Apr 162013
 

Volantino distribuito per le strade di Genova il 4 aprile 2013, nel corso della giornata di mobilitazione nazionale in solidarietà con gli imputati per gli scontri del 15 ottobre 2011 a Roma.

LA RIVOLTA E’ VITA

Il 4 aprile ha inizio il processo che vede imputate 25 persone per la rivolta del 15 ottobre a Roma.
Ma cos’è successo quel giorno? Una mobilitazione mondiale contro le politiche di austerità si annunciava come la solita protesta pacifica e moderata nelle strade della capitale. I soliti politici di sinistra, già pronti a riciclarsi e a cavalcare l’onda del malcontento, contribuivano a render gli slogan solo parole vuote, sperando così di evitare il nascere di un’espressione reale e radicale della protesta.
Ma avevano fatto male i conti, per migliaia di persone non era possibile “indignarsi” e piagnucolare contro le misure di austerity, non era accettabile sfilare per elemosinare modifiche al sistema: perché non scagliarsi tutti insieme contro chi ci sfrutta e opprime ogni giorno?
Banche e agenzie interinali lungo il percorso del corteo vengono attaccate, le loro vetrine sfondate.
Solo una briciola , una piccola parte della violenza che ogni giorno questi uffici esercitano su poveri e sfruttati viene rispedita al mittente.
Il corteo prosegue e i manifestanti si scagliano contro una caserma dell’esercito italiano, i vetri infranti e il palazzo viene parzialmente distrutto da un incendio.
Questa è una normale e istintiva risposta al terrore e alla devastazione che i “nostri eroi” causano con le bombe sganciate sulle popolazioni nei territori di guerra come Iraq, Libia, Afghanistan. Un’espressione di ribellione contro chi quotidianamente bombarda, stupra, massacra in giro per il mondo.
Alcuni tra i promotori e partecipanti alla manifestazione dispongono servizi d’ordine ad hoc per impedire qualsiasi azione non in linea con la parata pacifica da loro auspicata, fanno cordoni non per proteggersi dalla polizia, ma per bloccare eventuali “facinorosi”, sono pronti a contrapporsi fisicamente per difendere i luoghi e i simboli del potere, si calano nel ruolo degli sbirri, aggrediscono gli altri manifestanti, li fotografano, li chiamano fascisti e intervengono in modo attivo aiutando la polizia ad identificarli.
Le forze dell’ordine caricano duramente la parte del corteo già arrivata in piazza San Giovanni, dove il corteo dovrebbe concludersi con un comizio politico, premeditato da vari gruppi e partiti per promuovere una soluzione democratica alla situazione di esasperazione che aveva portato a quella giornata.
Questa carica è la goccia che fa traboccare il vaso, è la scintilla che scatena il desiderio di rivolta tra i manifestanti. Gli sbirri che manganellano i pacifisti con le mani alzate saranno costretti alla ritirata da chi capisce che le mani è meglio usarle per lanciare i sanpietrini sradicati dal lastricato della piazza.
Il blindato dei carabinieri che tentava deliberatamente di investire la folla con assurdi caroselli in una piazza gremita viene assaltato, lo scellerato autista si salva per miracolo e il mezzo viene dato alle fiamme, illuminando San Giovanni e i cuori di chi ha scelto di non abbassare la testa.
Sul retro del mezzo in fiamme, qualcuno traccia la scritta A.C.A.B. CARLO VIVE.
Solo più tardi si scoprirà che, ironia della sorte, quel blindato proveniva proprio da Genova e dalla caserma di Bolzaneto, dopo anni di richieste di “verità e giustizia” sui fatti del G8, l’unica giustizia possibile arriva dalle mani della nuova generazione di incappucciati.
Carlo, ucciso per aver scelto la via della rivolta a quella della rassegnazione di una protesta-farsa, dopo anni di pallide commemorazioni, vive per davvero, in mezzo a tutte quelle persone che circondano e assaltano la camionetta.
I giorni seguenti vengono lanciati dai media appelli alla delazione e all’infamia, si chiede alla popolazione ancora turbata per la furia distruttiva della manifestazione di fornire alla polizia foto e video al fine di aiutare l’identificazione e l’arresto dei violenti.
Nel corso di poco più di un anno, 41 persone vengono denunciate, indagate, sottoposte a misure cautelari o arrestate per reati come devastazione e saccheggio o resistenza aggravata a pubblico ufficiale. Gli arresti sono isolati, eseguiti in tempi diversi, in sordina. Gli individui vengono imprigionati e processati, velocemente condannati con il meno clamore possibile, l’obiettivo di colpire uno ad uno è finalizzato a isolarli e smorzarne fisico e animo. Lo scopo è far sentire gli imputati soli, indifesi e perché no, cercare di spingerli al rimorso, al pentimento! Questo gioco che porta avanti la giustizia di Stato può avere effetti devastanti e di fatto degli effetti ci sono stati; 16 condanne in un anno con pene pesantissime dai 2 ai 9 anni. Dovute in parte a scelte processuali di difesa tese a ridurre i danni! Non si può certo biasimare chi ha scelto di difendersi con riti abbreviati o patteggiamenti in questo clima di solitudine creato ad hoc, ma coscienti di questo possiamo impugnare l’arma della solidarietà in modo che queste differenziazioni non si ripetano un’altra volta, di modo che mai nessuno possa sentirsi abbandonato, che mai a nessuno venga il dubbio che non ne valeva la pena!
Non possiamo permettere di farci infettare dal virus del rimorso, possiamo invece ribadire che da Genova a Roma, da Atene a Londra ogni fuoco di rivolta è stato alimentato dallo stesso spirito di rabbia che per sempre ci scalderà il cuore.
Quando la rivolta esplode tutto cambia, le città vengono stravolte, i nostri cuori battono all’unisono, tutto è raggiungibile e attaccabile.
Sta a chi sogna che la routine delle strade attraversate ogni giorno sia rovesciata dalla gioia della rivolta, sta a tutti noi rompere l’isolamento che vorrebbero creare intorno ad ogni imputato : le 3 mila persone in corteo a Teramo in risposta alle prime condanne per devastazione e saccheggio, gli attacchi alle banche e alla polizia schierata del corteo del 16 marzo a Milano in memoria di Dax, ucciso dai fascisti nel 2003, tutte le azioni dirette e le manifestazioni di solidarietà che hanno avuto vita in questo anno dimostrano che farlo è possibile.
Oggi qui a Genova, come in molte altre città d’Italia, scendiamo nelle strade per esprimere la nostra solidarietà a tutti gli imputati ed arrestati per i fatti del 15 ottobre 2011.
Che l’eco delle nostre urla di rabbia si diffonda per strade, valli e città.

SOLIDARIETA’ A TUTTI I PRIGIONIERI

http://www.informa-azione.info/repressione_15_ottobre_la_rivolta_%C3%A8_vita_volantino_solidale_distribuito_a_genova