03 NOVEMBRE 2006

QUINTO VIC.Villaggio Usa, la firma è vicina
Referendum sul Dal Molin Al lavoro i “cinque saggi”
SCHIO.Sindaci uniti ma non troppo

La zona residenziale per le famiglie dei militari dovrebbe nascere a Quinto, la decisione del Comune entro il 1° dicembre
Villaggio Usa, la firma è vicina
Accordo fatto tra la Setaf e la ditta Pizzarotti per costruire 200 case

di Marino Smiderle

Comunque vada a finire la questione-Dal Molin, gli americani resteranno a Vicenza per un altro bel po' di anni. Non si può leggere diversamente l'accordo raggiunto in questi giorni tra la Setaf e l'impresa edile Pizzarotti di Parma, per la realizzazione del secondo villaggio Usa dalle parti di Quinto Vicentino. O forse un'altra chiave di lettura c'è e ha a che fare con l'esito del pronunciamento dell'ultimo Consiglio comunale di Vicenza, che di fatto ha spianato la strada all'autorizzazione per trasformare il Dal Molin in una succursale di camp Ederle. Steve Lindell, responsabile della Divisione infrastrutture dell'U.S. Army Garrison di Vicenza, ha spiegato però al quotidiano Stars & Stripes che l'intesa siglata con la Pizzarotti non è collegata con l'allargamento del contingente americano: «Sono diversi anni che portiamo avanti questo progetto - ha chiarito - che non può quindi essere collegato con il possibile dislocamento di nuove truppe all'aeroporto Dal Molin. Semplicemente, c'era una domanda di alloggi che non poteva più essere soddisfatta dalla comunità locale e per questo abbiamo studiato la soluzione del build-to-lease». Effettivamente la richiesta di alloggi da parte dei soldati americani e delle rispettive famiglie da tempo ha raggiunto livelli considerevoli, ritenuti non soddisfabili dalla corrente situazione del mercato immobiliare vicentino. Di fronte alla forte domanda, lo zio Sam ha pensato di fare per l'esercito quello che era già stato fatto per la Marina a Napoli e per l'Air Force ad Aviano: commissionare un complesso residenziale a una ditta italiana e, anziché comprarlo direttamente, garantire al costruttore un certo numero di anni di affitto. Una sorta di leasing immobiliare che ha dato buoni risultati altrove e che, per questo, è stata ritenuta una formula applicabile anche per Vicenza. Nel caso del villaggio di Quinto Vicentino si parla di oltre 200 abitazioni, per un contratto iniziale del valore di 50 milioni di dollari. Jim Simpson, responsabile dell'Installation Management Agency-Europe, che ha sede a Vicenza, ha rivelato che la Pizzarotti di Parma è stata scelta tra una gruppo di sei aziende che avevano presentato domanda. Il fatto che questa ditta abbia già realizzato progetti simili per gli Usa (a Napoli, Sigonella e ad Aviano, oltre che le due palazzine alloggi costruite all'interno della Ederle) ha ovviamente influito sulla scelta finale. Peraltro, dopo gli accordi con Marina e Aviazione, questa è la prima volta che in Italia si raggiunge un accordo del tipo build-to-lease con L'Esercito. L'inizio dei lavori è previsto per dicembre 2007, mentre le prime strutture saranno consegnate agli Usa nel luglio 2009. Il secondo gruppo di alloggi dovrebbe essere terminato per novembre 2009, con conclusione definitiva prevista per maggio 2010. «Fino all'effettiva consegna delle abitazioni - ha rivelato Simpson a Stars & Stripes - noi non pagheremmo alcunché». Una volta consegnate le chiavi, però, il Dipartimento della Difesa Usa si è impegnato a pagare un canone annuale di 5 milioni di dollari per una durata iniziale di 10 anni. Scaduto il primo termine, gli Usa avranno quattro opzioni di rinnovo valide cinque anni ciascuna (per un periodo potenziale, quindi, di ulteriori vent'anni). Dal punto di vista delle caratteristiche tecniche, più di metà delle nuove case avrà tre camere, un terzo ne avrà quattro, mentre circa 25 abitazioni saranno più grandi ancora, con cinque camere a disposizione. Prevista anche la realizzazione di diversi campi da gioco. Restano da definire gli ultimi dettagli urbanistici con le autorità locali. Esperti americani stanno poi rivedendo alcuni accorgimenti progettuali con la Pizzarotti: una volta superati gli ultimi ostacoli burocratici, comincerà la costruzione del secondo villaggio a stelle e strisce di Vicenza. Probabilmente quando già sarà ufficiale la nascita della seconda grande caserma dello zio Sam in terra vicentina.

