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tratto da CONTROSAPERE - Maggio '05 - del C.U.A. di Torino

La mobilitazione contro il ddl Moratti all'universita' di Torino

La mobilitazione contro il disegno di legge delega Moratti ha visto attivarsi dentro l'universita' di Torino un numero consistente di soggetti ed ha suscitato una certa eco anche al di fuori delle mura accademiche. Non ci interessa star qui a ripercorrere cronologicamente tutte le fasi di una protesta ingrossatasi per gradi, quanto ricordarne alcuni passaggi e evidenziarne i punti salienti.

Gia' lo scorso anno iniziava a consolidarsi all'interno dell'ateneo la percezione da parte di' un sempre piu' vasto e variegato numero di ricercatori, precari, personale non docente, studenti, dell'importanza e della necessita' di confrontarsi su una prospettiva di mobilitazione generale di lunga durata. Questo primo momento embrionale traeva linfa e vigore soprattutto in seno alle componenti piu' politicizzate sia degli studenti sia tra i ricercatori laddove si era in grado di superare, o quantomeno bypassare, i settarismi ideologici da una parte piuttosto che l'inerzia del corporativismo dall'altra. Il contesto delle riunioni e delle iniziative in cui si andava formando il primo Comitato No Moratti di Torino, nei primi mesi del 2004, pur svelando buona parte della desuetudine al confronto politico tra docente e studente consolidata negli anni novanta e proseguita agli inizi del nuovo millennio, aveva il merito e la capacita' di imporre all'attenzione generale l'ineluttibilita' di una ferma e decisa opposizione al DDL Moratti. Protagonismo agli scioperi e nei cortei della scorsa primavera non erano, pero', stati in grado di sedimentare all'interno del Comitato una reale progettualita' politica in grado di' oltrepassare la semplice testimonianza di un disagio sempre piu' diffuso verso l'operato del governo Berlusconi in materia di istruzione e ricerca.

Questa carenza di dibattito sul piano politico piu' generale si e' poi protratta nel periodo estivo traducendosi in un ostacolo all'apparenza insormontabile per il prosieguo della mobilitazione in autunno. Ed e' a questo punto che si puo' riscontrare una prima traccia di discontinuita' con l'esperienza passata: non soltanto con l'iniziare del nuovo anno accademico la protesta riprendeva corpo, ma, fatto ancor piu' rilevante, si percepiva distintamente la sensazione di trovarci di fronte ad una manifesta volonta' da parte di una discreta componente della "comunita' universitaria" di farsi in qualche modo sentire, di essere protagonista nel dissenso, di essere finalmente visibile. Ovviamente cio' non stava a significare che tutto d'un tratto i problemi erano risolti e andava configurandosi un movimento reale in grado di essere incisivo ed importante quanto la posta in palio; s'affacciava pero' l'esigenza di stringere i tempi e mobilitarsi! A questo punto e' stato interessante notare come nel quadro degli attori sulla scena (Rettore e senato accademico, ricercatori strutturati, ricercatori precari, studenti, sindacato), il primo vero e proprio impulso e' stato fornito dalla decisione del senato accademico e del neo-Rettore di convocare il 26 ottobre 2004, cedendo alle pressioni del coordinamento dei ricercatori strutturati e ai collettivi studenteschi, un'assemblea generale d'ateneo con all'ordine del giorno il DDL Moratti.

Piu' che le prese di posizione istituzionali, in sintonia con la stragrande maggioranza delle universita' italiane, l'enorme affluenza e la viva partecipazione di ricercatori e studenti, hanno impresso un'accelerazione importante alla mobilitazione. Parallelamente al coordinamento dei ricercatori strutturali, nasceva da li' ad una settimana l'assemblea No Moratti come organo complessivo degli studenti in agitazione, con l'intenzione non soltanto di sostenere la settimana nazionale di mobilitazione dell'8-13 novembre 2004, ma soprattutto rivendicare la centralita' della tematica del sapere, dei meccanismi di formazione dei soggetti e della trasmissione delle conoscenze, all'interno dell'universita' di oggi e di domani. Quei giorni di lezioni all'aperto, davanti alla sede Rai, piuttosto che gli esami e le tesi sotto la Mole Antonelliana o nell'atrio della stazione di Porta Nuova, l'interruzione dell'inaugurazione del Torino Film Festival, i blocchi stradali, i concerti serali, oltre a ottenere visibilita' sui mass-media ed a livello nazionale costituivano un punto di non ritorno sulla convinzione di crescita della mobilitazione. Ulteriore conferma di cio' si e' avuta in occasione dello sciopero generale contro la finanziaria del governo, dove almeno un migliaio tra ricercatori e studenti universitari scendono in piazza nello spezzone dell'opposizione sociale all'interno del corteo sindacale, e dove vi era la partecipazione per la prima volta organizzata dei ricercatori precari, da qualche giorno radunatisi in coordinamento. Anche in questo caso, pero', le difficolta' intrinseche alla mobilitazione affiorano chiaramente all'approssimarsi della pausa natalizia. Un'ambiguita' politica di fondo interna al coordinamento dei ricercatori, dovuta piu' che altro alla presenza di individualita' decisamente destabilizzanti a causa o della loro tendenza corporativa o della loro organicita' con i partiti del centro-sinistra, rendeva vano il tentativo di istituire un coordinamento d'ateneo efficace ed in grado di mettere a confronto e in cooperazione i diversi soggetti in campo. A questo si doveva aggiungere la inarcata inesperienza politica dei ricercatori precari impegnati piu' che altro nella ricerca di un'identita' collettiva e di un referente politico istituzionale, nonche' la difficolta' oggettiva del corpo studentesco di sobbarcarsi tutto il peso della mobilitazione.
Ancora una volta, pero', si sono messe a tacere le malelingue che avevano gia' dato per morta la mobilitazione... dalla fine di febbraio inizia un nuovo ciclo di iniziative, preludio delle occupazioni.

