02 MARZO 2006

dal Giornale di Vicenza

Alloggi, premiati i vicentini Ma An non partecipa al voto
I vetri consigliati dall’assessore non costituirono alcun abuso
A giudizio per 15 telecamere
«Vogliamo tornare a volare Se l’aeroporto sarà a posto»
SCHIO.Nuova antenna per i cellulari scatena la protesta dei cittadini
VALDAGNO.«Troppe antenne in città»

Passano i nuovi criteri che privilegiano la “residenzialità”
Alloggi, premiati i vicentini Ma An non partecipa al voto
Piazza e Hüllweck: «Così aiutiamo chi vive qui da più di 25 anni»

(g. m. m.) Sì ai nuovi criteri per l’assegnazione di alloggi pubblici. Sì al premio per i vicentini che vivono nel territorio provinciale da più di 25 anni. Passa il bando voluto dall’assessore leghista agli Interventi sociali Davide Piazza con l’appoggio del sindaco Enrico Hüllweck. Ma non è un sì unanime. Al momento di esprimere il voto, infatti, gli assessori di Alleanza nazionale sono usciti dall’aula. In Giunta erano presenti il vicesindaco Valerio Sorrentino e l’assessore all’Istruzione e ai Giovani Arrigo Abalti. «Da parte nostra non c’è alcuna polemica, chiediamo soltanto di poter confrontarci con il partito, dal momento che si tratta di una decisione prettamente politica», spiega Sorrentino al termine della riunione. In realtà, più che la vicentinità, Sorrentino avrebbe gradito una tutela dell’italianità. Mentre il collega Abalti avrebbe chiesto ragione dell’assenza di criteri che danno una mano alle giovani coppie. «Per questa categoria esistono altri bandi speciali - replica Piazza - che puntano soprattutto ad agevolare l’acquisto di appartamenti». I nuovi criteri hanno quindi compiuto il primo passo lungo l’iter burocratico che ora prevede il passaggio in commissione e a seguire in consiglio comunale, dove il testo potrebbe essere ancora modificato. In questa versione, il Comune si riserva di attribuire alla residenzialità da almeno 25 anni un ruolo decisivo nell’attribuzione della parte di punteggio che la normativa regionale riserva ai municipi. «Il Comune non è un’agenzia immobiliare», ha ricordato l’assessore Piazza, che punta ad evitare i problemi che a suo dire si sarebbero creati nel recente passato, come «in via Divisione Julia, dove su 40 alloggi, 16 sono andati a stranieri, a scapito di famiglie vicentine che attendevano da tempo, anche da 15 anni».

Una “casa di sgancio” per aiutare le schiave-prostitute che si liberano
Dal 1999 gli Interventi sociali del Comune hanno seguito alcune decine di casi

