Libro bianco

testimonianze dei lucchesi sui fatti di Genova


 Testimonianza di Donatella Francesconi

La città, sabato mattina, ha un volto diverso da quello mostrato giovedì, durante il corteo dei migranti, affollato da tante anime diverse ma poco popolato dai soggetti più coinvolti, gli immigrati, appunto. Che più "abituati" al rapporto forzato con polizia e carabinieri hanno deciso di rimanere a casa, visto che i tre giorni anti-G8 si sono caratterizzati fin dall'inizio per un grande appuntamento di massa... di tutte le forze dell'ordine presenti sul territorio nazionale. La polizia, giovedì, c'era e prendeva le misure, bloccando ogni di via d'accesso laterale ai viali e sparpaglaindo agenti della Digos in tutto il corteo, ad ascoltare, guardare, preparare i due giorni che sarebbero seguiti. Riconoscibili, nonostante gli abiti borghesi, per la foggia rigorosamente anni '50 dello scarpino nero, a punta, così come per l'isolamento: appoggiati al muro non salutano nessuno, non parlano con nessuno, sguardo perso apparentemente nel vuoto. Lo stesso sguardo che ho visto negli occhi del Questore di Genova, materializzatosi improvvisamente sabato pomeriggio mentre insieme a molti altri manifestanti tentavo di trovare una via di fuga dal lungomare invaso di lacrimogeni e divise dopo che il corteo era stato spezzato in due tronconi. "Ma chi cazzo ha ordinato di caricare qui?" urla un uomo in giacca sceso da un'auto civile che si ferma inchidando vicino ai due agenti in borghese - pantoloni neri high-tech e maglietta nera con la manica americana - con i quali stanno trattando Paolo Ferrero, della direzione nazionale di Rifondazione, e un'avvocato del Genoa Social Forum che indossa la pettorina gialla d'ordinanza. Non mi esce il fiato per rispondergli "Babbo Natale" quando sento gli agenti che lo chiamano "Signor Questore". A pochi metri dalla scena ci sono ancora i cordoni di polizia e agenti della Guardia di Finanza in tenuta antisommossa e ben equipaggiati; dalla piazza sottostante si alza ancora il fumo dei lacrimogeni, sul selciato intorno a noi è sparso di tutto e sono evidenti tracce di sangue. Il Questore concorda con noi sulla necessità che i cordoni di uomini in divisa lascino il lungomare per permettere ai manifestanti di defluire per tornare ai pullman e chiede, tra gentilezza e sgomento, se vogliamo una "scorta" per maggior sicurezza. La risposta, nenache a dirlo, è ferma e negativa, anche perchè Radiopopolare trasmette notizie inquietanti: chi dal lungomare sta cercando di raggiungere i piazzali degli autobus viene fermato e caricato sui blindati. La sensazione è che quell'uomo dallo sguardo perso non abbia mai avuto il controllo di quanto accaduto per le vie e le piazze della città cui dovrebbe assicurare pace e tranquillità. Prima di risalire in macchina il Questore si rivolge ai due agenti in borghese ordinando di "fare come dice la signora" riferendosi all'avvocata del Gsf e di vigiliare affinchè i due cordoni di agenti armati indietreggino veramente lasciando libera la via di fuga. Poi riparte sgommando verso Boccadasse dove altri manifestanti hanno trovato ospitalità nella chiesa antiglobalizzazione e non riescono a uscire perchè ogni volta che ci provano ripartono le cariche. Situazione analoga a quella vissuta dai manifestanti rimasti bloccati nella parte di corteo di fine lungomare: alle prime cariche che spezzano in due il corteo affollato e intenso è subito chiaro che chi non rimane intossicato dai lacrimogeni rischia di finire schiacciato nella calca e viceversa. Con Virginio Bertini della segreteria della Cgil di Lucca mi butto verso la spiaggia: passaggi stretti e gradini che ci permettono di raggiungere gli scogli, nel tratto di spiaggia che ospita ancora alcuni spazi del Genoa social forum. Siamo in tanti, con gli occhi arrossati e il fiato corto per il fumo, ma almeno fuori dall'inferno. Qualcuno si spinge fino sugli scogli, altri restano sulla spiaggia cercando di raggiungere per quella via i compagni persi nelle prime cariche. All'improvviso il mare si anima: dal nulla, come in un brutto film di fantascienza, spuntano i gommoni della polizia di Stato e dietro le motovedette della Martina militare e, infine, anche una nave militare, forse una fregata. Alziamo le mani in una macraba danza. Non vogliamo pensare a cosa accadrebbe se caricassero dal mare. I gommoni della polizia cominciano a fare i caroselli in acqua, i poliziotti con le mute nere ridono tra gli spruzzi come i ragazzini quando impennano il motorino. Il teatrino dura una mezz'ora, poi tentiamo di risalire. Mentre raggiungiamo il lungomare ci