A questo punto si registrava pero' un cambiamento importante sulla scena: in occasione dell'approssimarsi della votazione alla camera del DDL e quindi della settimana di mobilitazione nazionale del 21-26 febbraio, una piccola parte del coordinamento dei ricercatori strutturati tentava di affievolire la protesta anziche' incrementarla scatenando la rabbia di precari e studenti, nonche' la perplessita' dello stesso sindacato locale. In occasione dell'assemblea generale d'ateneo del 21 febbraio, viene a maggioranza votata una mozione radicale che sanciva nella sostanza un nuovo protagonismo degli studenti e dei precari tramite la costruzione di una serie di iniziative come la sospensione della didattica e l'indizione di un corteo universitario per il 2 Marzo, giorno di mobilitazione nazionale ("sciopero della docenza").

Nonostante i pessimi auspici per la frattura in seno al coordinamento dei ricercatori, quel giorno tre concentramenti di universitari confluiscono in un unico corteo che ha visto la partecipazione di cinquemila tra studenti, ricercatori, precari e lavoratori dell'universita' e del politecnico di gran lunga il corteo piu' affollato a livello nazionale! Al termine del corteo un'assemblea plenaria sancisce l'inizio dell'occupazione di Palazzo Nuovo, sede delle facolta' umanistiche, con l'intenzione di mantenerla fino alla prevista votazione alla camera del 9 marzo. E' l'inizio di una nuova fase della mobilitazione.

La scelta dell'occupazione si innestava sull'analoga esperienza dell'inverno 2002, che gia' aveva visto la soggettivazione di un numero consistente di studenti e studentesse. Sebbene le problematiche inerenti funzione e centralita' dell'universita' e l'esigenza di una formazione critica avessero gia' allora fatto capolino nelle assemblee plenarie, la mobilitazione si era allora prevalentemente incentrata sul discorso dell'aumento delle tasse universitarie e della carenza dei servizi per gli studenti. Gli stessi contenuti di questa mobilitazione hanno invece consentito di spostare in avanti il senso e la progettualita' delle rivendicazioni. A partire da un minimo comune denominatore condiviso da tutti gli attori della mobilitazione (docenti, ricercatori, precari e studenti), centrato sulla critica della progressiva precarizzazione delle mansioni di ricerca e didattica, totale subordinazione dei percorsi formativi agli interessi privati e d'impresa e compromissione del carattere pubblico dell'universita', si e' andata man mano sviscerando da parte della componente studentesca l'intenzione di affrontare il nodo della produzione, della gestione e della trasmissione dei saperi. E' cosi' che accanto alle normali attivita' di gestione del tempo liberato dall'occupazione, quali la controinformazione, la mensa popolare autogestita, il cineforum e le serate musicali, ha preso sempre maggior vigore il confronto-dibattito in forma seminariale che ha trovato sbocco parziale nella "Rete dei saperi critici". Piu' che tentare improbabili risposte esaustive, si e' cercato di porre in essere un ambito dove suscitare gli interrogativi appropriati e un confronto possibile. Nei passaggi migliori del seminario, i soggetti piu' colpiti dalle attuali trasformazioni del sistema universitario (ricercatori precari e studenti) hanno abbozzato l'orizzonte comune delle frustrazioni e degli ostacoli che ne scandiscono l'esperienza quotidiana.

In questa direzione s'inserisce inoltre l'esperienza di Radio Li.Sa, la radio digitale dei Liberi Saperi, che va sicuramente aldila' della pur importante riappropriazione di uno spazio fisico e virtuale, aprendo nuovi scenari riguardo l'utilizzo, la circolazione e la valorizzazione del dibattito sui saperi. La legittimazione di tutte queste floride esperienze di dibattito e conflitto, scaturite dalla mobilitazione prima e dall'occupazione poi, si e' avuta attraverso il vasto consenso conquistato sia all'interno degli ambiti istituzionali accademici (Rettore e senato accademico) sia e soprattutto nella cooperazione tra i molteplici soggetti e nella loro partecipazione diretta. Detto questo e sottolineato che permane lo stato di mobilitazione generale dell'ateneo in attesa di sviluppi in seno alla possibile nuova calendarizzazione della votazione alla camera del DDL, rimane un nodo aperto la necessita' di tornare sull'argomento (magari a partire proprio dal prossimo numero di Controsapere) sviluppando valutazioni ed analisi piu' accurate e complessive su cio' che come movimento torinese si e' prodotto, nonche' sugli scenari e sulle prospettive future.

 

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