L’amministrazione di Quinto ha incaricato uno studio di Padova
A Bush il sindaco ha detto “ni” «Aspetto il parere degli esperti»

(al. mo.) Non ha detto sì e non ha detto no. «Perché sono problematiche troppo complesse, io non sono un tecnico e neanche in Comune ce ne sono». Per questo il sindaco di Quinto Secondo Pillan ha affidato l’intera analisi del progetto allo studio Testa di Padova, specialista in amministrazione. Obiettivo: esaminare, calcolare e riferire tutto quello che si deve sapere sulla costruzione del villaggio da 200 abitazioni che i militari Usa vogliono impiantare nel suo paese. «Scrivono che l’accordo è quasi fatto? Io agli americani ho detto solo “discutiamone” - spiega Pillan -. Il contatto l’ho avuto con l’impresa edile di Parma che gli americani hanno incaricato, la Pizzarotti. E che ci ha chiesto di fare qui a Quinto quelle 200 case per circa 800 persone. Ma si tratta di questioni complesse. E finché non avremo sotto mano le procedure legali da seguire, l’entità degli oneri, gli aspetti urbanistici e tutto il resto non possiamo dire nulla». Comunque è questione di settimane: «Fra una decina di giorni intanto dovremmo avere la risposta dallo studio Testa. Che è fondamentale, perché mi devono dire se quell’operazione si può fare oppure no. Io intanto la riserva non l’ho sciolta, e questa è la posizione del consiglio comunale. Poi ditta e militari aspettano la nostra decisione, entro il primo di dicembre». Eppure gli Usa sembrano ottimisti, sulle conclusioni dell’affare-villaggio: alla ditta di Parma daranno 5 milioni di euro l’anno per 10 anni. Con un’opzione di altri 5 anni di affitto. «Comunque non stiamo parlando di istallazioni militari - continua Pillan - ma di una struttura residenziale». Resta da capire quali vantaggi, soldi a parte, ne avrà il Comune di Quinto: «Anche questo vogliamo sapere».


Oggi prima riunione del Comitato degli esperti del Comune
Referendum sul Dal Molin Al lavoro i “cinque saggi”
Sotto esame l’ammissibilità del quesito proposto dai Comitati del No