rendiamo conto di quello che è successo: i volontari della ambulanze portano sulla spiaggia gente sanguinante, svenuta, intossicata. Quando arriviamo sulla strada c'è Luisa Morgantini, parlamentare di Rifondazione, che tenta di trattare il via libera. Ma appena proviamo a fare due passi ripartono le cariche, di nuovo il fumo ci avvolge, torniamo sul mare. Così per tre volte: i manifestanti metteno il naso sul lungomare, la polizia carica in un gioco sadico dove ci sono solo le guardie e mancano i ladri. Alla fine arriva l'uomo che nulla sa, che chiede a noi se sappiamo chi ha ordinato ai suoi agenti di caricare manifestanti inermi. In questa domanda c'è tutto il senso di quello che è successo a Genova, teatro di una guerra che qualcuno aveva preparato altrove. Genova 21 luglio 2001, parlarne non è certo facile. Non sono stata direttamente coinvolta nello scontro, perché con altri siamo scappati, a tempo, da quella parte di corteo che poco dopo sarebbe stata pestata dalla polizia. Accecati dai lacrimogeni che ormai saturano l'aria, all'altezza di piazzale Kennedy usciamo dal corteo con le mani alzate, gli occhi annebbiati dalle lacrime e il respiro affannoso. Corriamo per andare il più lontano possibile dal piazzale che durante la mattina ci aveva accolti caldo e colorato. Al di fuori dei cordoni del corteo ci troviamo nel limbo, nel caos più totale: gruppetti di black bloc indisturbati armati fino ai denti, alcuni ci fermano rompendo il nostro piccolo gruppo, ci provocano ma tutto finisce velocemente; i segni della devastazione dei giorni precedenti, ragazzi vestiti da manifestanti che parlano ai cellulari con aria troppo tranquilla per essere dei nostri e nemmeno un poliziotto che tuteli il corteo. Continuiamo la nostra frenetica maratona, cercando di stare almeno noi il più uniti e vicini possibile, fino a che non rientriamo nel corteo, in Legambiente, dove ci sentiamo più al sicuro. E' in quel momento che il paradosso prende corpo, nel momento in cui ci rendiamo conto di essere all'interno di un corteo gioioso, bellissimo. Ci togliamo le mascherine e i bandana dalla bocca, ricominciamo a respirare; apriamo gli occhi il sole ci abbaglia con tutto il suo splendore, iniziamo ad assaporare la gioia della manifestazione che sarebbe dovuta essere. I genovesi dall'alto dei palazzi ci tirano l'acqua per alleviare il gran caldo ed è bellissimo il coro che aspetta che cada l'acqua e la cascata che si polverizza fino a venirci ad abbracciare e i genovesi che ci battono le mani, che hanno steso le mutande alle finestre e lo striscione con su scritto "Citizen of the world" ci commuove. Ma è lì che veniamo a sapere che la polizia ha caricato la parte di corteo da cui siamo scappati, quella parte in cui si trovano i nostri compagni; e l'angoscia sale, la discrasia tra le cose che stiamo vedendo e ciò che sta succedendo a pochi metri da noi si fa largo. Sul palco Agnoletto ed altri esponenti di associazioni giunte a Genova da tutto il mondo, applausi, commozione, Carlo Giuliani, ma anche lì tutto è molto veloce, furtivo, gli scontri si stanno avvicinando al palco. Ci invitano ad andare velocemente verso i pullman. Al parcheggio tutto è quieto, stiamo aspettando i nostri compagni, ne arrivano alcuni a piccoli gruppi, ci raccontano che cosa è successo; alcuni sono reduci dagli scontri, sono stanchi, stravolti e poi di nuovo l'inferno. Io e altre due mie amiche ci allontaniamo un attimo dai pullman, per vedere cosa sta succedendo ai margini del piazzale e d'improvviso di nuovo i lacrimogeni, forse portati dal vento dagli scontri che si trovavano appena dietro, al carcere di Marassi, forse sparati dagli elicotteri. Confusione, caos, gente che corre ovunque, pullman che accendono i motori e iniziano a muoversi, non riusciamo più a trovare i nostri. Appena li ritroviamo il dilemma: salire e andare o aspettare gli altri? Saliamo per sfinimento con il cuore in gola per chi abbiamo lasciato là e solo quando torniamo a prendere i reduci, due ore dopo, la tensione inizia sciogliersi appena. Dire che tutto questo è vergognoso, che non esiste più lo stato di diritto; dire che Carlo Giuliani è stato freddato da un colpo di pistola sparato da un carabiniere, che i ragazzi arrestati sono stati picchiati e umiliati in carcere, che la polizia ha massacrato indistintamente manifestanti pacifici di ogni età è poca cosa dal momento che ha distanza di poco più di un mese stanno cercando di insabbiare tutto. L'unica cosa che posso dire è che non ci arrenderemo e continueremo a lottare.

Donatella Francesconi

 

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