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  La risposta di Batasuna

"Scriviamo a nome di migliaia e migliaia di cittadini e cittadine baschi che, dopo la sospensione della formazione politica Batasuna da parte del giudice Baltasar Garzón nelle quattro province basche sotto l'amministrazione spagnola, sono stati privati dei loro diritti civili e politici fondamentali, come il diritto ad organizzarsi politicamente, il diritto alla libera manifestazione, il diritto a riunione, e perfino il diritto alla libertà di espressione. Questa illegalizzazione si aggiunge, inoltre, ad una somma di illegalizzazioni anteriori, quella del giornale e della radio Egin; quella della rivista Ardi Beltza; quella della movimento pro-amnistia, in due occasioni; quella del movimento giovanile, in tre occasioni, oltre alla criminalizzazione delle scuole basche, dell'associazione dell'alfabetizzazione di adulti, del movimento di disobbedienza civile, dei settori popolari dissidenti in generale...

Non c’è il minore dubbio nel momento di affermare che detta attuazione giudiziaria, come l'iter della Legge di Partiti Politici nel Parlamento spagnolo con l'obiettivo pubblicamente manifestato, e riconosciuto perfino dallo stesso presidente del governo spagnolo, José María Aznar di mettere fuorilegge Batasuna all'inizio dell'anno 2003, risponde al clima internazionale propiziato dall'iniziativa presunta antiterrorista del presidente statunitense Bush dopo gli attentati del 11 di settembre di 2001 negli Stati Uniti. Non è che l’11 settembre sia iniziato niente di nuovo, detti attentati sono serviti all'imperialismo per affrettare i propri piani di aggressione destinati a creare un nuovo ordine internazionale basato sulla dominazione del potente sul debole e del pensiero unico neoliberale dove la sinistra e le nazioni senza stato non hanno posto.

Il caso basco non è stato, inoltre, l'unico esempio di questo tipo di attuazione politica antidemocratica nel mondo. È evidente che il governante israeliano Sharon ha incrementato la sua aggressione contro i palestinesi.
Il presidente russo Putin ha fatto la stessa cosa in Chechenia.
L'attuazione del presidente Uribe, in Colombia, è simile, dove i movimenti guerriglieri sono passati ad essere movimenti terroristici. E non diciamo niente dell'annunciato attacco all'Iraq, della passata aggressione militare all'Afghanistan... E sono molti più gli esempi che potrebbero darsi nel mondo.

Ma quell'attuazione non riguarda unicamente i movimenti di liberazione nazionale dei paesi oppressi. Nella stessa Unione Europea, anche il movimento contrario alla globalizzazione ed al neoliberalismo soffre una chiara criminalizzazione politica, come dimostrano la detenzione e l'incarceramento di numerosi militanti italiani per ordine del governo di Berlusconi.

Detto altrimenti, tutti quelli che si oppongono al pensiero unico ed all'ordine neoliberale stabilito, in difesa della loro identità come popolo o della loro condizione di classe, sono perseguiti sistematicamente in tutto il pianeta. L'aggressione politica, militare, culturale, economica, ecologica e di genere, perfino in maniera violenta, è legittimata dagli Stati, e l'autodifesa degli aggrediti, sia violenta o no, è perseguita. Come dicemmo a Genova nel controvertice al G8, quello che non va è che otto impongano con la forza delle armi il proprio progetto di globalizzazione a 6 miliardi di abitanti.

L'aspirazione di tutti i paesi del pianeta a potere vivere in pace in un ordine sociale giusto dove la ricchezza non sia solo patrimonio di alcuni poco e dove non imperi la forza dell'imposizione, ma la ragione, la solidarietà tra i paesi e tra le persone, non era stata mai tanto ferocemente soffocata e zittita dai centri di potere militare, economico e mediatico. È, come diceva il Che Guevara, l'imposizione, l'oppressione e la filosofia della spoliazione del debole, ciò che alimenta la filosofia della guerra. Cessi l'ingiustizia sociale ed il dominio del potente e metteremo basi ferme per la pace.

