Apr 212021
 

Riceviamo e pubblichiamo

Il CPR di Gradisca – precedentemente noto come CPT e CIE – ha riaperto il 17 dicembre 2019. Un mese dopo, colpito dalle botte di otto membri delle forze dell’ordine, lì dentro è morto Vakhtang Enukidze, che era nato in Georgia e aveva 38 anni. Tra le varie versioni di quello che è successo nelle ore che hanno preceduto la morte di Vakhtang, noi abbiamo subito creduto e diffuso quella dei suoi compagni di prigionia che, in cambio della loro testimonianza, hanno ricevuto dallo Stato italiano un decreto di espulsione e sono stati immediatamente deportati nei Paesi di provenienza.
Dopo altri due mesi, a Gradisca e nei territori circostanti, cominciava un confinamento sociale per ragioni sociosanitarie, che – tra le altre cose – ha trasformato de facto il centro di accoglienza (Cara) a fianco del CPR in un altro CPR o campo d’internamento.
Nella primavera del 2020, il lockdown ha ridotto brutalmente la presenza solidale sotto le mura del CPR di Gradisca: le voci delle persone rinchiuse, che per la prima volta avevano valicato il muro di cinta raccontando all’esterno la violenza dell’istituzione, per mesi non hanno avuto, lì sotto, nessun orecchio che le ascoltasse. Nel frattempo, le deportazioni si erano fermate ma i CPR non hanno mai chiuso: nemmeno il rischio di un collasso sanitario e di una strage di esseri umani
intrappolati hanno potuto incrinarne l’esistenza.
Durante l’estate, il CPR di Gradisca ha ammazzato un’altra persona. Il suo nome era Orgest Turia ed è morto dopo un’overdose di farmaci: la verità sulla sua morte, come su quelle di Vakhtang e dei morti delle carceri di marzo, sta subendo un processo di insabbiamento con molti responsabili.
Come si è detto più volte in questo ultimo anno, la pandemia ha esacerbato le differenze sociali, pur non avendo innescato il conflitto. Tra i gruppi subalterni che hanno subito più forte la crisi sociosanitaria e la costrizione al lavoro in condizioni più pericolose del solito, ci sono le persone senza cittadinanza italiana, senza documenti regolari oppure appese al ricatto del rinnovo del permesso di soggiorno.
Le migrazioni sono un fenomeno antropologico connaturato all’essere umano, ma nella storia sono avvenute in varie forme e per varie ragioni.
Il sistema globale neoliberista prevede lo sfruttamento di molte aree della terra e di popolazioni per il benessere di alcune specifiche aree, popolazioni e classi sociali. A causa di questo sistema, molte persone sono costrette a spostarsi contro la loro volontà; altre sono costrette a fuggire dalle bombe e dalla repressione; altre scelgono di muoversi per altre ragioni. L’esistenza delle frontiere, la gestione razzista e classista dei passaporti e dei visti e la militarizzazione dei confini
europei di terra e di mare rendono i viaggi migratori una scommessa di vita o di morte per migliaia di persone. Per chi approda in Europa, si apre un altro viaggio tra minaccia dell’irregolarità, lavoro nero e razzismo sistemico.
Come scrive la rete Mai più lager, che il 24 aprile si mobiliterà contro i CPR in varie città italiane, «I CPR, di tale percorso, sono l’epilogo, la fase terminale espulsiva di un sistema respingente e repressivo, lì dove alla negazione del diritto e dell’accoglienza si aggiungono la privazione della libertà e l’offesa della dignità personale, prima della rispedizione al mittente».
Sabato 24 aprile saremo a Gradisca per ricordare a quella città che sta ospitando un lager e per far sapere a chi è dentro che qualcuno è loro solidale e crede che quel posto non vada reso migliore ma raso al suolo.
Nel frattempo, a Trieste, chi agisce in solidarietà alle persone in arrivo dalla Rotta balcanica viene accusato di
favoreggiamento all’immigrazione clandestina. Da Gradisca a Trieste, siamo solidali con l’associazione Linea d’ombra: per noi, gli unici che favoriscono l’immigrazione clandestina sono gli Stati e i governi che impediscono l’immigrazione cosiddetta legale.

Sabato 24 aprile
ore 15.00
a GRADISCA D’ISONZO
in centro città
Piazzale Unità d’Italia
presidio
CONTRO TUTTI I CPR