Feb 202021
 

Riceviamo e pubblichiamo

È passato quasi un anno dalle rivolte scoppiate nelle carceri di questo paese, proteste collettive che si sono espanse a macchia d’olio in tutto il mondo. Le persone prigioniere che si sono ribellate sapevano e sanno bene che nessun governante avrebbe mosso un dito per mettere in salvo dal contagio chi è rinchiuso: da sempre le galere escludono e vessano migliaia di vite, anche prima del Covid. Le proteste di chi era dentro hanno fatto scendere in strada anche chi ha i propri affetti rinchiusi, soprattutto le donne, che hanno deciso di non stare ad aspettare in silenzio, portando fuori con forza le rivendicazioni di salute e libertà che venivano dai prigionieri e dalle prigioniere.

A Roma il tempo della rivolta è stato il 9 marzo, sia a Rebibbia che a Regina Coeli, la rabbia è esplosa e diverse forme di protesta sono continuate durante il corso dell’anno. Quel 9 marzo iniziavano a circolare le notizie della morte di alcuni detenuti durante le rivolte del giorno precedente a Modena e Rieti.

A Rebibbia 55 detenuti sono accusati di pesanti reati, tra cui devastazione e saccheggio, in seguito alla sommossa. Sono centinaia i detenuti che andranno a processo per le rivolte in tutto il paese. Possibile che lo stato abbia avuto il coraggio, dopo le stragi e le torture di marzo e aprile che hanno tracciato una lunga scia di sangue, di mandare a processo centinaia di detenuti che hanno gridato la loro rabbia indicando l’unica soluzione possibile, ovvero lo sfollamento delle galere, per salvarsi dal contagio?

È la necessità di scongiurare nuove proteste a scatenare questa pesante vendetta. Le giuste rivendicazioni vengono messe a tacere con la violenza più feroce.

Sì, lo stato ci tiene alle sue galere, a quelle mura e a quelle sbarre così alte, che hanno un effetto su milioni di esistenze, anche quelle “libere”.

Le morti durante le rivolte parlano chiaro, raccontano quello che lo stato è disposto a farci per governare con la paura, per ribadire il suo potere se alziamo la testa, per impedire la solidarietà.

Il carcere non può restare una bolla separata da chi abita la città, non lo è e non possiamo permetterci di girare le spalle a chi è imprigionato/a.

Invitiamo tutte le realtà e le persone interessate a partecipare il giorno 27 Febbraio alle ore 16,30 in P.zza Perestrello per un momento di confronto e aggiornamento sulla lotte nelle carceri e per parlare della mobilitazione nazionale dell’8 marzo sotto al ministero della giustizia.

Marzo 2020, quella nelle carceri è una strage di Stato.

NON LASCIAMOLI SOLI/E