04 GIUGNO 2006

An: «Centro giovanile all’ex macello È prioritario rispetto al parcheggio»
Il Coespu, nato su iniziativa del G8, ora sta ottenendo il marchio dell’Onu
In manette militare Usa, denunciata la collega. Giovane gravissima, ferita un’amica
2 giugno: i Ds chiedono a Sarracco di dimettersi
Stranieri raddoppiati in 5 anni

Urbanistica calda. Ieri il presidio in viale Giuriolo per chiedere la riqualificazione dell’area
An: «Centro giovanile all’ex macello È prioritario rispetto al parcheggio»
Il partito si divide sul progetto e Cicero allora accelera: il park sarà discusso il 13 giugno

di Federico Ballardin

Guerra all’interno di Alleanza Nazionale sulla destinazione dell’ex macello, vicino a piazza Matteotti, proprio all’inizio di un mese decisivo per l’urbanistica vicentina. I militanti di Azione Giovani di An ieri sono tornati alla carica, con presidio nell’area di viale Giuriolo, chiedendo la trasformazione del vecchio e cadente edificio in un centro giovanile. A loro supporto c’era l’onorevole aennista Giorgio Conte, spalleggiato dall’assessore alle politiche giovanili, Arrigo Abalti. Entrambi dicono che il problema del centro giovanile è prioritario anche rispetto al parcheggio che Claudio Cicero, assessore alla mobilità, vorrebbe realizzare proprio nella struttura di viale Giuriolo. A rinforzo giunge anche un comunicato di Elena Donazzan, assessore regionale di An. «È solo una provocazione per tornare a parlare del centro giovanile - smorza Cicero -. Prima di ogni discussione sull’area, e sono fermo nel dirlo, il consiglio comunale si deve pronunciare sul progetto per la realizzazione del parcheggio. Se dovesse essere bocciato allora la proposta di Azione Giovani potrebbe essere presa in esame. Questa è la posizione dell’amministrazione, ma, mi sento di dire, anche di Alleanza Nazionale». L’iniziativa di ieri, se vista con un po’ di malizia, poteva essere invece interpretata come uno sgambetto a Cicero, visto che il suo progetto sembra aver destato dubbi nella maggioranza, in particolare nella Lega, che ha bloccato da qualche tempo la discussione sul project financing. Ecco perché, visto l’andazzo, l’assessore ha alzato subito il telefono riuscendo a far inserire la discussione sul parcheggio all’ex macello per il consiglio di martedì 13 giugno dove sarà il punto numero uno all’ordine del giorno. Insomma, l’assessore, usando un termine del poker, va a “vedere” per capire se il parcheggio passerà in consiglio. Tornando all’iniziativa di ieri organizzata dai giovani di An, fa seguito alla denuncia del consigliere di An, Francesco Rucco, che aveva evidenziato durante un sopralluogo la situazione di degrado di un edificio proprio adiacente a piazza Matteotti, da poco riqualificata grazie al restauro del museo. Nel primo pomeriggio i militanti di Azione Giovani hanno appeso uno striscione lungo il muro dell’ex macello, per sollevare nuovamente il problema degli spazi giovanili. «Vorremmo un centro aperto a tutti - ha sottolineato Alberto Rauli, presidente di Ag - senza discriminazioni politiche. La politica potrà certo entrare nell’attività del centro, attraverso discussioni e convegni, ma non essere motivo di discriminazione come avviene nei centri sociali. Vogliamo un centro con laboratori teatrali, corsi di aggiornamento professionale, attività culturali, artistiche e ludiche. Abbiamo avviato un discorso con le massime cariche per cercare di adottare un progetto comune. Noi abbiamo individuato l’area dell’ex macello ma potrà essere anche un’altra, visto che in città gli edifici in disuso sono molteplici». Poi però quelle affermazioni di Conte e Abalti che hanno evidenziato come il centro giovanile sia più urgente rispetto al parcheggio. Conte, infine, ha gettato una manciata di pepe sulla discussione chiamando in causa la giunta ma, in particolare, il sindaco Hüllweck: «C’è chi non ha fatto abbastanza per individuare aree idonee al centro giovanile - ha detto - e mi riferisco in particolare all’area della Rocchetta, alla quale la soprintendenza ha messo il vincolo proprio dopo che c’era stata la richiesta dell’edificio per realizzarvi il centro. La Giunta, e l’urbanistica, non ha creduto fino in fondo a quel progetto, non riuscendo ad impedire il vincolo. Qualcuno se n’è lavato le mani ed è chiaro dunque che i giovani ora cerchino soluzioni alternative». Il riferimento al primo cittadino, tramite la dirigente dell’urbanistica, è quasi esplicito.