Si riunisce oggi per la prima volta il Comitato degli Esperti che in Comune deve valutare l’ammissibilità del referendum sulla base Usa al Dal Molin. La convocazione è per le 17 a palazzo Trissino. L’occasione è importante per il presente e il futuro degli "istituti di partecipazione" previsti dallo statuto comunale, ma l’argomento è altamente ostico: non tanto per il contenuto politico, sul quale il Comitato degli esperti non ha titolo a pronunciarsi; ma per la complessità tecnica della situazione. Nessuno può escludere un duellare in punta di fioretto giuridico tra i professionisti eletti dal consiglio comunale per un ruolo di filtro tecnico sulle iniziative dei comitati referendari. Finora si sono pronunciati soltanto una volta, a proposito del "referendum sui referendum" avviato due anni fa e alla fine svoltosi ai primi di settembre. Stavolta hanno un appuntamento anche più difficile: si può dare la parola, e il voto, ai vicentini; o mancano i presupposti legali per farlo? Il quesito. Poche parole condensano tutta la questione: «Sei favorevole alla realizzazione del progetto Usa di costruzione di una nuova base militare nell’area dell’aeroporto Dal Molin di Vicenza?». Il Comitato. Sono cinque gli esperti convocati per decidere: il commercialista Giorgio Tavagna e gli avvocati Alberto Righi, Maria Luisa Bartolini, Antonio Ferretto e Silvano Ciscato, che ha l’incarico di presidente. Parteciperanno alla riunione anche i rappresentanti del comitato promotore. Il parere viene dato a maggioranza, eventualmente dopo aver indicato ai promotori un testo referendario meglio precisato: «Il quesito deve mantenere elementi di evidente chiarezza e cioè deve consentire la piena percezione del contenuto e degli effetti che produrrà il voto» ha spiegato il presidente Ciscato intervistato dal Giornale di Vicenza. L’ammissibilità. Al di là dell’importanza del tema - l’arrivo di una nuova grande caserma per un Combat Team americano che farà base a Vicenza per dislocazioni su uno scacchiere intercontinentale - sarà la norma giuridica a stabilire se la conta tra Sì e No è possibile davvero. Si confronteranno la tesi esposta dal sindaco Enrico Hüllweck sulla "non competenza" del Comune in materia di scelte militari nazionali e internazionali, e quindi sulla non ammissibilità del referendum; e le argomentazioni del comitato promotore sul diritto ad esprimersi dei cittadini elettori. I tempi eventuali. Il Comitato degli Esperti ha tempo fino al 24 novembre per pronunciarsi. In caso di ammissibilità del quesito referendario, il comitato promotore indicherà quando far scattare i 90 giorni per la raccolta delle firme di convalida (con inizio non prima di due mesi e non oltre sei mesi dal "via libera": ma di sicuro, se la possibilità ci sarà, la sottoscrizione avverrà a tamburo battente). In definitiva, la raccolta delle 4 mila firme necessarie partirebbe in gennaio. Procedura e date. Dopo l’eventuale "visto" sulle firme e l’okay ai promotori, il referendum sarebbe convocabile dal sindaco entro altri 30 giorni, per una domenica compresa spostata di ulteriori 2 mesi: precisamente tra il 50. e il 70. giorno dopo l’indizione. In caso di coincidenza elettorale - e nel 2007 si vota per la Provincia - il sindaco può ritardare la data referendaria fino a un massimo di altri 4 mesi.

In Germania primo addestramento “comune” della nuova 173ª brigata
Il Combat team prepara il futuro Un lancio di massa per 700 parà

(al. mo.) Se qualcuno aveva dubbi sulle intenzioni degli americani, si metta il cuore in pace: la 173esima brigata aerotrasportata ora diventata “combat team”, quella che dovrebbe riunirsi nella ipotetica nuova e contestata base del Dal Molin, è in piena attività. E hanno così tanta fretta i militari Usa che qualche giorno fa a Grafenwoehr in Germania qualcosa come 700 soldati si sono lanciati contemporaneamente da otto aerei da trasporto Hercules C-130. E molti indossavano un paracadute per la prima volta. Insomma un vero e proprio lancio di massa per quattro dei sei battaglioni che formano la nuova 173esima brigata. Formata, in buona parte, da militari che prima facevano altro. Come guidare carri armati o sminare terreni. «E questo è solo l’inizio - ha detto il colonnello Chip Preysler, comandante della 173esima che fa base a Vicenza -. Anche perché arrivare a terra sano e salvo è fondamentale per un paracadutista...». Infatti il mega lancio dei 700 parà è solo il primo di una lunga serie di prove e addestramenti che dovranno portare alla costruzione della combat force Usa. Pronta ad intervenire in poche ore in caso di bisogno soprattutto nell’area mediterranea (come hanno spiegato gli esperti militari dell’Us army) ma non solo. Comunque al di là della possibile riunione all’aeroporto Dal Molin l’unica certezza per ora è che gli Usa il loro combat team lo stanno già preparando. Vicenza o non Vicenza.