In sette anni l’assessorato agli Interventi sociali del Comune - che partecipa ai programmi nazionali contro la tratta di esseri umani e sostanzialmente contro la prostituzione forzata di immigrate extra-comunitarie - ha seguito in totale 79 casi. Uno soltanto riguarda un uomo, coinvolto in un episodio di sfruttamento sul lavoro. Tutte le altre occasioni riguardano donne: 38 volte si è trattato di richieste di aiuto risoltesi con una consulenza; 7 sono stati i rimpatri assistiti; in 5 casi dopo un iniziale contatto l’assistenza non è più stata richiesta; e 33 sono state le "forzate del sesso" seguite con uno specifico programma di riabilitazione e inserimento sociale. Sono questi i dati riguardanti Vicenza che l’assessore Davide Piazza (nella foto in alto) e la direttrice del settore Piera Moro hanno riassunto per il Consiglio territoriale per l’immigrazione, convocato dalla Prefettura. «Gli interventi realizzati dal 1999 in poi - si legge nella relazione a proposito delle vittime del traffico per sfruttamento sessuale - hanno permesso di comprendere che è possibile ottenere risultati efficaci e duraturi solo attraverso un progetto globale e un percorso che integri protezione, accoglienza, dimensione educativa, trattamento psicologico e psicoterapeutico, accompagnamento sociale e sanitario, inserimento lavorativo e integrazione sociale». «La mappatura del fenomeno - si legge ancora - descrive una territorializzazione della tratta controllata dalle organizzazioni criminali, con una presidenza di donne per lo più di origine nigeriana, dell’ex-Urss, di Moldavia, Romania, Bulgaria e dell’Albania. I minori vittime della tratta sono aumentati significativamente. Purtroppo questi soggetti sono i più difficili da monitorare perché strettamente controllati, frequentemente spostati di piazzola (o costretti a svolgere l’attività in appartamenti, cosa che rende complicato il lavoro di rilevazione) e terrorizzati psicologicamente». Con chi ha partecipato ai programmi di protezione sociale e integrazione - per liberarsi dalla "schiavitù" legata allo sfruttamento sessuale - il Comune ha impostato un ampio ventaglio di azioni, lavorando insieme con le associazioni del volontariato e le forze dell’ordine. In cinque casi il rifiuto delle donne di restare sottomesse si è sviluppato in azioni giudiziarie conclusesi con condanne penali sia degli sfruttatori sia dei clienti che avevano avuto rapporti con le minorenni costrette a prostituirsi. Quello della tutela delle prostitute che decidono di affrancarsi «è un lavoro lento e conmplesso - secondo la realzione dell’assessorato - e faticoso perché implica dolore mentale e rielaborazione del passato, ma richiede anche di affrontare le sollecitazione dei continui cambiamenti che popolano il presente di queste persone: l’attesa dei documenti, i timori perla salute, l’approccio al mondo del lavoro, le preoccupazioni per la famiglia d’origine, le relazioni in comunità d’accoglienza». Tra le novità previste per quest’anno il Comune segnala un’azione di sensibilizzazione parallela che non riguarda strettamente le donne coinvolte nel traffico per prostituzione («una formazione capillare ai ragazzi delle superiori di Vicenza che favorisca una presa di coscienza sul fenomeno») e due interventi pratici. Il primo riguarda un’unità di strada, cioè una vera e propria "presenza in trincea", che dia aiuto e consulenza sugli aspetti sanitari della situazione vissuta dalle donne sotto sfruttamento. Il secondo sarà l’approntamento di una "casa di sgancio", una struttura fissa per dare accoglienza e occasioni di autogestione alle donne che scampano alla "tratta sessuale" e cercano l’inserimento sociale.


Fu lecito il comportamento di Abalti nel caldeggiare la soluzione per le scuole di via Turra
I vetri consigliati dall’assessore non costituirono alcun abuso
La procura dopo avere interrogato più persone ha archiviato il fascicolo

