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I NUCLEI DI DISCUSSIONE POLITICA: IL COLLEGAMENTO CON L'ESTERNO.

Appena possono, i detenuti maturati politicamente cercano di costituire dei gruppi di discussione e di iniziativa, cercando di coinvolgere altri detenuti comuni. Negli ultimi anni questi gruppi (o nuclei) sono fioriti numerosi nelle carceri italiane, soprattutto nei giudiziari, spesso facendo capo a qualche militante della sinistra di classe arrestato per motivi politici. Dove si sono creati, hanno raggiunto il duplice risultato di organizzare lotte molto efficaci e di far maturare politicamente molti “comuni”: l'esempio delle Nuove di Torino (gennaio-febbraio 1971) è significativo a questo riguardo.
Alcuni di questi nuclei, dato il carattere repressivo dell'istituzione non arrivano mai ad essere troppo numerosi: in pratica già quattro o cinque persone costituiscono un gruppo o nucleo di discussione, con punte di nove o dieci persone. Quando raggiungono o superano questo numero, la direzione del carcere cerca di spezzarli con gli spostamenti interni e i trasferimenti. Comunque il risultato che le varie direzioni carcerarie si aspettano si rovescia nel suo opposto, perché i trasferimenti servono a moltiplicare i gruppi invece che a distruggerli.
Il compito di creare questi organismi di discussione e di direzione politica non spetta soltanto ai compagni maturati per conto proprio in carcere, ai militanti arrestati o a chi dall'esterno, tramite lettere e collegamenti spesso fortunosi, partecipa (e stimola) a questo processo, ma anche a quegli operatori carcerari (medici, assistenti sociali, maestri e professori) che sono comunisti e vogliono dare un contributo fattivo alla “risocializzazione” politica del detenuto. Purtroppo finora, salvo qualche caso sporadico, questo non si è ancora verificato, ma questa deve essere una direzione sulla quale bisogna senz'altro puntare. Un discorso particolare meritano gli avvocati di sinistra, soprattutto i penalisti, per gli spazi pratici che la loro professione concede: vediamo cosa ci suggerisce un detenuto a questo proposito. In seguito riporterò testimonianze sulla formazione e sulla coscienza di alcuni di questi gruppi, e sui trasferimenti repressivi che subiscono.

- Lettera di S. N. – San Vittore.

Milano, 30 settembre 1971.
... Infine sorge il problema degli avvocati politici che sinora lasciano a desiderare, ne ho una penosa esperienza! Questa gente o c'è o non c'è, non si può continuare così. Ti rendi conto del lavoro che qui – e altrove – si poteva fare se S., o un altro, avesse mantenuto rapporti costanti all'interno del carcere? Ti rendi conto che sono le uniche persone che posson venire a sentirci senza che ci siano guardie? Che possono darci notizie e indicazioni esatte? E che, specie in un “penale”, possono far molto con la sola loro presenza? L'avvocato compagno deve avere il compito di informare e formare e educare i quadri rivoluzionari nel carcere, poiché solamente loro hanno i mezzi per farlo. Rifletti un poco, pensa se tu potevi venire qui a San Vittore tutti i giorni che volevi e parlare con me e con gli altri compagni...
È necessario usare ciò che il sistema stesso ci offre. Fino a che non si è condannati in modo definitivo si ha diritto al legale, per noi, e per altri “dannati” passerà ancora del tempo fino a quel giorno, quindi è bene organizzarsi in tal senso. “I principi del foro” non servono, ci vogliono neolaureati che abbiano un po' di tempo e voglia di lavorare con noi, e non ci rimettono neppure, qualche cliente glielo facciamo saltar fuori!

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