04 OTTOBRE 2006

È gelo totale fra Hüllweck e Cicero
Immigrati, la Regione blocca i fondi per i Poli dei Comuni
Telecamere al parco Mantovano I residenti raccolgono 800 firme

È gelo totale fra Hüllweck e Cicero L’assessore è ai ferri corti con il sindaco. E ieri è saltato un faccia a faccia di G. M. Mancassola L’ultima volta che si sono parlati è stato giovedì scorso. Via sms. La luna di miele fra il sindaco Enrico Hüllweck e l’assessore alla Mobilità Claudio Cicero è finita. I due sono ai ferri corti da settimane. Dopo un’estate tormentata, fatta di rimbrotti, incomprensioni e sfuriate, l’autunno ha abbassato la temperatura fin sotto lo zero. Fra sindaco e assessore è gelo totale. A monte c’è il caso “Dal Molin”, esploso nelle mani dell’amministrazione comunale nel maggio scorso, quando su palazzo Trissino è piovuta una scarica di accuse unite da un comun denominatore: il Comune sapeva e ha taciuto. Un’accusa che il sindaco non ha gradito, come non ha gradito il dinamismo dell’assessore tutto rivolto a dare il parere favorevole alla nuova caserma. Giorno dopo giorno, il capo dell’amministrazione comunale e il suo fedelissimo si sono sempre più allontanati. A poco a poco a Cicero è stata applicata la sordina, diventata museruola con l’ultimo sms, che gli ha imposto il silenzio stampa sul progetto Usa. Troppo evidente, infatti, era parsa la divaricazione fra le interpretazioni di Hüllweck e di Cicero alle parole del ministro della Difesa Arturo Parisi alla Camera. Tanto il primo aveva riversato la sua rabbia per una risposta ritenuta una sceneggiata governativa, tanto l’altro, da bomber di razza, aveva colto al volo l’assist e aveva rilanciato il suo disegno: dire sì agli americani se e solo se in cambio si otterranno strade e sottoservizi. Di quel messaggino si chiacchiera nelle stanze della politica cittadina, anche nel centrosinistra. Quell’sms è la cartina di tornasole che misura la distanza fra i due. Lontani appaiono soprattutto i tempi in cui il primo abbraccio dopo la vittoria elettorale del 2003 veniva riservato all’assessore più concreto e pratico: quello della rivoluzione del traffico, delle rotatorie a mitraglia, della Tav e del tunnel, quello per i supertreni e quello per le auto. Quello, ancora, del raccordo anulare intorno alla città, un sistema di tangenziali che dovrebbe completare la grande circonvallazione anche nel quadrante nord. E qui casca l’asino. Sì, perché in tempi di vacche magre, per far quadrare il cerchio bisogna ingegnarsi. La soluzione di Cicero allora era ed è semplice quanto ardita: pretendere un innesto nella bretella da Ponte Alto a Isola progettata dalla Provincia e mettere in conto agli americani il braccio nord, visto che proprio da quelle parti vorrebbero piazzare la nuova caserma. Un doppio salto mortale che sta costringendo Cicero a camminare su un sottile filo, sospeso nel vuoto, perché da una parte non c’è più l’ala protettrice di Hüllweck, che in passato lo aveva difeso da tutto e da tutti; e dall’altra non c’è nemmeno Alleanza nazionale, il partito con cui è stato eletto ma da cui si è smarcato da tempo, tanto che nessuno sta sguainando spade per proteggere il re dei rondò. L’ultima frizione risale a ieri pomeriggio: il sindaco aveva convocato Cicero nell’ambito di una serie di faccia a faccia con i suoi assessori per valutare le prospettive dell’ultimo anno e mezzo di mandato amministrativo. Prima del colloquio, però, Cicero ha comunicato la disdetta per altri impegni. Appena il giorno prima, dallo studio del primo cittadino era affiorata la velata critica per iniziative bollate come “personali” messe in atto da Cicero nei contatti con gli americani. L’assessore è in silenzio stampa forzato, ma alle persone a lui più vicine ha ripetuto per l’ennesima volta che ha sempre informato di tutto il sindaco e che ha sempre lavorato per la città, per non farsi schiacciare dall’operazione Dal Molin, alla quale dice sì solo in cambio di aeroporto civile, viabilità e nuovi sottoservizi. Ora il Dal Molin, come uno tsunami rischia di scardinare gli equilibri della Giunta, con il pericolo di riverberi sul consiglio comunale, già investito dall’onda di piena della commissione Territorio. Nessuno, sei mesi fa, avrebbe scommesso su un epilogo che rischia di assomigliare a quello di Angelo Rovati, il fidatissimo consigliere di Romano Prodi, risucchiato dal caso “Telecom”.

