04 LUGLIO 2006

E in piazza il sindaco è con Tom Cruise
In viaggio dalla Moldavia

E in piazza il sindaco è con Tom Cruise
Manifesti ritoccati di “Top Gun” per dire no a nuove aree Usa

di Giovanni Zanolo

Il cartellone più emblematico riproduceva la locandina del film “Top Gun” (cambiato in “Stop Gun”) dove al posto della Kelly McGillis, accanto a Tom Cruise, c’era il volto del sindaco Enrico Hüllweck con la scritta: “Vicenza non si Usa”. La protesta contro un’amministrazione «lontana dai cittadini» e il rifiuto categorico di quella che secondo l’onorevole Lalla Trupia «sarà la base americana più grande d’Europa subito dopo quella in Kosovo», hanno rappresentato le due principali istanze che univano gli animi dei 400 vicentini che ieri sera in piazza Castello (e poi in corteo fino a circondare palazzo Trissino), hanno manifestato nonostante il caldo contro la possibile nuova caserma americana al Dal Molin. Ma striscioni come «Vicenza non è una colonia americana» non devono trarre in inganno: «Che non passi la sciocchezza che è una manifestazione anti americana» spiega la Trupia, di fronte a centinaia di vicentini “comuni” che già hanno raccolto quasi sei mila firme per una petizione. Deluse le aspettative di chi si immaginava un corteo anti-Bush dominato dai no global, alla manifestazione organizzata da numerosi comitati cittadini erano comunque presenti quasi tutte le forze cittadine dell’Unione e la Cgil: «Non è una protesta politica – ribadisce il segretario generale Oscar Mancini –. Ci opponiamo all’ennesima cementificazione, un insediamento di 700mila metri cubi con muri fino a 21 metri in una delle zone più verdi della città». E la preoccupazione per il «devastante impatto ambientale e viabilistico» espressa da tutti i comitati sfumava poi in una catena di interrogativi e paure diffuse: «Esistono patti segreti fra i governi? Vogliamo che Vicenza diventi una guarnigione Usa? – interviene Giancarlo Albera del comitato di S. Bortolo –. Come può un’Amministrazione affermare che si tratta di una questione marginale? Che cosa intende il vicepremier Rutelli nell’affermare che sarà necessario sentire Vicenza?». Ancora: «Perché solo a Vicenza rispetto al resto d’Italia è previsto un aumento della presenza americana? – aggiunge Cinzia Bottene – Perché negli stessi Usa le basi vengono costruite fuori dai centri cittadini?». A caccia di risposte, contro «un’amministrazione troppo silenziosa», domani i comitati andranno a Roma «dove – spiegano – in concomitanza della riunione quasi “segreta” tra Hüllweck, la Dal Lago e il Ministero della Difesa, terremo una conferenza stampa per il Senato». Nello stesso momento è in programma a Vicenza un sit-in davanti al Dal Molin alle 18.30.

Il presidente del consiglio comunale giovedì al ministero della Difesa
Caso Dal Molin, Sarracco vuole tre campi da rugby
«Se va in porto il progetto Usa devono rifondere 1,5 milioni di euro»