È qui la scuola mondiale di pacificazione
Il Coespu, nato su iniziativa del G8, ora sta ottenendo il marchio dell’Onu

di Diego Neri

Dai carabinieri a scuola di pace. Il Centro di eccellenza per le stability police units (Coespu) di Vicenza si presenta come una struttura unica su scala mondiale per l’addestramento dei funzionari di polizia dei paesi in via di sviluppo, con lo scopo di formarli a prevenire e gestire le situazioni di rischio dopo l’azione di controllo delle forze internazionali. In questi giorni sono in pieno svolgimento due dei tanti corsi organizzati da quando, alla fine dello scorso anno, il Coespu ha iniziato la sua attività nella caserma “Chinotto” di via Medici, dove aveva sede la Scuola allievi brigadieri dei carabinieri. Una quarantina di ufficiali di primo livello e un centinaio di sottufficiali provenienti da Giordania, India, Marocco, Kenya, Camerun e Senegal sono a lezione di diritto umanitario (come si trattano i prigionieri, come si tratta la Croce rossa, ecc), diritto internazionale, dottrina militare e impiego tattico. Quest’ultimo insegnamento prevede lezioni su controllo del territorio, gestione delle pattuglie, ordine pubblico, arresti a rischio, scorte, check point, sicurezza delle carceri o controllo dei confini. I sottufficiali inoltre seguono corsi addestrativi che prevedono lezioni in palestra o esercitazioni nel piazzale del complesso, che ospita anche la Gendarmeria europea. Non solo: per altre attività esterne vengono accompagnati a Laives e Gorizia, nelle sedi del 7° e 13° reggimento dei carabinieri, dove svolgono l’addestramento con i militari. A scuola gli ufficiali ci vanno dal lunedì al venerdì; la sera e il fine settimana sono liberi di girare per Vicenza, e pare che la nostra città piaccia non poco a chi arriva dall’Africa o dalla lontana India. I corsi vicentini durano dalle 5 alle 7 settimane - ed hanno per insegnanti carabinieri o docenti universitari di vari atenei; le lezioni si tengono in inglese, ma si sta lavorando anche per i corsi in francese - e si concludono con l’assegnazione di un certificato, che abilita i partecipanti all’impiego Onu. Se il Coespu era partito come un’iniziativa del G8, con un robusto finanziamento degli Stati Uniti che rende autonomo il Centro dal punto di vista economico, ora è arrivato anche un riscontro ufficioso dell’Onu. Il Coespu resta comunque un comando tutto italiano, aperto a contributi esterni: il vicedirettore di via Medici, pur svincolato dalla linea di comando, è un ufficiale americano, e altri contributi sono stati offerti da Francia e Canada. Ma soprattutto numerose richieste - una trentina - sono state avanzate dai paesi di mezzo mondo per mandare i loro ufficiali a scuola a Vicenza. I tempi di accettazione, stabiliti dal corpo diplomatico dei paesi del G8, sono però lunghi, anche se non è escluso che qualche ufficiale dai nuovi stati arrivi in città per l’autunno. Il modello su cui formare i poliziotti stranieri è quello dei carabinieri italiani. Ed è, tengono a precisare i vertici del Centro, un modello di pace, al contrario di quanto sostengono i detrattori. Gli stessi militari italiani, peraltro, non si limitano a formare gli ufficiali stranieri a Vicenza, ma li seguono anche al loro rientro. Sta infatti per partire un portale internet di insegnamento on-line, con domande e risposte via web, ed inoltre il Coespu sta costituendo delle squadre di assistenza mobile, i Mobile-team, per aiutare i loro studenti direttamente sul campo. Il progetto è quello di agevolare la fase di transizione - dopo un conflitto, ad esempio - fino a quando la polizia nazionale riesce a gestire l’ordine pubblico. In quella fase, infatti, emergono pericoli concreti, che vanno dal terrorismo alla criminalità organizzata. «Bloccando traffico di armi, droga o clandestini - ricorda Leso - nei Balcani abbiamo svolto un’attività di polizia preventiva, utile anche per il nostro Paese».

