaio di famiglie vicentine il cui reddito dipende dalle sorti del progetto Dal Molin. È chiaro a tutti, e soprattutto a loro, che se la cosiddetta “Ederle 2” prevista all’aeroporto Dal Molin non vedrà la luce, chiuderà anche la caserma di viale della pace per andarsene, forse, in Germania. E oggi andrà in scena uno degli appuntamenti più attesi proprio da chi rischia lavoro e stipendio. Nel pomeriggio un’assemblea sindacale chiesta dai dipendenti della Setaf farà il punto della situazione, di fronte, le categorie sindacali di Cisl e Uil che tenteranno di dare risposte ed eventualmente mettere a punto una strategia, anche se la partita vera sembra giocarsi fuori dalle mura di Vicenza. Intanto c’è chi pensa ad un comitato per il “sì”, un movimento che si batta per far costruire il nuovo insediamento Usa al Dal Molin. E qui la politica sembra proprio non c’entrare; l’iniziativa è stata presa da alcuni dipendenti della Ederle che temono di perdere il posto e la sicurezza che dà un datore di lavoro come quello americano. Ma c’è dell’altro, secondo più di qualche dipendente vicentino che ogni giorno entra nella base Usa: «Gli americani sono una risorsa per l’intera collettività, consumano e spendono in tutta la città, ci sono ristoranti e locali pubblici che tengono aperto solo per loro. Vogliamo davvero perdere questa ricchezza?». È uno degli argomenti che metterà in luce il fronte del “sì” che potrebbe sorgere nei prossimi giorni, destinato a fronteggiarsi col movimento del “no”, composto da cittadini e forze politiche, quasi che il referendum più volte evocato, sia già nell’aria. Quello che è certo è che i 700 dipendenti alla Ederle temono per il proprio futuro e sanno che il tempo delle decisioni si sta assotigliando. Senza contare la preoccupazione delle decine di aziende fornitrici che offrono servizi e materiale alla Ederle e che in un sol colpo vedrebbero scapparsi di mano come cliente l’attuale sito americano e quello che potrebbe, un giorno, arrivare. «E poi - attaccano i dipendenti - se gli americani se ne vanno, in quell’area sterminata che è la base Setaf, cosa facciamo? Serve una raccolta firme per far capire ai vicentini che non possiamo permetterci che gli americani se ne vadano».