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PER L'AUTOGESTIONE DEL PROPRIO PERCORSO FORMATIVO   
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esistenze precarie, resistenza sociale La produzione, l’elaborazione collettiva e la condivisione di controsapere rappresentano alcune delle priorità del nostro agire politico quotidiano nelle facoltà e possono trovare una loro concretizzazione nella costruzione collettiva dal basso dei seminari autogestiti.
Ma sarebbe ovviamente sbagliato ridurre il nostro stare dentro e contro l’università del 3+2 alla proposta di seminari autogestiti, per quanto diversi sia nella forma che nei contenuti dai corsi tradizionali. Il rischio sarebbe evidentemente quello di scavarsi una nicchia all’interno di quell’ingranaggio dell’università riformata che noi vogliamo invece mettere in discussione nella sua totalità, fino a farne esplodere tutte le contraddizioni.
Per questo si rende sempre più necessario ragionare su come inserirsi in modo dirompente anche nella struttura stessa dei corsi e nella didattica. Si  tratta di elaborare proposte che siano concrete e praticabili, ma al tempo stesso evitino di entrare in una logica “compatibilista”, e si possano riportare e rielaborare nelle facoltà accanto a quella critica generale all’università-azienda che resta la nostra prospettiva di riferimento.
.Quelle che seguono sono solo alcune ipotesi di campagne che si potrebbero aprire, alcune idee da mettere in pratica in modo anche molto diverso nelle varie facoltà e da verificare alla prova dei fatti, perché l’immaginazione e l’elaborazione di un modello di università alternativo e contrapposto a quello attuale non possono e non devono essere teorizzazioni sganciate dalla pratica quotidiana del conflitto all’università.

RIDUZIONE DEL NUMERO DI ESAMI ANNUI
Una delle conseguenze più devastanti della Riforma Zecchino è stato l’aumento vertiginoso dei ritmi di studio e la relativa compressione dei tempi di apprendimento. Si è arrivati a situazioni limite di 14-15 esami annui (e una media comunque vicina ai 10 esami annui), con parziali a raffica e sessioni di esame con appelli sempre più ravvicinati.
Si tratta di quella che abbiamo definito “licealizzazione” dell’università, cioè una tendenza a riprodurre nell’università i ritmi frenetici della scuola superiore, senza naturalmente riprodurne invece quella grande ricchezza che è data dalla vita nel gruppo-classe.  
Questa tendenza all’aumento del numero di esami è contestabile da diversi punti di vista. Da un lato comporta un rischio sempre maggiore di rimanere indietro con gli esami (situazione che può diventare drammatica se si devono conseguire i crediti necessari per la borsa di studio), ed in particolare la quasi impossibilità di laurearsi in corso per gli studenti-lavoratori. Parallelamente il ritmo di studio pressante contribuisce a comprimere i momenti dell’aggregazione sociale e politica, incentivando la fruizione dell’università come semplice “struttura di servizio” in cui andare a lezione e sostenere gli esami, senza sentirla come propria, viverla fino in fondo e magari contribuire a cambiarla. Infine all’aumento del numero degli esami è corrisposto uno scadimento generale della qualità dell’offerta didattica: il corso da 5 crediti con solo 30 ore di lezione e qualche lucido da imparare a memoria è ormai più una regola che un’eccezione (ed è particolarmente scandaloso che anche molti esami delle Specialistiche siano strutturati secondo questo schema).
Su questo tema noi proponiamo di muoversi nell’ottica di una totale inversione di tendenza: meno esami (5-6 esami possono essere un numero ragionevole) più completi, più approfonditi, con maggiori possibilità di discussione e di rielaborazione critica, con appelli distribuiti nei vari periodi dell’anno in modo da non sovraccaricare le sessioni d’esame.
Ci sembra una linea di intervento forte, perché lega una rivendicazione legata al diritto allo studio e a tempi di vita più umani per gli studenti ad una proposta per un’offerta formativa più adeguata al concetto stesso di Università.