Sindaci uniti ma non troppo
«Rom e Sinti diventino stanziali», però c’è divisione sul metodo

di Mauro Sartori

I sindaci di Schio, Santorso, Piovene Rocchette, S. Vito di Leguzzano, Malo e Marano riuniti per disinnescare la mina “nomadi”. C’è un accordo sugli intenti ma una sostanziale divisione sul sistema operativo. Si è tenuto ieri sera, nella sede municipale di Santorso, Comune eletto capofila della questione, un incontro preparatorio al vertice di mercoledì prossimo in Prefettura. Già fissato da una ventina di giorni ma diventato incandescente dopo la decisione di Schio di scavare un fossato anti-carovane in zona industriale. Durante il confronto, assai sereno e civile nei toni, non sono mancate le discussioni animate. E non poteva essere altrimenti fra amministratori politicamente schierati in maniera diversa, con i primi cittadini di Malo e Piovene, Antonio Antoniazzi e Maurizio Colman, a difendere posizioni “anti nomadismo” ben più marcate a fronte di, soprattutto nel caso piovenese, ordinanze e trincee che da un anno e mezzo impediscono a qualsiasi carovana di approvare nel territorio comunale. Per il padrone di casa, il sindaco orsiano Pietro Menegozzo, l’incontro è stato positivo, probabilmente al di là di ogni aspettativa, date le premesse: «Andremo davanti al Prefetto con una proposta condivisa, che è quella della sedentarizzazione, l’unica soluzione individuata per garantire un’integrazione sociale dei nomadi nel contesto territoriale. Sui metodi per arrivare a questo obiettivo ci sarà da discutere. È evidente che ci sono posizioni differenti ma mi pare importante sottolineare come il dialogo sia stato sereno e costruttivo». Chi temeva un duro “faccia a faccia” fra chi da anni battaglia su fronti opposti in merito all’integrazione dei nomadi, si è dovuto ricredere. Rimane tuttavia una sostanziale divisione appunto sui modi operativi per tracciare la difficile, ma non impossibile, strada della civile convivenza. Luigi Dalla Via (Schio), Giuliano Rizzato (Marano), Antonio Dalle Rive (S.Vito) e Pietro Menegozzo (Santorso), tutti sindaci di centrosinistra, sono favorevoli all’ipotesi di realizzare piazzole di sosta in grado di ospitare stanzialmente le roulotte degli zingari disposti a seguire la via dell’integrazione. Colman e Antoniazzi, entrambi leghisti e alla guida di maggioranze di centrodestra, sono stati irremovibili: «Nessuna piazzola di sosta nel nostro territorio. O si comprano un alloggio e ci vengono a vivere in maniera continuativa, o non se ne parla proprio». Così uniti nell’obiettivo ma divisi nel metodo, i sei primi cittadini si sono salutati dopo un’ora e mezza di scambi di opinione, dandosi appuntamento fra cinque giorni davanti al Prefetto, dove si tenterà di concretizzare qualche soluzione alla questione che sta facendo tanto discutere nella Penisola intera.