Il nostro paese non è stato mai un paese bellicoso, ma sì un paese ribelle: ribelle davanti all'oppressione, ribelle davanti all'ingiustizia, ribelle davanti all'imposizione. Euskal Herria desidera la pace, pace solida, stabile e duratura, senza ingerenze né imposizioni degli Stati che ci dominano e dividono in due, fratelli del nord e del sud lacerati da interessi politici e trasformazioni del processo storico di configurazione delle classi dominanti nel capitalismo emergente europeo.

Desideriamo la convivenza pacifica con Spagna e Francia sul piano dell'uguaglianza e rispetto mutui; desideriamo la convivenza solidale coi paesi spagnolo e francese e con tutti i paesi dell'Europa e del mondo ed aneliamo, finalmente, un nuovo stadio delle relazioni sociali, dove la guerra, la violenza e l'oppressione non siano più che un cattivo ricordo per il genere umano.

Nonostante la cosa diffusa dai mezzi di comunicazione in tutto il mondo, Batasuna non ha giustificato mai né fomentato il ricorso alla lotta armata, né in Euskal Herria né fuori del nostro paese, ma sì considera che finché non verificheranno le condizioni democratiche minime per la risoluzione dei conflitti, qui e nel resto del mondo, ci sarà sempre una parte degli oppressi che ricorrerà all'uso della violenza politica come metodo di attuazione. È per ciò che ci rifiutiamo di condannarla politicamente, perché la condanna non risolve il problema politico di fondo, e la nostra responsabilità ed obbligo come forza politica di sinistra è precisamente cercare soluzioni ai problemi di questo mondo; perché un altro mondo è possibile, e se è socialista molto meglio.

Per tutto ciò, ringraziamo il subcomandante insorto Marcos e l'EZLN per il loro interesse, solidarietà ed appoggio alla causa basca, cosa che è reciproca, poiché da Euskal Herria seguiamo la lotta giusta dell'EZLN, motivo per il quale numerosi baschi e basche parteciparono alla marcia internazionale zapatista o in brigate di appoggio, come quelle organizzate dal gruppo internazionalista basco Askapena.

Anche noi puntiamo sul dialogo e l'accordo tra tutte le parti come metodo di risoluzione del conflitto e di costruzione nazionale e cambiamento sociale. Perfino, vogliamo creare le condizioni politiche per una transizione in assenza di violenza. In detto processo, ETA diede una tregua che si prolungò per 20 mesi per appoggiare questo processo basco sostentato dalla maggioranza sociale, sindacale, istituzionale e politica in Euskal Herria. Tuttavia, il governo di Madrid, invece di approfittare di detta situazione come fece il governo britannico nel caso irlandese, si dedicò a distruggerlo. Aznar fu il principale responsabile dell'esplosione di quel processo politico che avrebbe supposto la risoluzione politica e definitiva del contenzioso. Ed è che l'obiettivo del governo di Madrid non è la pace, è la liquidazione del processo sovranista basco, benché questo si eserciti di maniera non violenta e democratica.

Ma i processi sociali, ed il processo di emancipazione basco non è un'eccezione, vuole passare attraverso formule democratiche di risoluzione basate nel riconoscimento del diritto alla libera determinazione del nostro paese nell'insieme del suo territorio, perché è questo lo scenario che desidera la maggioranza dei baschi. Noi baschi vogliamo prendere la parola in condizioni democratiche e vogliamo che tutto il mondo rispetti detta decisione, indipendentemente del risultato. Siamo coscienti che la società basca è plurale, e vogliamo costruire un paese per tutte e tutti i cittadini baschi, senza esclusioni, un paese di tutti e per tutti, un paese che riconosca tutti i diritti a tutti e tutte le sue cittadine in tutto il territorio basco, da quello all'autodeterminazione fino a quello alla vita, passando per tutti gli altri diritti civili, politici, economici e culturali.

Detto scenario deve garantire l'uguaglianza di opportunità per tutti i progetti politici. Noi, con umiltà e laboriosità, apporteremo un progetto per una Euskal Herria indipendente e socialista.

Per terminare, salutiamo e siamo disposti a partecipare a qualunque iniziativa politica che, con serietà e base democratica, abbia per obiettivo creare le condizioni politiche necessarie da parte di tutti, con l'obiettivo di garantire che gli e le basche possano decidere liberamente e democraticamente il futuro di Euskal Herria."

Un saluto fraterno e rivoluzionario.
Evviva la solidarietà dei paesi oppressi!
Gora herria!