Caserma Usa. Il difensore civico Pecori invita il Comune ad alzare il prezzo. Un gruppo di urbanisti si schiera per il no «Chiediamo al Governo strade e poliziotti» Dalla Pozza (Ds): «Con chi hanno avuto gli “stretti contatti” gli americani?» (g. m. m.) «Dibattito in consiglio comunale? Referendum popolare? Non ci sono gli elementi e il voto si risolverebbe in una scelta ideologica pro o anti americani: e sarebbe intollerabile. Meglio correre ai ripari e alzare il prezzo della contropartita: ormai, da quel che si è capito, la nuova caserma si farà». La pensa così il difensore civico Massimo Pecori, che interviene sull’affaire Dal Molin cercando di spronare l’amministrazione comunale. «L’intervento del ministro della Difesa Arturo Parisi alla Camera e l’ottimismo del generale Frank Helmick - spiega Pecori - fanno intuire che il progetto è a un passo dal sì. È arrivato allora il momento di fare chiarezza e trasformare questa operazione, che avrà delle ricadute negative sulla città, in un’opportunità per Vicenza». Il difensore civico fa l’esempio dei grandi eventi sportivi: «Quando una città ospita mondiali di calcio o olimpiadi dal Governo arrivano fiumi di soldi per costruire infrastrutture e garantire servizi. Tanto più, la stessa attenzione dovrebbe essere riservata a Vicenza, che non ospiterà un evento sportivo, ma una caserma militare». Secondo Pecori, quindi, «bisogna andare a Roma e battere i pugni. Non solo per strappare fondi utili alla costruzione di nuove strade, ma anche per migliorare i sistemi di sicurezza in città. Questo progetto potrebbe essere l’occasione giusta per far promuovere la questura vicentina dalla serie C alla serie B, ottenendo più uomini e più mezzi. Andiamo a trattare, visto che il nuovo insediamento comporta indubbi svantaggi». E a proposito di trattative, il diessino Antonio Dalla Pozza ha presentato una domanda di attualità che dovrebbe essere discussa durante il consiglio comunale di domani. Al momento non sono annunciate richieste di dibattito, anche se non si escludono blitz dell’ultima ora per strappare un voto a sorpresa, in un senso o nell’altro. Se il dibattito non ci sarà, il Dal Molin farà comunque capolino in sala Bernarda grazie ai quesiti posti da Dalla Pozza, che rigira il coltello sul rapporto teso fra il sindaco Enrico Hüllweck e l’assessore Claudio Cicero. Dalla Pozza prende le mosse dalla conferenza stampa del comando Setaf, «risultata interessante soprattutto perché gli alti comandi statunitensi avrebbero ribadito più volte che l’operazione sta procedendo “in stretto contatto” con l’amministrazione comunale. Contatto talmente stretto che, nella stessa giornata, il sindaco ha convocato un’altra conferenza stampa per far sapere che, se esistono contatti, sono solo per iniziative di carattere personale. E a nessuno è sfuggita l’allusione all'assessore alla Mobilità, grande sostenitore del progetto. E a nessuno può altresì sfuggire la gravità di un tale comportamento che, se confermato, indicherebbe la totale impossibilità da parte del sindaco di guidare una Giunta in cui ciascuno fa quel che gli pare, senza preoccuparsi di informare né il primo cittadino, né il consiglio comunale». Per questo il consigliere chiede conto al sindaco di eventuali comportamenti non ufficiali. Un appello al no è stato sottoscritto infine da un gruppo di urbanisti, una ventina di studiosi e docenti di numerosi atenei italiani di tutta Italia, coordinati dal prof. Edoardo Salzano, della facoltà di Pianificazione del territorio all’università Iuav di Venezia. «A Vicenza si vuole raddoppiare l’attuale base militare americana si legge nel testo. Ciò avverrebbe aggiungendo ulteriori 600mila metri cubi di caserme e magazzini di ordigni di distruzione a quelli già esistenti in un territorio devastato dalla dispersione disordinata degli insediamenti industriali, commerciali e residenziali. Ciò comporterebbe l’aumento del potenziale aggressivo localizzato in Italia, in contrasto con l’impegno del governo e del parlamento di contribuire a far crescere una Europa di pace. I sottoscritti chiedono al Governo nazionale e ai suoi membri di non autorizzare l’intervento sopra descritto».