Domani faccia a faccia tra Dalla Via e i Verdi

(m. sar.) La giunta è ancora in piedi. Almeno fino a questa sera. E sicuramente lo rimarrà anche domani. Semmai con qualche piccolo ritocco. Ieri mattina c’era febbrile attesa per quanto sarebbe accaduto nella “stanza dei bottoni” di palazzo Garbin, dov’era previsto un esecutivo con sindaco e assessori. Tutti regolarmente al loro posto, “verde” Lorenzo Baiocchi compreso. Le minacce del partito ambientalista, di lasciare la maggioranza se non si trova rapidamente un rimedio al fossato anti-carovane che sta dividendo, a quanto pare, l’intero Paese, non sono rientrate ma solo messe in “stand by” fino a questa sera, quando ci sarà un faccia a faccia fra sindaco e delegazione dei Verdi. Nessuna assenza di rilievo all’appello di ieri in sala giunta: troppo importante l’argomento all’ordine del giorno. E non si trattava della trincea in zona industriale. «Stiamo lavorando sodo al bilancio di previsione - ammette il sindaco Luigi Dalla Via -. Qui si parla tanto di crisi, di dimissioni ma noi non sappiamo nulla e andiamo avanti per la nostra strada. Per il momento non esiste alcun problema, se non quello di far quadrare i conti per l’esercizio 2007, fra investimenti, entrate ed uscite». E Finanziaria da tenere d’occhio, naturalmente. La resa dei conti, avrete capito, è tutt’altra cosa rispetto a quella prospettata ieri da giornali e tv. Di dimissioni non vuole parlare nemmeno il diretto interessato: «In questo momento non è in discussione la mia presenza o meno in giunta - premette l’assessore alle politiche ambientali Lorenzo Baiocchi -. Come Verdi non vogliamo alcun tipo di fossato, sia ben chiaro. Ma io sono per il dialogo: solo così si risolvono i problemi e le divergenze. Non voglio alimentare ulteriormente le polemiche. Domani ci chiariremo e decideremo cosa fare». Anche da sinistra arriva una smentita su possibili scossoni: «Sarebbe puerile che i Verdi uscissero dalla maggioranza per una decisione che riguarda la legalità e che ci è stata espressamente richiesta dalle forze dell’ordine - commenta il segretario diessino Vasco Bicego -. I temi di confronto politico sono ben altri. Qui si tratta di scegliere se tutelare il cittadino o no». Altro carosello di telecamere e speciali radiotelevisivi ieri a Schio. In particolare la trasmissione “La vita in diretta” si è rivolta agli imprenditori dell’area di via Lago di Misurina. Sono venute fuori testimonianze, peraltro più volte riportate dal nostro giornale, di quotidiana vita a contatto con le carovane di passaggio: furti, strisciate sulle auto di chi non apre il cancello, ritorsioni e minacce di vario genere. Intervistati anche lavoratori di colore, che hanno contribuito a rinfrescare, per Schio, la meritata etichetta di “città solidale”, un po’ offuscata dalle polemiche. Intanto Azione Sociale, dichiarandosi per una volta d’accordo con l’operato del sindaco, propone per sabato mattina una mobilitazione in piazza Rossi: «Ci vedrà impegnati per una raccolta firme con la quale chiederemo la fine del progetto di integrazione degli Helt nel tessuto sociale scledense, salvo che sia la giunta ad adottare, a proprie spese, la famiglia di nomadi», spiega il coordinatore Alex Cioni. Altra benzina sul fuoco per tenere desta l’attenzione su una questione che in città tiene banco da una decina di anni.

Comuni uniti: "Schio non può essere isolata"

