07 MARZO 2005

dal Giornale di Vicenza

Gli antiamericani berici alzano la voce
«Ho rischiato di fare la fine di Calipari»

L’appello. In vista del potenziamento del contingente statunitense alla Ederle si chiedono firme per lo stop. E Asproso chiede lumi sul villaggio
Gli antiamericani berici alzano la voce
«Vicenza non deve essere degradata a guarnigione»

(ma. sm.) Dunque, gli americani hanno deciso. La 173ª Brigata aviotrasportata, uno dei corpi d’elite più famosi negli Usa, protagonista di alcune delle battaglie più sanguinose ai tempi del Vietnam, avrà un battaglione in più. Ai due, noti come The Rock e The Devils, che già da 4 anni sono a Vicenza e che sono stati impegnati in Iraq, Liberia e Afghanistan, se ne aggiungerà presto un altro. Più o meno duemila soldati in più, con relativi familiari al seguiti. Facendo i conti a spanne, a Vicenza e dintorni la comunità americana potrebbe balzare dagli 8-9 mila attuali, a 13-14 mila. Un bel salto, niente da dire, che necessita di adeguate soluzioni logistiche. Di fronte alle soluzioni prospettate dal Comune (un nuovo villaggio in via Aldo Moro, più una nuova destinazione del complesso militare dell’aeroporto Dal Molin), d’intesa con i responsabili Usa e nel rispetto delle direttive del governo italiano, è partita una raffica di proteste e richieste di chiarimento. «Si è detto da più parti che l’arrivo di un nuovo contingente di militari americani e delle loro famiglie rappresenta un’opportunità per l’economia vicentina - scrive il consigliere dei Verdi Ciro Asproso in una domanda di attualità presentata al consiglio -. Personalmente non credo che questo risponda al vero, la comunità statunitense non si è mai integrata con la nostra città, è isolata sotto il profilo culturale e completamente autosufficiente dal punto di vista dei servizi e dei consumi. Mentre emergono con sempre maggiore evidenza, problemi di relazione sociale e di sicurezza dovuti a comportamenti violenti che vedono per protagonisti i militari Usa». Dunque, par di capire, secondo Asproso non è il caso di insistere. Anche perché, come si evince dalla domanda di attualità, il consigliere verde non ha gradito che la giunta abbia dato tutto per scontato, compreso il cambio di destinazione, da agricola a militare, dell’area in questione. La caserma Ederle ha già presentato «richiesta di qualificazioni tecniche e finanziarie per la realizzazione di 203 unità abitative». «Poiché la variante non ha ancora ottenuto il voto favorevole del Consiglio comunale - chiede Asproso - e l’area in oggetto è tutt’ora agricola, che tipo di garanzie hanno fornito le ditte in concorso, per dimostrare (entro il 25 febbraio) che avrebbero sicuramente ottenuto la disponibilità dell'area?». Se queste obiezioni sono di tipo urbanistico, quelle presentate da un comitato spontaneo (tra i primi firmatari ci sono Mario Rigoni Stern, Bepi De Marzi, Francesco Bortolotto) sono più squisitamente politiche. Già dal titolo ("Appello contro la militarizzazione di Vicenza") si capisce lo scopo dell’iniziativa. «Ci chiediamo - scrivono i firmatari - per quali motivi una bellissima città a vocazione artistica, turistica e commerciale come la nostra debba essere degradata a città di guarnigione. Non ci sembra né rassicurante né onorifico che la città del Palladio venga ridotta a discarica di truppe straniere, in un momento in cui nessun paese civile, dalla Germania al Giappone, accetta più questo rischioso e mortificante statuto». «Facciamo perciò appello a tutti i cittadini responsabili che vogliono esprimere un dissenso e propugnare un ben diverso utilizzo della città dove vivono e che amano».


La rivelazione della manager vicentina
«Ho rischiato di fare la fine di Calipari»
Valeria Castellani: «Ma laggiù è normale: i soldati Usa, nel dubbio, sparano»

