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Indice del terzo volantone
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ESISTENZE PRECARIE, RESISTENZA SOCIALE
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esistenze precarie, resistenza sociale Il movimento studentesco sviluppatosi nell’autunno 2005 non sarà ricordato di certo solo per l’opposizione al ddl Moratti sullo stato giuridico della docenza, ma come la prima ondata di contestazione radicale dell’università del 3+2. Se le prime mobilitazioni di studenti e ricercatori sono state soprattutto incentrate sul ddl e sulle sue possibili conseguenze, la critica si è immediatamente estesa al sistema universitario attuale, e in particolare al modello di università impostato dalle riforme di Berlinguer e Zecchino. Un modello basato sulla selezione, sui numeri chiusi, sull’aumento indiscriminato delle tasse, sulla frammentazione dei corsi, su ritmi di studio frenetici, sulla compressione dei tempi e degli spazi della vita dello studente. Un modello funzionale alle precarizzazione selvaggia e alla legittimazione e riproduzione dell’esistente.Si è trattato dunque di un movimento capace di ripartire realmente dai propri bisogni, da quelle contraddizioni che gli studenti vivono quotidianamente sulla propria pelle. In quest’ottica è stato immediato e condiviso il collegamento tra i temi relativi al diritto allo studio in senso lato (numeri chiusi, tasse universitarie, mensa, casa, trasporti…) e quelli relativi alla didattica (corsi superficiali, ritmi di studio insostenibili, sapere in pillole…).

 Si è sviluppata, insomma, una grande capacità di tenere insieme la critica ai processi globali, ed in particolare al l ’articolata controriforma dell’Università attuata nelle ultime due legislature , con la  determinazione ad individuare le controparti a livello locale e costruire percorsi di conflitto.
Un' altra interpretazione, non alternativa ma anzi complementare alla prima, vede questo movimento come prima declinazione nell'ambito universitario dell'ondata di contestazione globale antiliberista esplosa nel 1999 a Seattle. Non si tratta di cercare un’improbabile continuità politica con strutture come i
Social Forum, ma di capire come l’immaginario di Genova abbia fortemente influenzato, se non altro a livello culturale, quella generazione avvicinatasi all'attivismo politico in quel periodo. Inoltre, non è trascurabile che proprio da quegli organismi sovranazionali al centro delle lotte del 99-2003 provengono le direttive messe in pratica dalle recenti riforme dell'istruzione di cui sopra e del lavoro (leggi Treu e Biagi). Se nel periodo dei contro-vertici la
contestazione si muoveva su piano prevalentemente etico o ideologico, con parole d’ordine generali legate a ragionamenti sui grandi problemi del mondo, dopo Genova la scommessa consisteva nel riportare quella radicalità e quella capacità di aggregazione anche nell’ambito delle lotte sociali.
Un terreno che molte reti hanno provato a percorrere, pur scontrandosi con consistenti difficoltà e limiti che hanno reso estremamente difficile ottenere vittorie anche parziali e risultati concreti. All’interno di questa analisi si va a collocare il ruolo dell’università. In questi anni svariati soggetti politici, anche
radicali, hanno ignorato e snobbato l’ambito universitario, arrivando a teorizzarne il superamento come luogo di intervento politico.
Le  occupazioni dell’autunno 2005 dimostrano invece come essa sia ancora luogo centrale di molte contraddizioni del capitalismo contemporaneo, e quindi potenzialmente anche luogo di espressione di conflittualità, di elaborazione collettiva, di immaginari di trasformazione dell’esistente, di  costruzione di percorsi di autorganizzazione dal basso.
Su questa strada è necessario continuare a muoversi e su questo terreno è necessario investire, ribadendo e tenendo presente la grande rilevanza del ruolo dell’università e dei suoi spazi quotidianamente attraversati dal corpo studentesco anche nei periodi di cosiddetto riflusso.
Una terzo filone d’interpretazione di questo movimento riguarda la centralità del concetto di autorganizzazione e il rifiuto di ogni logica di rappresentanza e di delega. Fin dal primo giorno, infatti, l’occupazione di Via Zamboni 38 si è posta in aperta contrapposizione con le associazioni delle sinistra moderata
perfettamente integrate nel teatrino della rappresentanza studentesca e si è posta l’obiettivo di una gestione assembleare e condivisa degli spazi liberati; in quest’ottica è stato quasi automatico superare e mettere provvisoriamente in disparte i percorsi dei collettivi autorganizzati preesistenti. Al concetto di
autorganizzazione (o meglio alla nostra interpretazione di tale concetto) è dedicato un approfondimento specifico a pag. 2.
Dopo la manifestazione nazionale del 25 Ottobre a Roma, la partecipazione degli studenti alla lotta è progressivamente scemata in molte città, in particolare in quelle che si erano attivate per prime, come Roma ma anche la stessa Bologna.
Nella nostra città la successiva esperienza dell’A.U.L.A. Scaravilli ha confermato le grandi potenzialità del movimento studentesco, ma ha iniziato ad evidenziarne quei limiti che in Via Zamboni 38 si erano riusciti a superare o quantomeno a nascondere; nel venir meno la dimensione di massa si è manifestata una certa incapacità di incidere sui temi concreti legati al diritto allo studio e alla vita quotidiana nelle facoltà. Si sono inoltre iniziate a
delineare dinamiche di gruppo che hanno messo fortemente in discussione la compattezza del movimento e frenato quel percorso di reale autorganizzazione che aveva caratterizzato le pr ime set t imane di mobilitazione. Da qui anche l’incapacità di mettere in campo una risposta forte di
fronte allo sgombero dell’A.U.L.A. operato dalla Digos su mandato esplicito d e l l ’ amministrazione Calzolari.
Difficile dire quanto queste difficoltà siano state dovute a limiti ed errori soggettivi da parte dei compagni che più si sono spesi nelle lotte di quei mesi, quanto fossero invece fisiologiche nella prima grande ondata di contestazione studentesca dopo anni relativamente “piatti”, o quanto siano state legate alla necessità di tornare a una quotidianità più gestibile all’interno di un sistema universitario che comprime i tempi di vita degli studenti e li costringe ad uno stato di perenne ricattabilità.
Da queste esperienze dovremo comunque saper imparare per non ripetere gli stessi errori in occasione delle prossime auspicabili fasi di movimento.
E’ necessario quindi iniziare a sperimentare nuovi modi per costruire conflitto e sedimentare autorganizzazione nell’università del 3+2, nuove forme di lotta che riescano a incidere sulla vita quotidiana degli studenti, a bloccare gli ingranaggi dell’università azienda, a spezzare le catene delle sessioni
d’esame e delle frequenze obbligatorie.
Ad alcune idee, parziali e insufficienti ma a nostro avviso utili, su come rendere concreto questo intento sono dedicate le prossime pagine di questo volantone.

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