Libro bianco

testimonianze dei lucchesi sui fatti di Genova


 Testimonianza di Suna Di Gino

Partenza: prima perquisizione, prima di salire sul pullman. Primo impatto con Genova: non riesco a capire a fondo il clima della città: mi colpisce un certo scollamento tra la militarizzazione e il clima da paese in guerra che comunque si percepisce, e un'atmosfera relativamente tranquilla all'interno dell'area destinata al GSF, dove si trovano alcuni ragazzi che, ancora sonnacchiosi si preparano alla giornata. Piccola riunione Rete Lilliput: paradossale. Come possiamo trovarci un paio di ore prima del corteo a pretendere di organizzare un servizio d'ordine? Oltretutto siamo solo alcune decine di persone. La cosa non mi lascia una buona impressione, ma non mi sento neppure troppo preoccupata della cosa: in fondo un corteo pacifico ha davvero bisogno di un servizio d'ordine? Il corteo: enorme. Non avevo mai visto un corteo cosi grande: sono entusiasta, anche se al momento un po' preoccupata di come raggiungere con il gruppo di Lucca il resto della rete di Lilliput: ci fermiamo ad aspettare, ma Lilliput non arriva, qualcuno ci dice che è molto avanti, qualcuno che è molto indietro. Decidiamo di inserirci nel corteo appena possibile. Camminiamo sul lungomare in mezzo ad un fiume di gente che intorno a noi balla, canta, ride, urla slogan o manda a farsi fottere gli elicotteri che sempre più spesso ci girano sopra la testa. È caldo. Per fortuna ogni tanto spunta la canna dell'acqua dal muro del palazzo di qualche genovese, non capisco se per buon cuore del genovese medesimo o di qualche manifestante che ha raggiunto l'acqua e ha pensato a noi. Da un balcone si affaccia anche una signora che ci saluta e ci sorride. Da un po' il corteo procede molto lentamente. Adesso siamo proprio fermi. Non capisco bene quello che succede. Dalla radio di un mio amico sento che ci sono degli scontri in piazzale Kennedy, dove siamo arrivati la mattina con i pullman, ma non so a che distanza sia la piazza. Dopo un po' torniamo ad essere in movimento, ma per poco. Ben presto siamo costretti a fermarci di nuovo. Mi arrivano voci vaghe, sembra che il corteo sia stato fatto deviare; l'unica cosa che capisco con chiarezza è che gli scontri sono proseguiti e che sono più vicini a noi. Decidiamo di sederci, per mostrare in tutta evidenza i nostri intenti nonviolenti. Questo è stato per me uno dei momenti più intensi: ovunque mi volto, avanti e dietro me, un fiume di gente seduta con le mani in alto che grida "non violenza". Mi sento sicura, penso che in quelle condizioni non possono farci niente, non potrebbero giustificarlo. La carica: Mi ero sbagliata, decisamente. Ho mostrato appieno la mia ingenuità. Passa forse meno di un minuto da quando ancora eravamo seduti a quando la polizia ci carica. Io non capisco cosa stia accadendo, non capisco se si sta avvicinando la polizia o i black: ben presto mi rendo conto che di black non ce n'è in giro più di una decina, e a caricarci è proprio la polizia, anzi per l'esattezza la guardia di finanza, anche se riconoscere delle figure umane in quelle tute da mutante è piuttosto difficile. Ben presto sono trasportata dalla folla, spinta, sollevata da terra, schiacciata contro il muro. Perdo la mano del ragazzo che mi teneva: sono sola. Sono completamente disorientata. Non riesco a formulare pensieri. Sento anche i lacrimogeni, per la prima volta in vita mia, che cominciano a farmi bruciare ovunque, dentro la gola, il naso, gli occhi e poi la pelle, soprattutto sul viso. Presto, per fortuna, trovo un amico, che mi aiuta a uscire dalla calca e che poi mi rinfresca il viso con acqua che aveva nel suo zaino. L'unica sensazione piacevole di quel momento è il senso di fiducia completa che ho provato quando ho stretto la sua mano. Insieme usciamo dal corteo e troviamo altri nostri amici. Verso i pullman: ci vuole molto tempo, un pomeriggio intero per riuscire a ritrovarci tutti o almeno contattarci. Mi sento in continua ansia per quelli di noi di cui non ho notizie chiare, ogni volto noto che si aggiunge al gruppo è un sollievo enorme. Ci incamminiamo ormai a sera verso piazzale Marassi dove ci aspettano i pullman. La tensione non si è ancora dispersa, non sappiamo con certezza da dove è opportuno passare per evitare gli ultimi scontri che ancora avvengono per le vie della città. Per le strade cassonetti, macchine e vetrine bruciate testimoniano momenti di guerriglia. Solo alle 20.30 circa riusciamo a ritrovarci tutti assieme e partire verso Lucca. A casa: il viaggio trascorre per buona parte in silenzio, carico di sensazioni forti e non del tutto definite: rabbia, tristezza, delusione, stanchezza. Arrivare allo stadio di Lucca e rivedere gli amici che non erano partiti e che ci stavano aspettando fa un effetto strano: sembra un mondo diverso. Provo a raccontare a loro, che a Genova non c'erano, cosa è accaduto in quella giornata estenuante, ma non so se capiscono nel profondo ciò che sto dicendo. Torno a casa e mi metto alla televisione: si parla di Genova, ma non solo di quel pomeriggio: c'è stato un assalto della polizia al centro stampa del GSF, e alla scuola dove alcuni ragazzi stavano dormendo: ancora non si capisce ciò che sta accadendo, ma la notizia mi sconvolge anche più di tutto ciò che avevo vissuto sulla mia pelle quel pomeriggio. Non riesco a trattenere le lacrime.

Suna Di Gino

 

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