«Ho rischiato di fare la fine di Calipari»
Valeria Castellani: «Ma laggiù è normale: i soldati
Usa, nel dubbio, sparano»
di Marino Smiderle
È triste ma non sorpresa, la vicentina Valeria
Castellani. Perché sa benissimo come vanno le cose, a
Baghdad. Lei laggiù ci lavora, insieme al compagno
Paolo Simeone, ormai da un anno. Gestiscono una
società di body guard, servizio molto ricercato, e
pagato profumatamente, dagli uomini d’affari o da
personalità varie che si devono muovere per quella
città d’inferno. «Per due volte gli americani hanno
sparato addosso anche a noi - ha rivelato ieri
all’Ansa la vicentina -. Per questo non mi sono più di
tanto sorpresa di quel che è capitato a Nicola
Calipari in occasione della liberazione di Giuliana
Sgrena».
In questo momento la Castellani si trova in Italia
(non a Vicenza) ma presto raggiungerà di nuovo il suo
compagno, rimasto a Baghdad. Ha seguito in tv il
tam-tam delle notizie che arrivavano dall’Iraq, con il
corollario di polemiche sul comportamento dei soldati
americani e, addirittura, con il sospetto di agguato
nei confronti della giornalista de il manifesto che,
secondo Pier Scolari, avrebbe dovuto essere eliminata.
«La verità - racconta Castellani - è che lungo quelle
strade il rischio di incappare nel fuoco degli
americani è costante. Ma non mi sento di condannarli,
pur essendo finita io stessa per due volte nel mirino
dei loro mitragliatori. In questa situazione di
guerra, in un paese in cui gli attacchi dei kamikaze
sono continui, è logico che, nel dubbio, spari. Se
aspetti un secondo di troppo, potrebbe esserci la
morte dietro l’angolo».
Tutte cose scontate, per chi lavora in questo clima
allucinante, di sospetto e di morte. Ma non per chi
sta qui in Italia ed è costretto a piangere un
servitore dello stato, ucciso da chi sta dalla stessa
parte della barricata. Incomprensibile, inconcepibile,
per chi ragiona in base al buon senso; normale e
perfino preventivabile, per chi frequenta quelle
strade d’inferno per lavoro.
«Il punto è - ha spiegato la vicentina - che se con
l’auto vai piano, rischi di finire nella rete dei
terroristi, che non aspettano altro che trovare un
occidentale da mettere in gabbia; se invece vai forte,
dribblando le buche, e ti avvicini ai mezzi americani,
rischi di prenderti una mitragliata. Tutti quelli che
in Iraq lavorano come body guard devono fare i conti
con il problema del "blue on blue", il fuoco amico.
Può capitare tra body guard di ditte diverse che non
si riconoscono, tra body guard e soldati americani.
Questo perché la tensione è alta e il pericolo di
saltare in aria innervosisce un po' tutti. A me è
successo due volte».
Prima di rievocare quegli incidenti di percorso, la
Castellani desidera fare le condoglianze alla famiglia
di Calipari. Per lei è come ritornare ai terribili
giorni dell’esecuzione di Fabrizio Quattrocchi, una
body guard che lavorava per l’azienda all’epoca appena
aperta da lei e da Simeone. Stavolta ad uccidere è
stato il piombo Usa, ma la morte violenta fa lo stesso
effetto: rabbia e tristezza si mescolano e lasciano
una sensazione di vuoto e di impotenza.
«La prima volta che siamo stati colpiti dal fuoco
amico - ricorda la vicentina - non è successo nulla di
grave. Eravamo sulla strada dell’aeroporto, stavamo
andando a velocità piuttosto sostenuta e da una corsia
laterale sono sbucati a tutta velocità dei mezzi
americani. I soldati Usa, evidentemente spaventati per
la presenza di un’auto civile vicino a loro, ci hanno
sparato. Per fortuna ci hanno solo bucherellato la
macchina, ma posso garantire che la sensazione non è
stata piacevole, anche perché non potevamo reagire.
Comunque è andata bene. Un’altra volta, invece, Paolo
è rimasto leggermente ferito a una spalla».
La strada è la stessa, quel collegamento con
l’aeroporto da cui devono passare tutti gli
occidentali in transito e che, per questo, è battuto
dai terroristi in cerca di prede e dagli americani in
continua ronda. «Il fatto è avvenuto il 12 febbraio
scorso, alle 14,20 - rivela Valeria Castellani -
quando un gruppo di tre auto con a bordo dei
terroristi ha attaccato un convoglio di body guard.
Questi hanno risposto al fuoco, uccidendo due ribelli
e ferendone altri che si sono dati alla fuga. Lo
stesso Paolo, che era nell’auto di coda, è riuscito a
colpire alcuni terroristi e a mettere fuori uso un
loro veicolo, ma una raffica partita da un’auto di un
altro body guard lo ha centrato alla spalla: il
proiettile calibro 7.62 è entrato e uscito,
spaccandosi poi in molti frammenti, uno dei quali gli
è penetrato nel fegato. Anche un collega inglese di
Simeone è rimasto ferito, mentre sono rimasti illesi i
clienti che dovevano proteggere».
Il compagno genovese di Valeria Castellani se l’è
cavata con qualche giorno di degenza in ospedale e
adesso è ancora a Baghdad, lungo quelle strade dove si
spara prima di chiedere i documenti. Il giudizio della
vicentina sul comportamento degli americani in
occasione dell’uccisione di Calipari è, per certi
versi, fatalista: «Non condivido il grilletto facile
degli americani, ma dobbiamo anche pensare che sono
molti, troppi, gli attentati kamikaze che ogni giorno
prendono di mira questi check point. E non è facile,
spesso non è proprio possibile, distinguere i buoni
dai cattivi. Trovo che sia comprensibile che la
strategia di fondo sia diventata: nel dubbio, spara».