Verso il summit di Riga «Con la base Nato creati in Olanda 350 posti di lavoro» Prosegue la missione nel cuore e nel cervello dell’Alleanza atlantica: «Brunssum conta 20 mila abitanti e il Pil è salito di 25 milioni» di Marino Smiderle inviato a Bruxelles Non basta il vento forte a scacciare le nuvole nere che coprono il cielo di Bruxelles. In compenso lo stesso vento è l’alleato scenografico della Nato e aiuta a fare dell’ingresso del quartier generale una sorta di simbolo, con le 26 bandiere dei paesi membri che sventolano rumorosamente. Per il mondo gli headquarters Nato rappresentano il pensatoio politico-militare dove vengono prese le decisioni su come dirimere i conflitti più spinosi, per Bruxelles è uno dei tanti centri di produzione di reddito che regalano benessere alla capitale belga. In ogni caso, l’ingresso è da cinema: controlli accurati dei documenti, presa in consegna dei cellulari in grado di scattare foto o girare video (praticamente tutti), passaggio al metal detector e, finalmente, via verso i "segreti" della nuova alleanza globale. Guidati dal sergente di prima classe Lisa M. Simpson, arriviamo presto alla sede della missione americana. Piccolo inciso: qui ci sono 26 missioni, uno per ogni paese membro. Nel caso di ulteriore allargamento, che potrebbe essere previsto dal prossimo vertice dei capi di governo previsto a Riga per la fine di novembre, non si sa bene come si potrebbe ulteriormente allargare anche questa già enorme sede del quartier generale. Il portavoce della Nato, James Apparthurai, smorza gli entusiasmi: «È difficile che il summit di Riga venga ricordato come il summit dell’allargamento - dice -. Piuttosto, credo che alla fine verrà riaffermata con forza l’intenzione della Nato di accogliere nuovi membri». L’elenco è sempre lo stesso, a cominciare dai paesi balcanici, in prima fila la Croazia, per poi arrivare a Georgia e Ucraina. Ma al di là di questo futuro inevitabile allargamento, si capisce subito quale sarà il tasto su cui batterà la delegazione americana, guidata dal presidente George W. Bush, in occasione di quel summit: il cambiamento strategico in senso globale della Nato. «In tutte le ultime grandi campagne di peacekeeping degli ultimi anni - osserva Scotty W. Ried III, viceconsigliere politico della missione Usa alla Nato - abbiamo lavorato fianco a fianco con Australia, Giappone, Corea del Sud, Nuova Zelanda, tutti paesi che non sono legati geograficamente all’Europa o al Nord America ma che hanno in comune con la Nato i valori fondanti. Dobbiamo trovare un modo per riconoscerli e integrarli nell’organizzazione. Paradossalmente era più facile, per la Nato, avere una ragione di vita durante la guerra fredda: c’era un nemico chiaro, da cui bisognava difendersi e a questo l’alleanza serviva. Ora, specie dopo l’11 settembre, è cambiato tutto. Parlerei di approccio globale alla partnership, anche se il termine globale non gode di buona fama». Il punto è che il trattato firmato a Washington nel 1948 prevede che vi possano aderire i paesi dell’Europa e del Nord America e che ogni paese membro alleato, in caso di attacco, riceverà l’appoggio e la difesa immediati di tutta l’alleanza. La prima volta che è stato fatto valere questo principio è stato proprio l’11 settembre, e il primo intervento a sostegno di un paese attaccato (gli Usa) è avvenuto fuori dai confini della Nato, in Afghanistan, dove prosperava Al Qaeda e dove adesso le operazioni a guida della Nato (Isaf) si stanno intensificando. Qui sono intervenuti anche paesi non Nato ma che della Nato condividono tutti i valori tranne la geografia: per gli americani è arrivato il momento di riconoscerne ufficialmente lo sforzo. «Credo che da organizzazione geopolitica quale è stata e quale è - spiega Zsolt Rabai, Information officer per l’Ungheria - la Nato sia destinata a diventare una struttura funzionale. E in questo senso troverebbero un ruolo più definito anche Australia, Giappone, Nuova Zelanda e Corea del Sud. Ma questo è solo un pensiero, e vedremo che sviluppi avrà a Riga». In questo momento, però, dal punto di vista operativo la maggior parte delle attenzioni della Nato sono rivolte all’Afghanistan. Il comando strategico della missione è in un paesino dell’Olanda a pochi chilometri dal confine col Belgio, Brunssum. Qui è stato creato il quartier generale di quel che chiamano il Joint Force Command che dirige le operazioni in Afghanistan. Compito esteso l’altro giorno anche all’est del paese, dove 12 mila soldati americani di Enduring Freedom sono stati assegnati al contingente Isaf della Nato. La differenza, per capirci, è che gli americani rimasti sotto il cappello di Enduring Freedom hanno come scopo principale quello di catturare bin Laden, mentre l’Isaf della Nato pensa alla ricostruzione e alla sicurezza del Paese. Al di là delle strategie illustrate a Brunssum, salta agli occhi anche qui l’influenza economica per le realtà territoriali che circondano queste basi. «L’università