di G. M. Mancassola

Nella partita della nuova caserma Usa all'aeroporto "Dal Molin" entra in azione anche il Rugby Vicenza. La società è intenzionata a difendere con i denti il suo piccolo regno di strada S. Antonino, punto di riferimento per un migliaio di vicentini, fra giovani praticanti e famiglie. Da tempo, però, è nota l'ipotesi di ricavare una base militare proprio nell'area oggi civile del "Dal Molin", inglobando anche i campi di rugby. Il caso ha voluto che al posto degli attuali impianti, il progetto a stelle e strisce preveda strutture sportive dal sapore più yankee, vale a dire i “diamanti” del baseball. La società, dunque, si sente con le valigie in mano, nonostante la posizione contraria allo sfratto coatto. Se sfratto dovrà essere, tuttavia, allora venga fornita un'alternativa, valida e immediata. Di questa esigenza si è fatto carico Sante Saracco, nella doppia veste di presidente del Rugby e di presidente del consiglio comunale. Saracco farà parte della delegazione comunale che giovedì volerà a Roma, per sedersi al tavolo della commissione convocata dal ministero della Difesa e incaricata di sviscerare tutti gli aspetti tecnici utili a perfezionare l'operazione. Con Saracco ci saranno anche l'assessore ai Trasporti Claudio Cicero e il sindaco Enrico Hüllweck. Nella capitale voleranno anche due rappresentanti della Provincia, il consigliere leghista Roberto Ciambetti e il dirigente dell'urbanistica Roberto Bavaresco. Ogni delegazione presenterà ai commissari del ministero un dossier con le richieste per attutire l'impatto dei nuovi insediamenti. La preoccupazione maggiore, sul fronte municipale, è il tentativo di ottenere garanzie sugli interventi necessari per potenziare servizi e infrastrutture. Il Comune non vuole ritrovarsi con il cerino in mano e soprattutto non intende sborsare un euro per strade, acquedotti, linee elettriche, fognature e quant'altro ricada all'esterno del recinto della futura base. Ed è qui che entra in gioco Saracco: il presidente di consiglieri e rugbisti, infatti, punta a mettere sullo stesso piano delle infrastrutture anche i campi del rugby. «Se il Governo deciderà per la realizzazione della base, sappia che oltre alle strade e ai servizi deve pensare al trasferimento delle nostre attività. Su questo punto sarò irremovibile. Anche perché il costo per costruire almeno tre campi di gioco, le tribune, gli spogliatoi e la club house è di 1,5 milioni di euro. Se andrà in porto il progetto americano, deve essere chiaro che questo è un costo aggiuntivo da sostenere». Questi sono i concetti che Saracco ha espresso anche ieri sera durante l'assemblea della società. Provando a proiettarsi verso il futuro, tre appaiono le soluzioni oggi alla portata per un eventuale trasloco. C'è l'area comunale di via Carpaneda, a ovest, nella porzione rimasta esclusa dal contenzioso sorto davanti al Tar per il piano alienazioni. C'è poi l'area comunale di S. Agostino, dove si è immaginato di ricavare un campo scuola per il golf e una pista per Bmx. E infine l'area di proprietà della Provincia a Bertesina. In circoscrizione 5, intanto, la maggioranza che sostiene il presidente Marco Bonafede ha presentato una mozione opposta rispetto a quella dell'opposizione, con la quale indirizza un messaggio al Governo Prodi. «Prima della decisione finale - spiega Bonafede - si tenga conto dell'impatto viabilistico e della necessità di nuovi servizi, che non devono ricadere sul Comune. Inoltre, si chiede la permanenza delle forza armate italiane e del museo storico dell'aeronautica».


Nel pullman della corruzione Sasha è il contabile In ogni dogana sa cosa e come fare Conosce la polizia da molto tempo
In viaggio dalla Moldavia