di Ivano Tolettini

I vetri col vetro camera speciale “consigliati” all’Amcps con una lettera dell’assessore all’istruzione Arrigo Abalti per installarli nelle scuole di via Turra non costituirono alcun comportamento irregolare. La procura dopo avere interrogato più persone e avere approfondito i rapporti tra l’assessore e la ditta, ha verificato che la missiva incriminata, altro non era che una sollecitazione per una soluzione efficiente, in tempi celeri prima che cominciassero le scuole, perché i genitori degli allievi facevano pressione. Il caso era scoppiato lo scorso settembre quando in una lettera pervenuta alla stampa si leggeva il decisionismo di Abalti nell’ordinare (o una richiesta urgente) alla municipalizzata di acquistare proprio i vetri “Veltech rp” di una ditta padovana. I tecnici di Amcps avevano arricciato il naso perché quegli infissi costavano due volte tanto a quelli comuni di mercato. Così qualcuno ci aveva ricamato sopra, sostenendo che l’assessore avesse avuto un interesse diretto a consigliare quei vetri. In realtà, le indagini dei carabinieri della procura del luogotenente Barichello hanno stabilito alcuni punti fermi. Alle scuole di via Turra erano installati vetri con le veneziane interne che per molti genitori avrebbero costituito un pericolo per i bambini. Papà e mamme avevano fatto pressione su Abalti affinché si arrivasse a una soluzione pratica entro l’inizio dell’anno scolastico 2005-2006. Pertanto si chiedeva di installare vetri a camera che avessero incorporate le veneziane. Poiché sul mercato i vetri in questione sono tra i migliori, Abalti dopo avere sollecitato a voce le Amcps, aveva deciso di scrivere una lettera per ribadire che si trattava di un orientamento pressante dell’assessorato. Tra l’altro, è emerso che il comune di Vicenza per la fornitura di via Turra, costata 180 mila euro, è riuscito a strappare un prezzo sensibilmente inferiore rispetto a quello di altri enti pubblici ai quali la ditta padovana Finvetro di Monselice aveva praticato in concomitanza della fornitura al comune di Vicenza. Insomma, dagli accertamenti disposti dal procuratore Salvarani, è emerso che Abalti non aveva alcun interesse se non quello di risolvere il problema dei vecchi vetri di via Turra, sostituendoli con infissi da 4 centimetri antisfondamento. Come dire, dalle verifiche dei carabinieri è emerso che l’operazione a lato pratico si è rivelata vantaggiosa per la municipalità. Almeno questo hanno accertato gli approfondimenti giudiziari. Nei confronti dell’assessore il procuratore Salvarani aveva avviato un’inchiesta che non costituiva notizia di reato. L’ipotesi astratta avrebbe potuto essere quella di abuso d’ufficio, ma il nome dell’assessore non era mai stato iscritto sul registro degli indagati. Perciò di fronte alle conclusione dei carabinieri, che hanno interrogato una decina di persone e hanno sequestrato in Comune e all’Amcps tutti i documenti relativi all’appalto di 180 mila euro, la procura ha disposto l’archiviazione automatica del fascicolo perché non c’erano i presupposti per avviare l’azione penale. Per Abalti, che quando scoppiò la polemica si rivolse a un legale, quella dei vetri con le veneziane incorporate fu una raccomandazione a prezzi vantaggiosi. È parola di inquirenti.


Aveva installato un impianto televisivo senza informare i sindacati
A giudizio per 15 telecamere
Pagando 750 euro di oblazione sarà prosciolto

Le telecamere sistemate senza avvisare i sindacati e senza indicare la loro presenza, com’è previsto dalla legge, gli sono costate abbastanza care. Prima l’inchiesta, poi il processo, infine l’oblazione (750 euro), che ha consentito all’imprenditore Luigi Remelli, 63 anni, residente a Villaverla, di essere prosciolto. E tutto per non avere informato i sindacati della loro sistemazione e non avere indicato la loro presenza. A distanza di pochi giorni da un precedente processo per una presunta appropriazione indebita di 559 mila euro - che il diretto interessato contesta fermamente -, il comportamento di Remelli è passato di nuovo al setaccio della magistratura penale. Questa volta il suo avvocato Vincenzo Garzia ha dovuto pilotarlo fuori dalle secche di una fastidiosa vicenda che risaliva al maggio di due anni fa, quando il gip ordinò il sequestro preventivo delle telecamere per le modalità scorrette con le quali erano state installate. Non a caso la procura nel rinviare a giudizio Remelli gli contestava che in qualità di rappresentante legale della Keycomm Italia srl e della Casa Mia srl, aveva installato nei locali aziendali un impianto televisivo a circuito chiuso, sistemando «ben 15 telecamere orientate sulle postazioni dei lavoratori, per mere finalità di controllo a distanza della loro attività». In poche parole, ad avviso della procura Remelli avrebbe violato lo statuto dei lavoratori (l’articolo 4 della legge 300 del 1970) che fa tassativamente divieto l’installazioni di sistemi per controllare i dipendenti a distanza. Remelli nel corso delle indagini preliminari ha sostenuto la versione che le telecamere servivano per sorvegliare non già gli operai, ma gli uffici e altre aree strategiche, che avrebbero potuto far ingolosire i ladri. L’errore fu quello di non informare preventivamente i sindacati. Invece, li mise davanti al fatto compiuto e non furono nemmeno sistemati gli indicatori che informavano i lavoratori della presenza delle telecamere. In aula, davanti al giudice Michele Bianchi, Remelli tramite il proprio legale ha dato atto di volere pagare oblazione per chiudere con il proscioglimento la scorrettezza nelle relazioni sindacali Il giudice ha fissato una nuova udienza, quella del 13 marzo, nella quale preso atto dell’avvenuto versamento di 750 euro dichiarerà il non luogo a procedere nei confronti di Remelli.