Il comandante gen. Leso
«I carabinieri in Iraq e altrove ricostruiscono la sicurezza»

(d. n.) Veronese, 58 anni, il generale di brigata Leonardo Leso (nella foto) è un ufficiale di spicco dell’Arma dei carabinieri. Impegnato in prima persona nelle missioni di pace in Bosnia e Kosovo (è stato tra i fondatori delle Msu), è uno dei pochi ufficiali italiani insigniti della “legion of merit Usa”, l’onorificenza più alta “non combat” degli Stati Uniti. È stato comandante del primo reggimento carabinieri paracadutisti “Tuscania” e in seguito della seconda brigata mobile di Livorno. Da qualche mese ha assunto il ruolo di direttore del Centro di eccellenza di Vicenza prendendo il posto del generale Pistolese. È soddisfatto del lavoro svolto finora, ma ha in animo una serie di iniziative per potenziare la struttura.
- Generale, a cosa punta il Coespu?
«Ad esportare il modello operativo dei carabinieri nel mondo. Questo modello è stato apprezzato, finora, ovunque l’Arma ha operato, poiché si basa, sia per motivi umanitari che operativi, sulla ricerca del consenso. Evitare gli scontri in terre difficili, coinvolgendo le forze locali, è una sfida impegnativa ma necessaria. Se non cerchiamo l’accordo fra le parti e con la gente che andiamo ad aiutare, le missioni sono un fallimento».
- Che valutazione dà dell’impegno italiano in Iraq, di cui molto si dibatte in queste settimane?
«In Iraq abbiamo sostituito prima e coadiuvato poi, addestrandole, le forze di polizia locali. In questi anni i carabinieri hanno formato almeno 10 mila unità irachene. Questa attività ci viene ancora sollecitata dai politici e amministratori locali. In merito alla missione, quello dei carabinieri è stato un intervento di pacificazione. È chiaro che scopi e metodi non vanno comunque confusi».
- Ma per insegnare a ufficiali che arrivano da paesi lontani questo modello bastano un paio di mesi?
«I nostri corsi sono intensivi, con lezioni teoriche e pratiche. E poi stiamo lavorando per interagire con chi ha frequentato il Coespu, grazie a internet e ai Mobile-team, che partiranno dal 2007. Il progetto è a lunga durata: entro il 2010 noi formeremo circa 3 mila ufficiali, dotati di un certificato che li abilita alle missioni Onu, e loro possono esplicare quanto appreso ai loro uomini in patria».
- Ma con che costi? La spesa pubblica è una questione scottante.
«Posso dire che il Coespu non è certo una struttura costosa. Ad ogni modo, il Centro è finanziato dai paesi del G8, Stati Uniti in primis. L’Italia e i carabinieri offrono la struttura e la logistica, senza dire che tali attività la formazione degli ufficiali in maniera indiretta agevolano anche la sicurezza interna del nostro paese».
- Parte del mondo politico critica l’impegno militare all’estero bollandolo come “missioni di guerra”. I no global più volte l’hanno contestato, anche a Vicenza.
«In democrazia le contestazioni sono legittime, anche se dovrebbero essere motivate. Io credo che i carabinieri all’estero svolgano soprattutto un ruolo di ricostruzione delle strutture di sicurezza e di ripristino della legalità. Noi lavoriamo per far prosperare la pace, per fare in modo, anche con i corsi del Coespu, che le forze di sicurezza siano credibili, efficaci ma soprattutto educate al rispetto dei diritti umani. Che sia chiaro, qui e in missione non insegniamo a fare la guerra, ma cerchiamo di riportare legalità e giustizia. Chi dice il contrario mistifica la realtà. È questa la nostra logica, una logica di pace e non di guerra».

