Apr 192021
 

Riceviamo e pubblichiamo

Sabato 10 aprile sui prati del Talvera a Bolzano si è svolta una
mobilitazione solidale per ricordare Ambra Berti, ragazza bolzanina di
appena 28 anni morta in circostanze non chiare nel carcere di Spini di
Gardolo il 14 marzo.

Almeno un centinaio di persone, parenti, amici e solidali hanno partecipato
ad una giornata che aveva l’obiettivo di rompere il silenzio e la cinica
indifferenza nei confronti dell’ennesima morte di carcere. Moltissime le
persone che si sono fermate per prendere un volantino, parlare, capire,
ascoltare, fra cui molti che l’abbrutimento del carcere nel corso della
loro vita lo hanno conosciuto e vissuto sulla propria pelle.

Ambra veniva da una storia personale difficilissima ed alcune testimonianze
dal carcere raccontano delle sue crescenti difficoltà all’interno del
penitenziario trentino. La detenzione, la lontananza dai propri figli e
affetti, la solitudine e il disinteresse colposo della responsabile
sanitaria riguardo alla sua situazione, lasciano pensare come si tratti di
una fine annunciata che sarebbe stato possibile evitare.

La sua morte ed il totale disinteresse che la sua fine ha trovato fra i
media locali stride con la morbosa attenzione e sollecitudine con cui
giornalisti e direttori di quotidiani locali hanno seguito – e seguono –
per mesi il caso di Benno Neumair rispetto al quale il direttore dell’Alto
Adige Alberto Faustini è arrivato addirittura a scrivere un’editoriale in
cui denunciava la mancata trasmissione, da parte della magistratura, di
informazioni ai cronisti locali. Lo stesso interesse evidentemente non ha
riscontrato la morte di Ambra: la sua condizione di “dannata” per mille
motivi e la sua fine, risucchiata nel buco nero del sistema carcerario
italiano, non si prestava a narrazioni da film giallo in grado di
appassionare il lettore e far vendere copie. Parlare di Ambra avrebbe
significato affrontare l’indecente situazione delle carceri italiane,
avrebbe significato evidenziare gravi responsabilità istituzionali ed il
significato stesso che tale pena aveva per una giovane donna di 28 anni e
madre di due figli. Insomma, una morte di carcere tutto sommato considerata
di routine non poteva certo competere o rubare spazio al caso Neumair.

E anche qui emergono le implicazioni di classe che rispecchiano il diverso
interesse che le due vicende riscuotono fra media, commentatori,
opinionisti e tuttologi.

Ritornando al presidio, dalle 15 alle 17 circa sono stati fatti diversi
interventi in cui si sono denunciate le responsabilità dell’amministrazione
penitenziaria e dell’area sanitaria interna al carcere. È stata ribadita
l’importanza di rompere l’isolamento fra interno ed esterno e di costruire
solidarietà laddove le autorità vorrebbero che prosperasse solo solitudine
e disperazione. Il carcere infatti causa ogni anno decine di suicidi e
ancora più morti per mancanza di cure adeguate. Oltre a ciò l’abuso del
consumo di psicofarmaci è favorito, anzi fomentato dalle amministrazioni
carcerarie per mantenere dormienti i detenuti.

Dalle 17 alle 18.30 circa il presidio si è spostato sotto le mura del
carcere di via Dante dove, fra una canzone e l’altra, sono stati salutati i
detenuti che hanno risposto calorosamente facendo battiture. È stato
spiegato loro il motivo della presenza sotto le mura: l’assurda fine di
Ambra e la necessità di spezzare l’assordante silenzio di direttrice e
autorità al riguardo. Ma si è parlato anche dell’importanza di rompere
l’isolamento fra dentro e fuori le mura e lottare per evitare che il
carcere continui ad essere un buco nero che risucchia la parte più povera e
marginale della società e dove vige l’arbitrarietà più totale. Si sono
ricordati i 14 morti durante le rivolte nelle carceri italiane nel marzo
2020 e le feroci rappresaglie dei secondini con sanguinosi pestaggi e
torture diffuse contro i rivoltosi.

È stata una giornata positiva che ha saputo da una parte creare un momento
di ricordo per Ambra oltre che di confronto riguardo alla necessità di
organizzarsi per impedire che altre vite vengano spezzate dagli ingranaggi
carcerari, dall’altro ha portato un po’ di calore e solidarietà nell’angolo
più dimenticato e nascosto dell’Alto Adige, lontano dal cliché legato alla
provincia più ricca d’Italia, così come la stessa storia di Ambra è lontana
anni luce dalla retorica che dipinge la nostra provincia come un’isola
felice. Una finzione buona solo per uno spot pubblicitario.

Essere in piazza per Ambra era il minimo da fare. Basta morti di carcere.
Basta carcere. Rompiamo l’indifferenza e l’isolamento.