Lo scaricabarile. Regionali confida che il Dal Molin diventi civile
«Vogliamo tornare a volare Se l’aeroporto sarà a posto»
De Paolis: «Attendiamo soluzioni definitive da metà settembre»

di Marino Smiderle

Lo spiraglio di sereno che arriva dalla visita romana di Cicero e Martello non basta a bucare le nubi e a diradare la nebbia. Sì, i generali dell’Aeronautica avranno pure assicurato l’assessore alla Mobilità e il direttore dell’aeroporto che il Dal Molin passerà da militare a civile, ma gli aerei della compagnia Regionali, che aveva deciso di sospendere i voli dal Natale dell’anno scorso, sono ancora ben piantati per terra. Pessimismo cosmico? No, sano realismo e conseguenza inevitabile dello scaricabarile che impera tra i tre attori principali di questa commedia inacidita dalle voragini finanziarie che si stanno aprendo in quelle società che hanno a che fare con l’aeroporto di Vicenza. Manfredo De Paolis, presidente di Regionali, non ha gradito, per cominciare, di finire sul banco degli imputati per il prezzo dei biglietti. «Se i voli si sono interrotti - afferma l’interessato - non è certo per colpa delle tariffe. Semmai, a voler essere chiari, per le inefficienze dell’aeroporto, che hanno costretto questa compagnia, formata con capitali privati, a decidere per una momentanea sospensione». La situazione è ingarbugliata e allo scaricabarile partecipano tutti. Perché, a sentire gli Aeroporti Vicentini, che con il presidente Giuseppe Sbalchiero erano stati i più convinti sponsor della nascita di Regionali, i prezzi applicati (fino a 250 euro per la tratta Vicenza-Roma) sarebbero stati eccessivi. D’altro canto, se i militari avevano prima garantito il funzionamento della torre di controllo fino alle 20 e poi sono tornati a limitare il tutto alle 17 (con un intermezzo così ricco di limitazioni atmosferiche da costringere un aereo sì e l’altro pure ad atterrare a Verona piuttosto che a Treviso), è anche comprensibile l’impossibilità degli Aeroporti di studiare una soluzione alternativa. Epperò i militari potrebbero dire che sono capaci tutti a fare un bilancio girando i costi (gestire una torre costa mica poco) a qualcun altro, nel caso specifico all’Aeronautica militare. Insomma, la storia del gatto che si mangia la coda, arricchita dal fatto che qui tutti mangiano l’altro, fino a rischiare di mandare all’aria qualsiasi gioco di squadra. Piuttosto, c’è una guerra di squadra, con tutti contro tutti e col piatto, al solito, che piange. Sbalchiero ha presentato un bilancio con una perdita di 800 mila euro, giustificata dall’attività svolta durante l’anno; De Paolis deve convincere i soci privati («Il pubblico non ci ha mai aiutato») a mettere ancora mano al portafogli per un aumento di capitale che dovrebbe far saltar fuori un paio di milioni di euro. E i militari, sul piede di partenza, che aspettano di lasciare la patata della gestione della torre di controllo ai civili, nel caso specifico ad Aeroporti Vicentini. In teoria questo consentirebbe una maggiore elasticità e non ci sarebbero più problemi di orari, tanto che anche il tanto strombazzato volo notturno dovrebbe diventare possibile. Però la torre costa, anche se Sbalchiero assicura che Aeroporti ha già stanziato i soldi per farla funzionare a dovere. Già, ma farla funzionare per chi? Il feeling che c’era tra Aeroporti e Regionali si è trasformato in scontro. Non ci sarebbe nulla di male, in astratto, visto che un conto è gestire l’aeroporto, un altro è fare gli interessi della compagnia; ma Vicenza è una start up nel panorama aeroportuale nazionale, e se non si rema, anzi si vola, tutti nella stessa direzione è più difficile raggiungere gli obiettivi iniziali. Al momento, non resta che attendere. A Cicero hanno assicurato che per la trasformazione del Dal Molin in scalo civile è questione di settimane. «Non ho motivo di dubitare di quanto dice una persona seria come Cicero - dice De Paolis - ma purtroppo è da metà settembre che attendiamo una definizione chiara di questi problemi. Speriamo che questa sia la volta buona. Se lo sarà, e se Aeroporti offrirà il servizio che tutti attendono, Regionali è pronta a far decollare gli aerei».