di Marino Smiderle

È triste ma non sorpresa, la vicentina Valeria Castellani. Perché sa benissimo come vanno le cose, a Baghdad. Lei laggiù ci lavora, insieme al compagno Paolo Simeone, ormai da un anno. Gestiscono una società di body guard, servizio molto ricercato, e pagato profumatamente, dagli uomini d’affari o da personalità varie che si devono muovere per quella città d’inferno. «Per due volte gli americani hanno sparato addosso anche a noi - ha rivelato ieri all’Ansa la vicentina -. Per questo non mi sono più di tanto sorpresa di quel che è capitato a Nicola Calipari in occasione della liberazione di Giuliana Sgrena». In questo momento la Castellani si trova in Italia (non a Vicenza) ma presto raggiungerà di nuovo il suo compagno, rimasto a Baghdad. Ha seguito in tv il tam-tam delle notizie che arrivavano dall’Iraq, con il corollario di polemiche sul comportamento dei soldati americani e, addirittura, con il sospetto di agguato nei confronti della giornalista de il manifesto che, secondo Pier Scolari, avrebbe dovuto essere eliminata. «La verità - racconta Castellani - è che lungo quelle strade il rischio di incappare nel fuoco degli americani è costante. Ma non mi sento di condannarli, pur essendo finita io stessa per due volte nel mirino dei loro mitragliatori. In questa situazione di guerra, in un paese in cui gli attacchi dei kamikaze sono continui, è logico che, nel dubbio, spari. Se aspetti un secondo di troppo, potrebbe esserci la morte dietro l’angolo». Tutte cose scontate, per chi lavora in questo clima allucinante, di sospetto e di morte. Ma non per chi sta qui in Italia ed è costretto a piangere un servitore dello stato, ucciso da chi sta dalla stessa parte della barricata. Incomprensibile, inconcepibile, per chi ragiona in base al buon senso; normale e perfino preventivabile, per chi frequenta quelle strade d’inferno per lavoro. «Il punto è - ha spiegato la vicentina - che se con l’auto vai piano, rischi di finire nella rete dei terroristi, che non aspettano altro che trovare un occidentale da mettere in gabbia; se invece vai forte, dribblando le buche, e ti avvicini ai mezzi americani, rischi di prenderti una mitragliata. Tutti quelli che in Iraq lavorano come body guard devono fare i conti con il problema del "blue on blue", il fuoco amico. Può capitare tra body guard di ditte diverse che non si riconoscono, tra body guard e soldati americani. Questo perché la tensione è alta e il pericolo di saltare in aria innervosisce un po' tutti. A me è successo due volte». Prima di rievocare quegli incidenti di percorso, la Castellani desidera fare le condoglianze alla famiglia di Calipari. Per lei è come ritornare ai terribili giorni dell’esecuzione di Fabrizio Quattrocchi, una body guard che lavorava per l’azienda all’epoca appena aperta da lei e da Simeone. Stavolta ad uccidere è stato il piombo Usa, ma la morte violenta fa lo stesso effetto: rabbia e tristezza si mescolano e lasciano una sensazione di vuoto e di impotenza. «La prima volta che siamo stati colpiti dal fuoco amico - ricorda la vicentina - non è successo nulla di grave. Eravamo sulla strada dell’aeroporto, stavamo andando a velocità piuttosto sostenuta e da una corsia laterale sono sbucati a tutta velocità dei mezzi americani. I soldati Usa, evidentemente spaventati per la presenza di un’auto civile vicino a loro, ci hanno sparato. Per fortuna ci hanno solo bucherellato la macchina, ma posso garantire che la sensazione non è stata piacevole, anche perché non potevamo reagire. Comunque è andata bene. Un’altra volta, invece, Paolo è rimasto leggermente ferito a una spalla». La strada è la stessa, quel collegamento con l’aeroporto da cui devono passare tutti gli occidentali in transito e che, per questo, è battuto dai terroristi in cerca di prede e dagli americani in continua ronda. «Il fatto è avvenuto il 12 febbraio scorso, alle 14,20 - rivela Valeria Castellani - quando un gruppo di tre auto con a bordo dei terroristi ha attaccato un convoglio di body guard. Questi hanno risposto al fuoco, uccidendo due ribelli e ferendone altri che si sono dati alla fuga. Lo stesso Paolo, che era nell’auto di coda, è riuscito a colpire alcuni terroristi e a mettere fuori uso un loro veicolo, ma una raffica partita da un’auto di un altro body guard lo ha centrato alla spalla: il proiettile calibro 7.62 è entrato e uscito, spaccandosi poi in molti frammenti, uno dei quali gli è penetrato nel fegato. Anche un collega inglese di Simeone è rimasto ferito, mentre sono rimasti illesi i clienti che dovevano proteggere». Il compagno genovese di Valeria Castellani se l’è cavata con qualche giorno di degenza in ospedale e adesso è ancora a Baghdad, lungo quelle strade dove si spara prima di chiedere i documenti. Il giudizio della vicentina sul comportamento degli americani in occasione dell’uccisione di Calipari è, per certi versi, fatalista: «Non condivido il grilletto facile degli americani, ma dobbiamo anche pensare che sono molti, troppi, gli attentati kamikaze che ogni giorno prendono di mira questi check point. E non è facile, spesso non è proprio possibile, distinguere i buoni dai cattivi. Trovo che sia comprensibile che la strategia di fondo sia diventata: nel dubbio, spara».