di Maastricht - rivela il tenente olandese Hans Breemans, responsabile dell’ufficio di comunicazioni a Brunssum - ha calcolato che la realizzazione di questo quartier generale ha fatto aumentare il pil della cittadina che lo ospita di 25 milioni di euro. Se poi allarghiamo il discorso alla comunità che lavora attorno al centro, i milioni diventano 50, per un totale complessivo di 75. Quanto ai posti di lavoro, sono stati create 350 nuove occasioni di occupazione, lasciando stare l’indotto. In più è stato calcolato che tutti coloro che lavorano qui spendono, in media, 4.500 euro in più all’anno rispetto agli abitanti di Brunssum. Non v’è dubio che per questa città di 20 mila abitanti i benefici siano stati sensibili». Stiamo parlando di una base importante ma più piccola della Ederle. Lo studio dell’università olandese dimostra, dati alla mano, che tra i motivi che possono indurre a bocciare l’ipotesi di ampliamento al Dal Molin del contingente americano a Vicenza non possono certo essere compresi quelli economici. In Belgio e in Olanda, con le basi Nato, sono stati creati posti di lavoro, indotti stabili e, in ultima analisi, benessere. Nel processo decisionale vicentino bisognerà tenere conto anche di questo aspetto.


Il prefetto aveva chiesto a Venezia di non “abbandonare” gli sportelli Immigrati, la Regione blocca i fondi per i Poli dei Comuni L’assessore Donazzan: «Rivedere al ribasso i flussi d’ingresso» di Eugenio Marzotto «La Regione non ha più intenzione di finanziare i Poli di segreteria sociale». Le parole sono dell’assessore regionale all’immigrazione Elena Donazzan e sono parole che pesano come un macigno, soprattutto dopo che il prefetto di Vicenza nei giorni scorsi aveva spedito una lettera a Venezia per sostenere l’importanza dei sette Poli distribuiti in provincia chiedendo alla Regione di continuare con i finanziamenti. «È necessario che i Poli di segretariato sociale continuino il loro proficuo lavoro e indispensabile ausilio», aveva scritto Piero Mattei, che adesso però deve incassare il no della Donazzan. La questione è nota. A fronte del consistente arrivo di immigrati nella nostra provincia, qualche anno fa sono stati istituiti degli sportelli per aiutare la questura a istruire le pratiche per il rinnovo del permesso di soggiorno. I Poli, sparsi nei centri con il più alto tasso di immigrati, di fatto supportano la questura già intasata di fascicoli, grazie ai finanziamenti provenienti dalla Regione e una quota parte a carico delle amministrazioni locali. La situazione è pesante, nonostante il super lavoro delle questure: nel 2005 ad esempio gli uffici di viale Mazzini hanno fatto registrare un +44% di rinnovi a fronte di una richiesta che rischia di non essere più sostenibile. I Poli finora hanno svolto il loro compito. Raccogliere le domande di rinnovo degli stranieri e passare le pratiche a Vicenza, un meccanismo che ha funzionato fino a un anno fa, poi il black out e i ritardi fino a sette mesi per ottenere il permesso di soggiorno. Il motivo? Carenza di personale. «Ma è chiaro - sostengono Cgil, Cisl, Uil e questore - che se si chiudessero i Poli le cose andrebbero anche peggio». Mancano tre mesi alla scadenza della convenzione tra Regione e comuni per il sostentamento degli sportelli di segretariato sociale, ma già nelle scorse settimane i sette comuni hanno fatto sentire la loro voce: «Se i soldi dalla Regione vengono a mancare, i Poli chiuderanno». Così le parole della Donazzan non fanno che accendere una miccia che rischia di bloccare il lavoro della questura sottorganico e impedire alle aziende di regolarizzare i propri dipendenti immigrati. «Il problema sta a monte - dichiara la Donazzan - bisogna rivedere al ribasso la politica dei flussi. Bisogna prevedere meno ingressi e tutelare invece i lavoratori usciti dal mercato del lavoro, non si può più stimare la quota di ingresso degli stranieri, rispetto al fabbisogno delle aziende e puntare piuttosto sulla manodopera italiana». Posizione, quella che arriva da Venezia, che non sorprende quanti temono per la chiusura dei Poli. È il caso di Renato Riva della segreteria Cisl che una settimana fa con i colleghi di Cgil e Uil, Andriollo e Biasin, aveva sostenuto insieme al questore Rotondi la necessità di tenere in vita il servizio. «L’immigrazione non la può fermare nessuno - commenta Riva - si tratta invece di un fenomeno che crescerà anche a Vicenza. Allora o si governa il problema con le procedure della pubblica amministrazione, oppure è il caos. È un dato di fatto che la questura non ce la fa a sostenere le richieste per carenza di personale e che i Poli sono necessari, avendo dimostrato peraltro che possono funzionare. Se su questo non si farà chiarezza non escludiamo azioni incisive». Una mediazione in ogni caso, Riva cerca di trovarla: «Sia il territorio a trovare le risorse, gli enti locali e il mondo produttivo. Credo sia più utile vedere cosa si può fare, piuttosto di dire “io mi chiamo fuori”».