Preghiere e cibi per tutti e passeggiate in centro
Oltre al Palladio gli ospiti apprezzano Venezia e Verona e in caserma hanno una sala dedicata alle varie religioni

Arrivano da paesi lontani, impiegano qualche giorno per ambientarsi ma poi, assicurano, Vicenza entra loro nel cuore. I partecipanti dei corsi del Coespu costituiscono figure singolari per molti vicentini: quei turbanti sopra le divise creano sorpresa, ma facilitano l’integrazione. Agli ufficiali che prendono parte ai corsi alla Chinotto vengono consegnati dei permessi di soggiorno per motivi di studio. Ma il Coespu, per integrarli al meglio, ha escogitato una serie di accorgimenti. Primo fra tutti organizzano delle gite per far conoscere il Veneto: oltre a guidare gli stranieri a scoprire le bellezze del Palladio (non è infrequente incontrare i frequentanti in centro, la sera), il sabato e la domenica li portano a Venezia o a Verona. Non solo. All’interno della “Chinotto” è stata realizzata, oltre alla cappella del culto cattolico, anche una sala di preghiera per le altre religioni, perché a Vicenza si danno appuntamento poliziotti musulmani, induisti o ortodossi. Anche la mensa è studiata su misura, con la possibilità di pranzare con piatti esclusivamente vegetariani. Ieri, ad esempio, il menù prevedeva pasta o riso e di secondo molti legumi, insalata e della carne. In futuro, assicurano i responsabili, si tenterà anche di preparare delle cene secondo i costumi dei partecipanti, istruendo adeguatamente i cuochi.

Formazione forze di pace. L’organizzazione del Coespu
Corsi di medio e alto livello guidati da docenti dei Cc
Il primo dei tanti seminari attivati è iniziato lo scorso novembre

Il primo corso del “Centre of excellence for stability police units” (Coespu), il centro di formazione di forze di pace sul modello dei carabinieri italiani, era partito nel novembre scorso. Da allora la struttura diretta dal generale Leonardo Leso ha organizzato vari corsi di medio e alto livello, a seconda del grado dei partecipanti. Il vice di Leso è un ufficiale americano, mentre il capo di stato maggiore è il tenente colonnello Lucio Cattarinussi. Il comando è poi suddiviso in due strutture: il dipartimento studi, che vede a capo il colonnello Fausto Rossi, e il reparto addestramento, guidato dal tenente colonnello Vignola, che si occupa della gestione. Gli insegnanti sono in parte carabinieri, in altra docenti universitari che arrivano da vari paesi, in particolare da quelli del G8. D’altronde il progetto era stato promosso dalla Farnesina e dalla Difesa italiana in collaborazione con gli Stati Uniti, ed ha avuto fin dall’origine un particolare significato nel quadro delle attività del G8 a sostegno della pace e della sicurezza nel mondo. L’iniziativa era stata lanciata in occasione del vertice G8 di Sea Island (giugno 2004), dove l’allora presidente del consiglio Silvio Berlusconi presentò, congiuntamente con il presidente Bush, un piano d’azione, denominato «Expanding global capability for peace support operations», di cui il Coespu era elemento qualificante. Il piano di azione del G8 era finalizzato al rafforzamento delle forze di pace su scala mondiale, in primo luogo attraverso la formazione e l’addestramento di peacekeepers.


