In viaggio dalla Moldavia
di Eugenio Marzotto
inviato in Moldova
Sergey è il capo, ha 37 anni e un passato da ferroviere. Gestisce una banda di cinque persone e ognuno sa cosa fare.
Per i moldavi questi uomini sono quasi eroi, brava gente che li aiuta a venire in Italia e trasferire pacchi e soldi da ovest ad est.
Due settimane fa ne sono morti tre, corrieri che viaggiavano in pullman da Chisinau, destinazione Padova, Vicenza e Brescia, il sonno li ha traditi e sono finiti in un burrone austriaco insieme ad altre 29 persone, uomini, donne e bambini che ritornavano nella loro seconda casa.
Sergey organizza le tratte da Vicenza alla capitale moldava, tre viaggi a settimana, decine di connazionali che ritornano o arrivano per la prima volta nel paese in cui tutto deve ricominciare, lasciandosi alle spalle famiglia e miseria.
L’appuntamento è in un autogrill di Vicenza Est, lì, arrivano i furgoni carichi di pacchi e lavoratori che gungono dalla provincia e dal nord Italia. Alle 19 spunta il pullman, un Mercedes del ’98 da un milione e mezzo di chilometri, carico di abiti, scarpe, giocattoli, bici, elettrodomestici, portatili e qualunque altra cosa serva alle case e alla gente moldava.
È l’ora, Sergey chiama a raccolta i suoi. Sasha, il contabile, un ragazzo magro dalle braccia lunghe, Pavel, uno degli autisti, ventre grosso e occhiali neri, Vitalii, faccia da buono e mani da meccanico, Nicolai altro autista dagli occhi di ghiaccio e poi Gheorghe il più anziano, ex poliziotto, braghe corte e poche parole.
Sul pullman venti passeggeri, dodici donne, cinque uomini e tre bambini, tra loro Viktor, sette anni, padre bulgaro e madre moldava, torna in patria per trovare la nonna e non si lamenterà mai.
Il resto del pullman è carico di pacchi e valigie, dietro è attaccato un rimorchio, in tutto oltre 60 quintali di materiale che transiterà per 2.200 chilometri.
La banda ha fretta, il carico è in ritardo e sulle strade che portano in Austria si scivola via veloci, sorpassando tir e corriere turistiche. Gheorghe, tira fuori da sotto il sedile il “gasolo”, una miscela alcolica fatta di vodka e coca cola russa, le mani sudate passano le bottiglie di bocca in bocca prima di fumare sigarette di importazione.
Sergey è al volante come un timoniere della speranza e attacca la musica che non si fermerà mai più. E mentre il rock balcanico rimbomba nel pullman, le donne tentano di dormire in postazioni strette che hanno l’odore della benzina che sale dal motore.
Slovenia, poi Austria, nell’autostrada sfrecciano decine di furgoni e pullman con targhe rumene, russe, ucraine e moldave. C’è il tempo per fermarsi, per bere qualcosa, per asciugare il sudore e rinfrescarsi prima di continuare l’attraversata da ovest a est.
È notte, da dietro il pullman qualcuno ha fame ed estrae dalle borse di nylon il pane e il salame che viene dalla Moldavia e quei sapori amici fanno venire il buon umore alle badanti vicentine.
Gli uomini di Sergey intanto ridono, raccontano di viaggi lunghi e dormono a turno. Gheorghe non ha sonno: «Siamo duri come beton».
Tre sono davanti e bevono vodka come fosse aranciata, due riposano in fondo sui pacchi, avvolti nelle coperte. Nicolai ha preso il testimone, toccherà a lui condurre i passeggeri fino alla dogana ungherese. Dopo una notte passata a guardare al di là del finestrino, cercando la via per dormire, si arriva alla frontiera che divide l’Europa. Quella dell’Ungheria. Sono le 6,15 e la tensione sale. Tutti, dentro il pullman hanno qualcosa da temere, qualcosa da nascondere. Visti scaduti, documenti irregolari, materiale difficile da far passare. Ma la banda è tranquilla.
Sasha si alza, va in ufficio, parla con gli agenti per qualche minuto e poi via, si parte. Nessun controllo salvo quello di rito del passaporto. Sasha sa come fare.
Ungheria, fuori le verdi colline, dentro la stanchezza che sale piano, piano dopo una notte passata svegli. La musica va, tocca ad Al Bano a portare il sorriso, i corrieri si passano la birra, sigarette e tozzi di pane. Olga, ex insegnante di letteratura, oggi fa le pulizie per una cooperativa thienese per 800 euro al mese guarda fuori e sussurra: «Italia tanto bellissima, qui no bello come Italia».
Il pullman prosegue verso est e a Cegled inizia la strada normale, arterie in mezzo alle campagne strette e pericolose. Ma il Mercedes va come un treno, quella strada l’ha attraversata chissà quante volte.
È sera e si giunge alla frontiera rumena. La tensione cala, come se fosse più facile passare.
Sasha, il contabile, è pronto, prende dei soldi da una busta e si dirige verso l’ufficio della dogana, un agente sale sul pullman, un controllo veloce, prima di prendere la strada più temuta. Quella delle colline dei Carpazi.
C’è tempo per una zuppa la Chorba, prima di affrontare la notte. Poi il viaggio ricomincia. C’è da attraversare la Romania. Sergey e i suoi parlottano, sanno che nella notte può capitare che dei predoni escano dai boschi e rapinino il pullman.
La notte passa sulle note dei valzer russi. La Moldova è vicina, il confine arriva puntuale come il gesto di Sasha che queste dogane le conosce come la sua casa. Chisinau è a soli 100 chilometri. In pullman è festa, si mangiano placinte e si beve birra, dalle borse escono foto di figli e mariti che le badanti baciano come fossero lì.