di Elisa Morici

La giunta comunale scledense rischia di perdere un pezzo. I Verdi, che hanno due consiglieri tra cui un assessore, hanno chiesto un chiarimento al sindaco Luigi Dalla Via e solo in base alle risposte che otterranno nell’incontro di domani decideranno se continuare ad appoggiare l’esecutivo o autosospendersi. Il che non metterebbe in minoranza la giunta, ma le lascerebbe un margine risicato di 1-2 voti. Già l’altra sera i consiglieri Verdi non hanno partecipato al tavolo di maggioranza sul bilancio. «C’è una spada di Damocle, ed è questo fossato, a cui noi siamo fortemente contrari», ha commentato Olol Jackson, del gruppo regionale dei Verdi, riferendosi alla possibilità che il partito rimanga nella giunta comunale. La decisione del sindaco «ci ha stupito - spiega Jackson - anche perché a Schio esiste una politica dell’integrazione. Questo fossato invece ci avvicina a quei provvedimenti che mirano all’esclusione propri di altre maggioranze in altri comuni del Vicentino». In queste ore, in città, qualcuno ha chiamato in causa persino il vallo di Adriano, la fortificazione in pietra che segnava il confine tra la provincia romana della Britannia e la Caledonia, costruita per prevenire le incursioni delle tribù che calavano da Nord. Certo il fossato anti-nomadi di Schio è di portata ben minore rispetto alla costruzione voluta dall’imperatore, ma il significato si presta non poco alle similitudini e i commenti si fanno sempre più infuocati. Se quasi tutte le forze politiche, ad eccezione dei Verdi, approvano la scelta del sindaco, le spaccature arrivano quando si tratta di capire che ne è stato della coerenza e cosa dovrà succedere una volta passato il clamore. Margherita: «Va detto che il sindaco ha messo in atto una precisa richiesta giunta dalle forze dell’ordine - spiega il segretario Ugo Retis -, senza tuttavia negare che la situazione era davvero limite e il provvedimento opportuno. Ma la politica d’integrazione non si cancella, anzi, dovrebbe allargarsi al di fuori dal territorio scledense, perché il problema andrebbe dunque gestito a livello sovracomunale». Lega Nord. «Sosteniamo la scelta del sindaco - spiega il segretario Valter Orsi - e guardiamo con attenzione a questo passaggio di “scuola Colman”, una tappa indubbiamente eclatante ma che non può e non deve restare un provvedimento isolato. Migliaia di scledensi si lamentano della presenza di carovane nomadi in molte altre zone della città, e a chi minaccia di andare a richiudere il fossato rispondiamo che noi saremo dietro di loro per riaprirlo e vorremmo il sindaco in testa». An: «Non possono essere tralasciate le conseguenze politiche dell’intera vicenda - attacca Alberto Bressan - Ritengo quindi del tutto legittimo chiedere che gli assessori Laugelli e Lorenzo Baiocchi prendano le distanze dalla scelta del sindaco e di conseguenza diano le dimissioni. Per coerenza rispetto alle idee più volte espresse in tema di nomadi e per rispetto di chi li ha votati». Forza Italia: «È il tunnel meglio riuscito - ironizza il vicecapogruppo in consiglio comunale, Enrico Bandolin, richiamando il paragone con il traforo Schio-Valdagno -. Una decisione utile ma che rappresenta al contempo il fallimento della politica d’integrazione dell’assessore Laugelli. Ora però la maggioranza dovrà chiarire questa situazione di mancata coerenza, e non mi pare campata in aria l’idea di un collega consigliere comunale di chiedere le dimissioni di Laugelli e Baiocchi». Ds: «Si è trattato di un atto a tutela dei cittadini, a salvaguardia della convivenza e della legalità - sottoscrive il segretario dei ds Vasco Bicego -. Ma la decisione del sindaco non dev’essere considerata in contrasto ai principi d’integrazione; al contrario, l’amministrazione scledense mette in atto da tempo una politica di avvicinamento e non di discriminazione. La questione, quindi, non può fermarsi ad un atto amministrativo ma dev’essere affrontata ad altri livelli, con l’intento di trovare soluzioni comuni e non di scaricare il problema su Schio».

Pur con qualche distinzione, sta prevalendo l’idea di trovare una soluzione unitaria al problema Sulla proposta dell’assessore Laugelli di distribuire le carovane qualche sindaco si chiama fuori