Fugge dopo lo schianto che sveglia la città
In manette militare Usa, denunciata la collega. Giovane gravissima, ferita un’amica

di Diego Neri

Un botto tremendo, talmente forte da svegliare decine di persone. Nello schianto, due giovani restano incastrate fra le lamiere della loro macchina. A fatica i vigili del fuoco riescono a liberarle e ad affidarle alle cure dei medici del Suem che le trasferiscono di corsa in ospedale. Una lotta fra la vita e la morte, l’altra ha subito botte e fratture. Il giovane che ha provocato l’incidente scappa con l’aiuto di un’amica, e qualche ora dopo i carabinieri li rintracciano e lo arrestano. Lei viene denunciata per favoreggiamento. Non è accaduto in California ma a Bertesinella. In California, poiché tutti i protagonisti sono americani che lavorano alla caserma Ederle, sia le giovani ferite che i due indagati. Sono le 3.40 quando, in base ad una prima ricostruzione, Jacob Dines, 23 anni, originario di Sacramento e militare di stanza alla base americana, residente a Costabissara in via Rodolfi 17, esce al volante di una Honda Accord dal parcheggio della farmacia di Bertesinella, immettendosi in strada Ca’ Balbi diretto verso il centro città. In quel momento stava arrivando, in direzione Marola, l’Alfa 155 guidata dalla connazionale Sandra Willie, 24 anni, che lavora come impiegata civile alla Ederle. A fianco aveva l’amica Cristina Salas, 21 anni. La conducente, che procedeva a velocità sostenuta, ha visto la Honda uscire dal posteggio e ha frenato bruscamente. Gli oltre 30 metri di frenata non sono bastati ad evitare l’impatto quasi frontale, che è stato violentissimo. L’Alfa si è accartocciata su se stessa, e le due giovani sono rimaste incastrate. Molti residenti hanno avvertito lo scontro («come se fosse scoppiata una bomba», hanno riferito) e, scesi in strada, hanno dato l’allarme al 118. A Bertesinella sono arrivate due ambulanze del Suem con i vigili del fuoco: mentre Salas urlava dal dolore, Willie aveva perso i sensi. I pompieri le hanno liberate e Sandra è stata trasportata, intubata, d’urgenza in ospedale. Ha subito un grave trauma cranico ed è stata operata in mattinata. È ricoverata in rianimazione e lotta fra la vita e la morte. Cristina, invece, ha subito ferite meno serie. Nel frattempo, mentre sono giunte in strada Ca’ Balbi le pattuglie dei carabinieri della Setaf, Dines - leggermente ferito - ha deciso di scappare. Dietro di lui c’era l’amica Angela Denise David, 29 anni, militare Usa che vive a Camisano. In base a quanto ricostruito dai militari del tenente colonnello Fortunato Spolaore, Dines è salito sulla Golf dell’amica e si è dileguato; secondo alcuni testimoni, sarebbe tornato sul luogo dell’incidente e avrebbe preso qualcosa dalla sua macchina e quindi sarebbe definitivamente andato via. I carabinieri non hanno impiegato molto a capire chi fosse e dove fosse scappato. A casa a Costabissara non c’era; verso le 7 hanno raggiunto l’abitazione di David a Camisano e lo hanno bloccato. Hanno informato il pm Paolo Pecori, lo hanno piantonato in ospedale dove è stato medicato per qualche ferita e quindi lo hanno accompagnato in carcere. È accusato di omissione di soccorso, fuga e lesioni gravi. La sua amica è stata denunciata per favoreggiamento.