Raccolta di firme nel quartiere, il proprietario del terreno è anche consigliere
Nuova antenna per i cellulari scatena la protesta dei cittadini

(e. m.) Sull’antenna il Comune ha le mani legate. “Colpa” del decreto Gasparri che di fatto vanifica il regolamento edilizio comunale, modificato alla fine del 2001 proprio per evitare l’installazione di ripetitori nelle vicinanze di aree sensibili. Ma i residenti nel quartiere di S. Cuore non si arrendono: a pochi giorni dalla comparsa di un antenna Umts nella proprietà di un consigliere di quartiere, in via dei Grigi, hanno raccolto e depositato 300 firme contro l’installazione a meno di 200 metri da un polo scolastico che ospita 400 bambini. Ribadendo l’indignazione per non essere stati informati dallo stesso consigliere, che ha preso accordi con la Vodafone senza avvertire il consiglio di cui è membro dallo scorso anno. L’altra sera, Luigi Scalco non si è neppure presentato alla riunione convocata appositamente dal presidente del consiglio di quartiere 2, Alcide Pettinà. «Deploriamo quanto avvenuto, soprattutto per la mancanza di sensibilità del consigliere interessato - spiega Pettinà -. Senza contare che nè lui nè alcun altro organo istituzionale si è preoccupato di informarci sull’intenzione di posizionare l’antenna». Quando era stata presentata la domanda di installazione, il Comune aveva respinto la richiesta perchè ritenuta in contrasto con il regolamento edilizio comunale. Ma l’entrata in vigore del decreto Gasparri ha appunto introdotto la possibilità di installare impianti di potenza inferiore ai 20 watt, con il solo obbligo di denuncia di inizio attività e limitando la tutela dai campi elettromagnetici ai beni ambientali e culturali. Uno scacco al potere d’intervento locale, che difficilmente potrà ribaltare la situazione. «È un problema di non facile soluzione - ribadisce Pettinà -, ma non intendiamo fermarci. A giorni incontreremo nuovamente l’assessore all’ambiente per confrontarci sulla questione». Il Comune di Schio è intanto impegnato nella redazione del piano di localizzazione per regolamentare la questione delle antenne. L’obiettivo è quello di evitare accordi tra privati, individuando con i gestori della telefonia i siti pubblici più indicati per le future installazioni, in nome di una distribuzione il più rispettosa possibile dei siti considerati sensibili. Il posizionamento di ripetitori su suolo pubblico dovrebbe inoltre garantire introiti che consentirebbero al Comune stesso di finanziare il monitoraggio costante della situazione, utilizzando le apposite centraline come vere e proprie centraline di rilevazione ambientale.