di Mauro Sartori

Carovane di zingari distribuite equamente nel territorio? Se ne può discutere, purché a farsene carico sia il Comune vicino. La discussione sulla gestione del problema nomadi, rilanciata la scorsa settimana dallo scavo del fossato anti roulotte in via Lago di Misurina e ripresa ieri da tutti i media nazionali, paragonando l’intervento scledense al muro di via Anelli a Padova, rimbalza inevitabilmente sul tavolo amministrativo dei paesi limitrofi. Alcuni dei quali criticati da Schio in un recente passato, per aver sloggiato le carovane di nomadi e scaricato di fatto la patata bollente nel cuore della val Leogra. Ieri, sulle nostre pagine, l’assessore scledense Emilia Laugelli ha esortato i colleghi di giunta del vicinato ad esaminare congiuntamente la situazione. Cosa che peraltro sta avvenendo da tempo, senza che si sia finora trovata una soluzione in grado di mettere tutti d’accordo.
SANTORSO. È stato avviato, qualche mese fa, di concerto che le forze dell’ordine, un censimento dei campi nomadi presenti nel territorio ed è stato individuato in Santorso, dove governa il centro-sinistra, il comune capofila. Il cambio al vertice della Prefettura ha rallentato il corso degli incontri, che riprenderanno a giorni, sollecitati anche dalla polemica esplosa attorno alla decisione scledense di realizzare il fossato, dopo lo sgombero di giovedì mattina. «Sono d’accordo: la questione va affrontata assieme, sedendoci attorno ad un tavolo con il Prefetto, come succederà la settimana prossima - afferma Pietro Menegozzo, sindaco di Santorso. - Le posizioni sono diverse ma confido che il dialogo aiuti a smussarle. È prematuro trarre conclusioni ma dobbiamo essere disponibili ad un sereno confronto. Il percorso tracciato è questo. Speriamo che le polemiche scoppiate in questi giorni non siano di ostacolo».
PIOVENE ROCCHETTE. Non la pensa come il collega orsiano il suo vicino leghista di Piovene Rocchette, il primo a dichiarare guerra ai nomadi nell’Alto vicentino a suon di ordinanze, fossati e mancati riconoscimenti all’anagrafe. Un atteggiamento che gli sta costando un procedimento penale assieme a numerosi attestati di solidarietà non solo da politici ma pure da semplici cittadini. «Le scelte scellerate di Schio non devono ricadere sugli altri comuni. E soprattutto non sul mio - sbotta il sindaco Maurizio Colman. - Se Dalla Via e Laugelli ci hanno messo un anno e mezzo per arrivare a scavare la trincea in zona industriale, seguendo il nostro esempio, immagino ci vorrà altrettanto tempo perché giungano alla conclusione che alcune buone ordinanze possono arginare il fenomeno. Il nostro obiettivo primario dev’essere quello di tutelare i cittadini e noi a Piovene lo stiamo facendo. Schio deve abbandonare l’atteggiamento fastidioso di "prima della classe", scendere a più umili posizioni e cominciare a ragionare. Senza mezze misure».
S. VITO DI LEGUZZANO. L’insediamento di nomadi tiene banco a S.Vito da diverso tempo. Per impedire lo stazionamento in aree limitrofe al centro storico, come la contrada Merlaro, pregiata sotto il profilo paesaggistico e meta costante di passeggiate, sono state posizionate delle sbarre e un’apposita segnaletica di divieto di sosta. Se ne è parlato anche in un recente consiglio comunale, dove l’argomento è stato affrontato senza pregiudizi. Lo stesso sindaco Antonio Dalle Rive si manifesta su posizioni assai simili a quelle espresse ieri dall’assessore Laugelli: «Non vogliamo campi nomadi a San Vito, sia ben chiaro - esordisce Dalle Rive. - Ma siamo disponibili a proporre a Opera Nomadi, l’associazione che segue e tutela il fenomeno del nomadismo nel Vicentino, un percorso di sedentarizzazione delle famiglie sinti e rom interessate. Solo attraverso una loro reale integrazione sociale si può arrivare ad un’accettazione che attualmente non c’è».
MALO. Contrariamente a quanto scritto ieri dalle principali testate nazionali e sostenuto dall’assessore Laugelli nell’intervento ospitato dal nostro giornale, a Malo non è mai stata emessa alcuna ordinanza contro i nomadi. Nonostante la giunta di centro-destra, sorretta da una coalizione Lega - An. «Diro di più - accenna il sindaco Antonio Antoniazzi. - Da tempo tolleriamo la presenza di una famiglia nomade nelle vicinanze del bocciodromo. Prima si trovava ai confini con S.Vito ma lì c’erano stati problemi. Ormai è stanziale a Malo, in un insediamento non lontano dal centro storico, e sinora non ci sono state particolari lamentele. Qualche protesta c’è stata ma nulla di così grave dall’indurci ad intervenire. Se dovessero esserci problemi, prenderemmo i necessari provvedimenti. Non optiamo per la linea dura, non abbiamo preconcetti di sorta ma siamo anche pronti ad intervenire. Sia ben chiaro che non siamo disposti ad ospitare campi nomadi e che ci batteremo per tutelare la sicurezza cittadina».
TORREBELVICINO. Oltre il confine nord di Schio la situazione cambia radicalmente. La pianura cede il passo alle montagne e per le numerose carovane di nomadi che si spostano tra i comuni dell’Altovicentino lo spazio si riduce notevolmente. Perciò a Torrebelvicino il problema non è mai stato troppo sentito, con episodi sporadici che non hanno mai richiesto la linea dura. Ma l’invito dell’assessore ai servizi sociali scledense non passa inosservato neppure da queste parti. «Siamo d’accordo che Schio non può gestire da sola il problema - riflette il sindaco Giorgio Calli - e se verrà chiesto il nostro aiuto cercheremo di capire se e come dare il nostro contributo. Ma non credo che spaccare una carovana e "assegnare una famiglia per Comune" sia la soluzione giusta; c’è invece bisogno di un’area apposita, sorvegliata e adeguatamente servita, ma per arrivare a questo non basta neppure il concerto di più Comuni. Ci vogliono forze dell’ordine e istituzioni di altro livello.