Ancora scontro dopo la fuoriuscita di An per protestare contro le parole dell’oratore, il senatore Gui
2 giugno: i Ds chiedono a Sarracco di dimettersi

(g. m. m.) Non si spegne l’incendio polemico innescato sul palco del 2 giugno. La fuoriuscita dello stato maggiore di Alleanza nazionale era stata decisa in segno di protesta per l’orazione del sen. Luigi Gui, che ha definito la repubblica di Salò «una vergogna». Di fronte a quel gesto la piazza si è divisa fra chi solidarizza e chi se la prende con i quattro aennisti: l’on. Giorgio Conte, l’assessore regionale Elena Donazzan, il vicesindaco Valerio Sorrentino e il presidente del consiglio comunale Sante Sarracco. La prima mossa è un documento messo agli atti dal consigliere di An Francesco Rucco, che interroga la Giunta per sapere chi ha scelto l’oratore e «se non fosse il caso di affidare l’intervento principale a una figura realmente al di sopra delle parti, cercando di evitare strumentalizzazioni politiche della festa della Repubblica». Rucco fa riferimento al «rispetto per i famigliari di alcuni parenti di caduti della repubblica di Salò presenti alla cerimonia». Ben altri toni quelli usati dal capogruppo dei Democratici di sinistra Luigi Poletto, che chiede le dimissioni del presidente Sarracco: «Si è trattato di un comportamento eversivo. Non riconoscere il valore fondativo della Resistenza e che l'albero della Repubblica ha le sue radici nel terreno della Liberazione significa per un partito politico negare la sostanza stessa della democrazia. Conte & c. hanno sfregiato la democrazia repubblicana». Poi affila le armi del sarcasmo: «Ma il fascismo non era stato definito da Gianfranco Fini come “male assoluto”? Come non definire con altrettanta recisa inappellabile riprovazione l'esperienza drammatica della Repubblica sociale italiana, pur in un contesto di rispetto per tutti i morti ma senza inaccettabili parificazioni nel giudizio storico e politico?». Infine, l’attacco a Sarracco: «Gravissimo e inaccettabile il comportamento di Saracco. È uomo di parte, ma svolge un ruolo e una funzione di garanzia. Dopo quello che ha fatto ieri non è più credibile come presidente di tutti. Inevitabili le sue dimissioni». Il giorno dopo, torna sull’accaduto anche uno dei protagonisti, l’on. Conte, che afferma: «Qualcuno, come Giulio Vescovi, vorrebbe le scuse. A differenza di Vescovi, però, io non ho urlato, ma me ne sono andato in silenzio, manifestando democraticamente il mio dissenso. O forse si vuole una democrazia a senso unico, in cui tutti la pensano allo stesso modo? In questo momento politico, in cui il clima è teso, chi ha un microfono in mano ha il dovere di dire parole condivise, di rasserenare gli animi. Dovremmo lavorare su messaggi di apertura e tolleranza, non inasprire vecchie polemiche e aprire ferite non ancora sopite». Nel dibattito si inserisce anche l’Unuci, l’unione nazionale ufficiali in congedo, che interviene con il vicepresidente Guido Stocchiero, che parla di «festa da dimenticare, perché, come succede purtroppo in tante feste arriva ad un certo punto il guastafeste». Stocchiero si riferisce al senatore Gui: «Perché, allora, sen. Gui, non ha riflettuto prima di aprire inutilmente e stupidamente vecchie ferite che lentamente si stanno rimarginando? Ricordare non vuol dire offendere, ricordare vuol dire fare tesoro anche degli errori e delle tragedie del passato per non ripeterle più, ricordare vuol dire ritrovarsi insieme per festeggiare le cose che uniscono non gridare quelle che dividono».