ESAMI PIÙ COMPLETI, MENO FRAMMENTATI, MENO NOZIONISTICI
Questo secondo filone, strettamente collegato al primo, riguarda la struttura stessa dei corsi e degli esami. Come accennato in precedenza, la riforma del 3+2 ha prodotto una frammentazione dei corsi di studio, che ha come conseguenza una didattica nozionistica, fatta di sapere parcellizzato e priva di momenti di approfondimento e di rielaborazione critica. In questo contesto va ad inserirsi anche la proliferazione degli esami scritti a risposta chiusa (crocette), che sanciscono e incentivano a loro volta metodi di insegnamento e metodi di studio volti solo ad incamerare micro-nozioni spendibili nel test.
Ma la nostra critica prova ad andare oltre le disfunzioni, le contraddizioni ed i problemi dei corsi post-riforma, per andare ad investire i concetti stessi di didattica e di esame come vengono concepiti nell’università attuale. Vogliamo cioè mettere in discussione l’idea “depositaria” dell’insegnamento, secondo cui compito del docente è trasmettere allo studente una serie di nozioni considerate neutre, oggettive e non discutibili, e verificare in sede d’esame che queste siano state assimilate e memorizzate.
E’ importante iniziare ad immaginare forme di apprendimento cooperativo, di rielaborazione continua, critica ed autonoma delle nozioni ricevute, di messa in discussione delle nozioni stesse.
In quest’ottica vogliamo muoverci nei seminari autogestiti, che in questo senso dovranno essere diversi, alternativi e innovativi anche nelle forme e non solo nei contenuti, ma allo stesso tempo è necessario che queste idee inizino a filtrare anche nei corsi tradizionali.
Crediamo quindi che sia possibile avanzare proposte concrete come l’abolizione degli esami a crocette, la possibilità in tutti gli esami di produrre tesine o altre elaborazioni scritte, l’introduzione di momenti di discussione e di rielaborazione all’interno dei corsi. Inutile dire come questi temi siano indissolubilmente legati alla questione del numero di esami annui, perché simili proposte non possono certo trovare spazio all’interno di un corso da 5 crediti con 30 ore di lezioni frontale.

AUTOGESTIONE DEI  PIANI DI STUDIO
Una terza rivendicazione è quella legata ad una maggiore libertà nella costruzione del piano di studi. Una delle argomentazioni dei sostenitori della Riforma Zecchino è sempre stata la possibilità che la riforma avrebbe dato agli studenti di formulare il proprio piano di studi con grandi margini di scelta. In realtà gli esami a scelta sono mediamente non più di 2 (o 10 crediti totali da conseguire), e tra l’altro in molti corsi di laurea la scelta è ridotta ad alcuni “esami consigliati”. Si  tratta comunque di una ben misera nicchia all’interno del percorso da 180 crediti in 3 anni.
La proposta è semplice: lanciare una campagna per aumentare il più possibile il numero di esami a scelta. In questo modo, oltre a garantire allo studente una maggiore libertà di costruire il proprio piano di studi sulla base dei propri interessi e delle proprie inclinazioni, si favorirebbe la possibilità di seguire anche corsi umanistici per chi frequenta facoltà scientifiche e viceversa, andando quindi nella direzione di un’idea di cultura meno settoriale, meno specializzante, più trasversale e di più ampio respiro.
Accanto alla richiesta di una maggiore libertà nella formulazione del piano di studi, crediamo se ne possa e debba avanzare anche una legata alle libertà di scelta all’interno dei singoli esami: ogni esame dovrebbe prevedere la possibilità di scegliere libri su cui effettuare approfondimenti all’interno di una bibliografia realmente ampia e variegata.

Ognuna delle tre proposte appena presentate può essere sicuramente debole, insufficiente e contraddittoria se considerata singolarmente, ma crediamo che legandole tra loro sia possibile costruire campagne realmente inclusive su cui sia possibile mobilitare studenti di facoltà diverse e provenienti da culture diverse.
Si tratta di aprire un ragionamento serio su modelli diversi di didattica, con meno esami annui, corsi più approfonditi, centralità del concetto di sapere critico e della possibilità di discutere ed elaborare ciò che si studia,  facoltà di autogestire il proprio percorso formativo scegliendo i corsi ritenuti più interessanti.
Ci siamo in questa sede limitati ad un tentativo di approfondimento sulla questione della didattica e della struttura dei corsi. Temi assolutamente centrali in un’università sempre più tesa alla legittimazione e all’autoriproduzione del modello sociale dominante attraverso la mercificazione dei saperi e l’abolizione di ogni forma di sapere critico. Temi su cui è necessario inserirsi in modo dirompente e riuscire ad incidere davvero, producendo momenti di conflitto nei luoghi dove le decisioni vengono effettivamente prese e le riforme vengono effettivamente applicate.
Non possiamo però dimenticare che esiste una fascia consistente di studenti che viene respinta ed espulsa da un sistema universitario che non garantisce realmente il diritto allo studio per tutti. Così come non possiamo dimenticare che anche la selezione di classe è un meccanismo di legittimazione e riproposizione del modello sociale capitalista e liberista. Per questo va tenuta presente la necessità di agire sempre su un doppio binario: da un lato contestare dall’interno il modello didattico, dall’altro rendere sempre più radicale la nostra critica e la nostra mobilitazione per la gratuità dell’istruzione e l’accesso ai saperi per tutti. Le campagne contro ogni forma di numero chiuso sono l’esempio più immediato, ma nello stesso ambito le lotte contro il caro-tasse e il caro-mensa, per il diritto alla casa e ai trasporti. Solo muovendosi in entrambe queste direzioni e unendo la critica ai processi globali con la pratica del conflitto a livello locale, si potrà rendere effettivo e incisivo il nostro muoverci dentro e contro l’università riformata.

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