di Eugenio Marzotto
inviato in Moldova

Sergey è il capo, ha 37 anni e un passato da ferroviere. Gestisce una banda di cinque persone e ognuno sa cosa fare. Per i moldavi questi uomini sono quasi eroi, brava gente che li aiuta a venire in Italia e trasferire pacchi e soldi da ovest ad est. Due settimane fa ne sono morti tre, corrieri che viaggiavano in pullman da Chisinau, destinazione Padova, Vicenza e Brescia, il sonno li ha traditi e sono finiti in un burrone austriaco insieme ad altre 29 persone, uomini, donne e bambini che ritornavano nella loro seconda casa. Sergey organizza le tratte da Vicenza alla capitale moldava, tre viaggi a settimana, decine di connazionali che ritornano o arrivano per la prima volta nel paese in cui tutto deve ricominciare, lasciandosi alle spalle famiglia e miseria. L’appuntamento è in un autogrill di Vicenza Est, lì, arrivano i furgoni carichi di pacchi e lavoratori che gungono dalla provincia e dal nord Italia. Alle 19 spunta il pullman, un Mercedes del ’98 da un milione e mezzo di chilometri, carico di abiti, scarpe, giocattoli, bici, elettrodomestici, portatili e qualunque altra cosa serva alle case e alla gente moldava. È l’ora, Sergey chiama a raccolta i suoi. Sasha, il contabile, un ragazzo magro dalle braccia lunghe, Pavel, uno degli autisti, ventre grosso e occhiali neri, Vitalii, faccia da buono e mani da meccanico, Nicolai altro autista dagli occhi di ghiaccio e poi Gheorghe il più anziano, ex poliziotto, braghe corte e poche parole. Sul pullman venti passeggeri, dodici donne, cinque uomini e tre bambini, tra loro Viktor, sette anni, padre bulgaro e madre moldava, torna in patria per trovare la nonna e non si lamenterà mai. Il resto del pullman è carico di pacchi e valigie, dietro è attaccato un rimorchio, in tutto oltre 60 quintali di materiale che transiterà per 2.200 chilometri. La banda ha fretta, il carico è in ritardo e sulle strade che portano in Austria si scivola via veloci, sorpassando tir e corriere turistiche. Gheorghe, tira fuori da sotto il sedile il “gasolo”, una miscela alcolica fatta di vodka e coca cola russa, le mani sudate passano le bottiglie di bocca in bocca prima di fumare sigarette di importazione. Sergey è al volante come un timoniere della speranza e attacca la musica che non si fermerà mai più. E mentre il rock balcanico rimbomba nel pullman, le donne tentano di dormire in postazioni strette che hanno l’odore della benzina che sale dal motore. Slovenia, poi Austria, nell’autostrada sfrecciano decine di furgoni e pullman con targhe rumene, russe, ucraine e moldave. C’è il tempo per fermarsi, per bere qualcosa, per asciugare il sudore e rinfrescarsi prima di continuare l’attraversata da ovest a est. È notte, da dietro il pullman qualcuno ha fame ed estrae dalle borse di nylon il pane e il salame che viene dalla Moldavia e quei sapori amici fanno venire il buon umore alle badanti vicentine. Gli uomini di Sergey intanto ridono, raccontano di viaggi lunghi e dormono a turno. Gheorghe non ha sonno: «Siamo duri come beton». Tre sono davanti e bevono vodka come fosse aranciata, due riposano in fondo sui pacchi, avvolti nelle coperte. Nicolai ha preso il testimone, toccherà a lui condurre i passeggeri fino alla dogana ungherese. Dopo una notte passata a guardare al di là del finestrino, cercando la via per dormire, si arriva alla frontiera che divide l’Europa. Quella dell’Ungheria. Sono le 6,15 e la tensione sale. Tutti, dentro il pullman hanno qualcosa da temere, qualcosa da nascondere. Visti scaduti, documenti irregolari, materiale difficile da far passare. Ma la banda è tranquilla. Sasha si alza, va in ufficio, parla con gli agenti per qualche minuto e poi via, si parte. Nessun controllo salvo quello di rito del passaporto. Sasha sa come fare. Ungheria, fuori le verdi colline, dentro la stanchezza che sale piano, piano dopo una notte passata svegli. La musica va, tocca ad Al Bano a portare il sorriso, i corrieri si passano la birra, sigarette e tozzi di pane. Olga, ex insegnante di letteratura, oggi fa le pulizie per una cooperativa thienese per 800 euro al mese guarda fuori e sussurra: «Italia tanto bellissima, qui no bello come Italia». Il pullman prosegue verso est e a Cegled inizia la strada normale, arterie in mezzo alle campagne strette e pericolose. Ma il Mercedes va come un treno, quella strada l’ha attraversata chissà quante volte. È sera e si giunge alla frontiera rumena. La tensione cala, come se fosse più facile passare. Sasha, il contabile, è pronto, prende dei soldi da una busta e si dirige verso l’ufficio della dogana, un agente sale sul pullman, un controllo veloce, prima di prendere la strada più temuta. Quella delle colline dei Carpazi. C’è tempo per una zuppa la Chorba, prima di affrontare la notte. Poi il viaggio ricomincia. C’è da attraversare la Romania. Sergey e i suoi parlottano, sanno che nella notte può capitare che dei predoni escano dai boschi e rapinino il pullman. La notte passa sulle note dei valzer russi. La Moldova è vicina, il confine arriva puntuale come il gesto di Sasha che queste dogane le conosce come la sua casa. Chisinau è a soli 100 chilometri. In pullman è festa, si mangiano placinte e si beve birra, dalle borse escono foto di figli e mariti che le badanti baciano come fossero lì.