Arzignano/1. La Lega ne propone l’installazione in Consiglio, ma poi esce dall’aula: «La maggioranza ci scippa l’idea» Telecamere al parco Mantovano I residenti raccolgono 800 firme di Nicola Rezzara La questione della sicurezza e degli atti vandalici al parco Mantovano scatena la bagarre in consiglio comunale. L’ordine del giorno presentato dalla Lega Nord a nome dei residenti, per l’installazione di una telecamera che documenti i danneggiamenti, ha messo ai ferri corti l’amministrazione e gli abitanti del quartiere, i quali hanno replicato con una petizione che in pochi giorni ha raccolto 800 firme. Nei prossimi giorni, inoltre, sono previsti incontri ed assemblee per cercare di porre rimedio ad una situazione che sta scaldando gli animi. La settimana scorsa Massimo Signorin, capogruppo della Lega Nord, dai banchi dell’opposizione in consiglio ha presentato un ordine del giorno per chiedere il ripristino delle attrezzature del parco danneggiate dai vandalismi, la chiusura nelle ore notturne e l’installazione di una telecamera. Maggioranza ed opposizione si erano trovate d’accordo sulla condanna degli episodi, dopo un’estate in cui nel parco si è visto di tutto: vandalismi, droga, spettacoli a luci rosse e schiamazzi, cui si sono aggiunte preoccupanti incursioni notturne dei giovani nei terrazzi dei residenti. La scintilla è scoccata quando la maggioranza ha proposto un emendamento all’ordine del giorno per esaminare altre soluzioni in alternativa alla telecamera. A quel punto l’opposizione è esplosa, accusando gli avversari politici di voler «scippare» e stravolgere l’ordine del giorno, che alla fine è passato con i soli voti della maggioranza. In un clima di forte tensione, i rappresentanti della Lega hanno abbandonato la seduta, seguiti dai residenti del quartiere presenti in sala. Anche l’assessore al verde pubblico Giandomenico Giacomello, visibilmente seccato dalle polemiche, ha infilato la via d’uscita senza rilasciare dichiarazioni. Sabato è arrivata la replica dei residenti, che assieme alla Lega hanno organizzato in piazza Libertà una raccolta di firme per sostenere la proposta di installazione della telecamera, che sono disposti ad ospitare sui loro terreni: una petizione che conta fino ad ora circa 800 adesioni. E le polemiche non sono certo finite: Michela Pieropan, presente al gazebo in rappresentanza dei residenti, racconta di uno spiacevole faccia a faccia con l’assessore al commercio Antonio De Sanctis: «È venuto in piazza e in maniera concitata ci ha detto di tornarcene a casa, che ci dovevamo vergognare - racconta la portavoce dei residenti -. È stato un comportamento molto deludente: se il consiglio avesse accolto le nostre richieste, noi adesso non saremmo in piazza a cercare il sostegno dei cittadini». Domenica sono arrivati i primi segni di dialogo, con un incontro fra l’assessore Giacomello ed i residenti proprio all’interno del parco, per discutere delle possibili soluzioni. Ma intanto il Carroccio promette battaglia sul fronte politico: «Nel prossimo consiglio cercheremo di annullare l’ordine del giorno che ci è stato rubato dalla maggioranza - afferma Massimo Signorin - e riproporremo il nostro, ma questa volta con il supporto di migliaia di firme».