Dispositivi di controllo, premialità, annientamento

I dispositivi statali di controllo, premialità, annientamento del corpo sociale detenuto sono sempre stati puntuali. Negli anni Settanta e Ottanta questi dispositivi sono stati oggetto di una sperimentazione che ha disegnato linee di condotta rintracciabili ancora oggi.

  1. A  fronte dell’estendersi delle forme di conflittualità armata nelle seconda metà degli anni Settanta, lo Stato aveva già istituito carceri speciali atte a porre in sicurezza gli istituti di pena e a dividere i detenuti comuni dai detenuti politici. Con il decreto interministeriale n. 450 (Bonifacio, Lattanzio, Cossiga) del 12 maggio 1977,  la sicurezza degli istituti di pena viene affidata al generale Carlo Alberto dalla Chiesa e con una serie di circolari successive si individuano come speciali prima Cuneo, Fossombrone, Trani, Asinara, poi Novara, Termini Imerese, Nuoro, la diramazione Agrippa di Pianosa; il carcere femminile di Messina e molti altri seguiranno.
  2. Prima ancora della legge su pentiti e dissociati, la legge n.15, del 6 febbraio 1980 all’art. 4 così recitava: “Per i delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, salvo quanto disposto nell’art. 289-bis del codice penale, quando uno dei concorrenti, dissociandosi dagli altri, si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, ovvero aiuta concretamente l’autorità di polizia e l’autorità giudiziaria nella raccolta di prove decisive per la individuazione o la cattura dei concorrenti, la pena è diminuita della metà”.
  3. Mentre quella del delatore (“il pentito”) è una figura nota del diritto, quello del dissociato è un ruolo del tutto nuovo che amplia e affina i dispositivi precedenti: sostanzialmente, in nome della lotta alla criminalità, con particolare attenzione alle organizzazioni rivoluzionarie armate, si passa da una pena che si basa sulla responsabilità personale, oggettiva, in relazione a un determinato evento ad una sorta di ‘pena d’autore’ ossia una sanzione misurata sul grado di ravvedimento (ammissioni, allontanamento dall’organizzazione, contributo alle indagini) e ‘reinserimento’ del reo in quella che si definisce ‘società civile’. In buona sostanza la pena applicata viene, caso per caso, sostanzialmente modulata sulla base di una valutazione soggettiva della disponibilità del richiedente a rivedere ideologicamente, oltre che fattivamente, la sua posizione all’interno dell’organizzazione di appartenenza. Questo meccanismo di scambio fornirà materiali per una parziale rilettura della storia i cui effetti sono sensibili oggi più che allora e si sviluppa in una serie precisa di norme premiali.
  4. Una circolare ministeriale del 1983 istituisce una nuova divisione tra i detenuti: si istituiscono le aree omogenee in carcere, nelle quali, ancor prima della legge del 1986, i dissociati godono dei benefici derivanti dalla loro posizione.

L’altra faccia della medaglia
Un approccio di questo tipo necessita che ad ogni ammorbidimento corrisponda un indurimento nei confronti di quei detenuti che non mostrano “ravvedimento” e capacità di “reinserimento”. Si hanno quindi, d’altra parte:

  • l’ammissione della chiamata di correo come elemento sufficiente di colpevolezza;
  • l’utilizzo di squadrette di pestaggio;
  • l’articolo 90 ovvero la sospensione di qualsiasi diritto per il detenuto;
  • l’uso della tortura con l’istituzione dell’oggi celebre gruppo “De Tormentis”;
  • l’istituzione dei braccetti della morte.

Il filo che collega il presente al passato può essere oggi rintracciato, senza grande difficoltà, nelle classificazioni di “alta sicurezza”, nell’art. 41 bis dell’ordinamento penitenziario e nell’ergastolo ostativo.