Scuola. L’onda lunga degli alunni immigrati è più sensibile nelle materne e nelle elementari
Stranieri raddoppiati in 5 anni
La tendenza è di aumento costante Ci si avvia a superare il 10 per cento

di Salvatore Nigro

Nelle scuole statali vicentine gli alunni stranieri in un quinquennio sono quasi raddoppiati e la tendenza conferma una crescita costante, avviandosi con rapidità a superare il dieci per cento di media. Tra le varie fasce d'istruzione l'onda lunga degli alunni immigrati è più sensibile nella materna con oltre mille bambini; non sono da meno le elementari che da 2.580 unità sono passate a circa 4.300 quest'anno; nelle medie inferiori sono quasi raddoppiati attestandosi a 2.360 ragazzi; nelle superiori l'incremento percentuale è stato maggiore: erano 524 iscritti cinque anni fa, quest'anno sono quasi 1.400. Ma come si sono attrezzate le scuole vicentine per far fronte a questa crescente presenza di alunni non italiani? «Arrivano in tutti i mesi dell'anno - afferma Angelo Turato, dirigente del comprensivo di Marola, con 88 alunni non italiani su un totale di 695 iscritti - e la scuola non li può certo rifiutare. Il nostro istituto, negli ultimi anni, ha subito tagli spaventosi al bilancio e non è in grado di far fronte ai nuovi arrivi in modo efficace. Alle famiglie dei nostri ragazzi ogni anno chiediamo un contributo di 25 euro per far fronte alle numerose necessità connesse all'attività didattica, figurarsi se possono bastare per promuovere valide iniziative di accoglienza, di assistenza e di formazione dei ragazzi provenienti da altri Stati. Quando le risorse mancano si rischia di ridurre tali alunni in un parcheggio scolastico che scontenta un po’ tutti, anche i famigliari dei nostri alunni preoccupati per l'apprendimento dei figli». «Non abbiamo problemi d'inserimento - dice Pierluigi Lovo, dirigente del comprensivo di Costabissara, con 43 alunni non italiani su un totale di 736 - ma di didattica. Nella materna e nel primo biennio delle elementari va tutto normale ma dalla terza elementare in poi incominciano a sorgere le prime difficoltà, legate alla lingua italiana. Ad ogni arrivo, in tutti i momenti dell'anno, bisogna approntare degli interventi di alfabetizzazione e facilitare un inserimento nella classe con relativa socializzazione. Le difficoltà maggiori si hanno con i nuovi ingressi e nelle ultime classi delle medie quando i programmi degli altri alunni sono a buon punto e rischiano di essere, in qualche modo, rallentati. Un altro nostro problema riguarda i cosiddetti mediatori culturali: sono reperibili quelli di lingua europea, ma quasi impossibile trovarne di lingua orientale. Per risolvere, almeno in parte, le nostre difficoltà di ordine economico, tuttora insufficienti, facciamo affidamento sulle risorse fornite dal Comune». Nell'istituto comprensivo di Villaverla si contano 78 alunni stranieri su un totale di circa 900, distribuiti tra materne, elementari e media inferiore. «Come nella maggior parte degli istituti vicentini - sostiene il dirigente Antonino Formica - il problema principale resta sempre l'arrivo di questi ragazzi privi di due elementi: la conoscenza minima della nostra lingua e nessuna traccia di scolarità pregressa. Da ciò l'interrogativo iniziale: in quali classi inserirli subito? Per ridurre al minimo il disagio di tutti seguiamo un protocollo d'istituto che prevede alcuni passaggi: li inseriamo in una classe iniziale inferiore a quella prevista per la loro età e nel frattempo raccogliamo tutta la documentazione possibile che li riguarda. Dopo un periodo di osservazione e di verifiche culturali, della durata di un paio di settimane, una commissione, composta dal dirigente e dai professori che li hanno avuti in osservazione, li assegna nella loro classe definitiva e di competenza. Seguono interventi di supporto curriculari perché il loro inserimento sia il più rapido ed efficace possibile. Con le altre scuole del territorio circostante Villaverla - conclude Formica - ci teniamo il più possibile in contatto anche per concretizzare il progetto “Le radici e le ali”, nato e sviluppatosi proprio per aiutare questi ragazzi a volare con e tra noi».