L’opinione del sindaco di Padova
«Dalla Via avrà avuto le sue buone ragioni»

«Non accetto questa schematizzazione dei fatti, che ho già subito con la vicenda del muro. Sono i fatti che diventano spettacolo, senza approfondire nulla, e la cosa non mi interessa». Commenta così, in tarda serata di ieri, il sindaco di Padova, Flavio Zanonato, le polemiche suscitate dal fossato «anti accampamento» dei nomadi fatto scavare a Schio dal sindaco Luigi Dalla Via. Un tipo di risposta ad un problema sociale che alcuni hanno accostato al muro antispaccio eretto a Padova in via Anelli dal Comune. «Non conosco il problema di Schio - afferma Zanonato - ma conosco il sindaco, ed è una brava persona. Sul fossato avrà avuto le sue ragioni. Se ci sono degli spazi dove si può andare e altri dove non si può, questa scelta avrà un senso, no?». «Ma su queste cose - prosegue - vedo l’ansia, specie nei giornalisti, di puntare sul fatto sensazionalistico. Le vicende non vengono mai approfondite. Secondo quanto scrive Le Monde io sarei il sindaco che ha fatto costruire un muro per rinchiudere gli immigrati, testuale». «Prima di dare un giudizio - spiega Zanonato - bisogna conoscere il problema. Dovunque vi sono parcheggi, ci si preoccupa che non siano occupati da situazioni che poi non si riescono a gestire. Il fossato non è una misura nuova, altrove mettono sbarre per impedire il passaggio delle roulotte». Per Zanonato la soluzione nel caso dei nomadi è di attrezzarsi con campi di sosta e permanenza. «L’integrazione dei Rom, lo ha detto anche la Ue - prosegue - si risolve mandando i loro figli a scuola. E se non ci sono le aree attrezzate, questa integrazione non si può realizzare». «Noi i campi di sosta li abbiamo fatti - ricorda il sindaco di Padova - e ho letto che anche il Comune di Schio li ha. Se qualche ente locale fa il furbo, non creando queste aree, non fa altro che scaricare il problema sui vicini che magari il lavoro necessario l’hanno già fatto».