Creatività e rappresentazione.
[...se sai usare solo il martello tutti i problemi ti sembreranno dei chiodi]

«Le diverse rappresentazioni linguistiche dei numeri possono rallentarne o accelerarne l'apprendimento, a seconda della lingua. Un gruppo di psicologi guidato da Kevin Miller ha chiesto a bambini americani e cinesi della stessa età di dire più numeri che potevano a partire da 1: a quattro anni i bambini americani arrivavano in media a 15, mentre quelli cinesi riuscivano a contare fino a 40, e probabilmente una delle ragioni della riuscita meno buona dei primi è che la rappresentazione dei numeri a due cifre è meno trasparente in inglese che in cinese.

Spesso, il ruolo decisivo della rappresentazione nel pensiero viene minimizzato a causa di un'idea di razionalità per cui, quando due enunciati sono matematicamente o logicamente identici, rappresentarli in una forma piuttoso che in un'altra non dovrebbe avere importanza - e quei dati empirici che dicono che ne ha sono considerati un segno dell'irrazionalità umana. Così, però, si ignora il fatto che trovare una buona rappresentazione di un problema è essenziale per risolverlo e che il giocare con rappresentazioni alternative è uno strumento del pensiero creativo. Il fisico Richard Feynman ha osservato che rappresentazioni distinte della stessa legge fisica, benché matematicamente equivalenti, possono suscitare in noi immagini mentali diverse - e innescare di conseguenza nuove scoperte.

Le rappresentazioni esterne non sono solo degli input inerti forniti a una mente che poi ci lavorerà sopra: possono svolgere una parte del nostro ragionamento o del calcolo, rendendo più accessibili certe parti di un'informazione che rimane sempre la stessa. Nella rappresentazione numerica in cifre arabe, per esempio, vediamo subito se un numero è una potenza di 10 ma non se è una potenza di 2, mentre per i numeri binari vale la conversa. Inoltre, i numerali arabici sono più adatti di quelli romani alla moltiplicazione e alla divisione, e questa differenza ci aiuta a capire come mai la civiltà araba classica fosse molto più avanti in matematica di quella romana e del primo Medioevo europeo. Immaginiamo di voler moltiplicare fra loro i numeri XIX e XXXIV: col sistema arabico basta moltiplicare le singole cifre del primo fattore (19) per le singole cifre del secondo (34) e scrivere i risultati in modo che cifre consecutive rappresentino le unità, le decine, le centinaia e così via; ma coi numeri romani, che pure formano un sistema a base 10, questo è impossibile, perché le singole cifre non corrispondono a potenze di 10. E la conseguenza è che il sistema numerico romano non facilita la moltiplicazione e la divisione.

[...] ...uno strumento che può aiutarci a snebbiare la mente: passare dalla rappresentazione del rischio mediante probabilità a quella mediante frequenze naturali. Le probabilità - più esattamente, le probabilità condizionali - rallentano, tendenzialmente, le nostre inferenze; mentre le frequenze naturali richiedono meno calcoli e hanno una forma uguale a quella che ha avuto, per quasi tutto il corso dell'evoluzione, l'esperienza umana.»

["Quando i numeri ingannano - Imparare a vivere con l'incertezza" di Gerd Gigerenzer, ed. Cortina pag. 62]