Lunedì una conferenza sull’elettromagnetismo con relatori di fama internazionale
«Troppe antenne in città»
Un gruppo di genitori lancia l’allarme ripetitori

di Giancarlo Brunori

Troppe antenne in città. «Serve un incontro per fare chiarezza e per capire se ci siano rischi», derivanti dai campi elettromagnetici. Dubbi e richieste di approfondimenti sono stati messi nero su bianco da un gruppo di valdagnesi, genitori di scuola materna ed esperti del settore. Riuniti assieme, hanno organizzato il convegno “Antenne e telefonini: benefici o rischi?”, per «analizzare una vicenda delicata» come spiega l’architetto valdagnese coordinatrice e portavoce del gruppo di cittadini, Giorgia Pellizzari. In effetti, «le richieste di installazione sono numerose e per questo siamo già partiti con uno studio di localizzazione degli impianti» conferma il sindaco, Alberto Neri. La conferenza trova terreno fertile nelle ultime lamentele di cittadini, ma soprattutto dei genitori dei 105 bambini della materna di via Galliano, che l’avevano fatta evacuare la scuola di San Clemente, come protesta per l’installazione di un’antenna Umts a Poggio Miravalle. Mamme e papà si erano preoccupati, per «il possibile crollo di materiale» spostato con un elicottero che in più occasioni aveva sorvolato proprio la zona di via Galliano. Alcuni genitori erano riusciti anche a bloccare temporaneamente il cantiere, chiedendo all’Amministrazione comunale di far slittare i lavori nel fine settimana. In questo modo, si sarebbero ridotti al minimo «gli eventuali pericoli» legati al movimento del velivolo ed al trasporto aereo di quanto necessario per l’installazione dell’impianto radiobase. La questione si era chiusa con l’intervento di amministratori e responsabili degli uffici tecnico ed urbanistica del Comune. Ed il trasporto era stato successivamente terminato in breve tempo e senza intoppi. L’Amministrazione ha le mani legate da una sentenza del Tar che ha dato ragione al gestore. Comunque, si è già attivata per predisporre un piano di localizzazione per antenne. La questione potrebbe nuovamente essere affrontata il 6 marzo, nell’incontro pubblico previsto alle 20.30, nella sala Marzottini in via Gaetano Marzotto. A presentare il convegno è proprio l’architetto Pellizzari che spiega come «in città sia prevista, a breve, l’installazione di numerose stazioni radiobase per telefonia mobile». Nei volantini distribuiti si parla addirittura di 16 richieste per impianti, anche se quelli approvati sarebbero solo sette. «In centro storico la Vodafone ha previsto la costruzione di un’antenna per videofonini Umts, a pochi metri dalla scuola materna di San Clemente, dal centro diurno per anziani e dalla casa di riposo Villa Serena -precisa la portavoce Pellizzari-. Premesso che le stazioni radiobase per telefonia mobile sviluppano campi elettromagnetici potenzialmente dannosi per la salute dei bambini ed adulti, è stata organizzata una conferenza con relatori di spicco». Il primo intervento sarà del professore universitario Angelo Gino Levis che ha ricoperto incarichi di docente ordinario di mutagenesi ambientale a Padova, membro permanente della Commissione tossicologica nazionale dell’Istituto nazionale della sanità di Roma e consulente dell’Organizzazione mondiale della sanità nell’Agenzia internazionale per le ricerche sul cancro di Lione, nonché membro fondatore dell’International commission for electro-magnetic safety (commissione internazionale per la sicurezza elettromagnetica). Il secondo intervento, invece, sarà dell’architetto Laura Masiero, presidente dell’Associazione padovana per la prevenzione e la lotta all’elettrosmog.