Giu 092020
 

riceviamo e pubblichiamo

Il capitalismo: crisi e ristrutturazioni

In queste fasi di emergenza e pandemia stiamo vivendo un passaggio epocale del capitalismo. Non si tratta di una novità: è da decenni che assistiamo alle sue trasformazioni, ma in questa situazione stanno emergendo con più forza e violenza, cogliendoci impreparati.
In centinaia d’anni, il capitalismo ha avuto bisogno di sfruttare moltitudini di esseri umani e di saccheggiare terre e risorse attraverso strumenti e tecniche sempre differenti, a seconda dell’epoca storica, della composizione sociale, del sistema
economico presente e della latitudine in cui agiva.
Il risultato e gli obiettivi sono però sempre stati gli stessi: accumulare con violenza e sfruttamento. Il solo uso della forza esplicita e tradizionale non sempre basta. Per questo, le armi si affinano, si modificano, si adeguano. Nella parte di mondo in cui viviamo, stiamo assistendo a un periodo di ridistribuzione dei poteri e di trasformazione del sistema capitalistico tradizionale di impronta industriale, che non ha certo cessato di esistere in tutto il mondo. La difficoltà dell’accumulazione richiede nuove strategie, maggiore sfruttamento umano, continui e gravi saccheggi e devastazioni di territori e risorse. Davanti a noi, il capitalismo non si presenta come un blocco monolitico: al suo interno le lotte per il potere e l’egemonia non cessano di susseguirsi. I pochi e le multinazionali che ne escono vincitori accumulano sempre più potere e ricchezze, mentre si assiste a un impoverimento di massa e a un peggioramento della qualità della vita. Tra le forme di ristrutturazione capitalistica, vi è quella che è stata nominata il capitalismo della sorveglianza, in cui il ruolo della tecnologia è sempre più profondo e capillare. In questo contesto, l’esperienza umana diventa una materia prima gratuita per pratiche commerciali nascoste di estrazione, predizione e vendita.
Il comportamento umano è continuamente sotto controllo e attraverso queste forme di sorveglianza globale le esperienze personali diventano fondamentali per predire comportamenti futuri e desideri. Il concetto stesso di umanità viene messo in discussione: gli esseri viventi sono considerati non solo come corpi da sfruttare, ma anche come fasci di dati da cui trarre profitti e informazioni utili a orientare le scelte future. Si tratta di una logica economica parassita nella quale la produzione
delle merci e dei servizi è subordinata a una trasformazione comportamentale degli individui e delle masse.
Ogni sfera della vita umana, anche quelle immateriali, vengono colonizzate e i comportamenti plasmati. Questa crisi e queste ristrutturazioni hanno effetti pervasivi in ambito economico-lavorativo, politico, sociale, sanitario ed ecologico.

In Italia: le parti in campo

Da più di trent’anni, la gestione aziendale della sanità ha comportato continui tagli e privatizzazio-ni. Il sistema sanitario è stato smantellato e deturpato a tal punto da rendere sempre più difficile l’accesso alle cure per chi non ha il portafogli gon-fio. Così, mentre le risorse destinate alla sanità sono state sempre meno, l’industria bellica viene lautamente sovvenzionata. Le guerre e gli affari economici e militari non si sono fermati neanche con la pandemia, portando migliaia di persone a muoversi dai propri paesi di origine verso l’Europa e i paesi ricchi, attraversando deserti, mari, centri di detenzione.
I lavoratori sono sempre più sfruttati e sacrificati in nome del profitto dei loro padroni. Con il “miracolo” dello smart working avremo individui ancor più soli e atomizzati.
La scuola, già segnata da una deleteria aziendalizzazione, da una consistente precarizzazione degli insegnanti con conseguenze sulla qualità della didattica, ha oramai la sola funzione di creare nuovi sudditi, nuovi consumatori, nuovi padroni e nuovi schiavi. La didattica online, introdotta in tempi di pandemia, ha contribuito alla dissuasione e all’affievolimento delle interazioni e delle relazioni tra gli individui, tentando di evitare concrete possibilità di incontro, protesta e crescita collettiva.
Gli emigrati e le emigrate non versano certo in condizioni migliori. Sia nelle città che nelle campagne, dove si produce il cosiddetto made in Italy, i lavoratori immigrati vivono in condizioni di sfruttamento e schiavitù. La necessità di un maggior numero di lavoratori nel settore agricolo, richiesta a gran voce da Coldiretti e Confindustria, ha portato all’inserimento nel Decreto “Rilancio” del 13 maggio 2020 di una misura per regolarizzare una parte degli emigrati che vivono in Italia. Questa sanatoria non permetterà agli immigranti di ottenere documenti e permessi di soggiorno a lungo termine e rinnovabili, ma solo a garantire ai padroni di non perdere profitti e allo stato di regolarizzare la schiavitù.

L’operazione “Ritrovo” e gli espliciti intenti dello Stato

In questo contesto socio-politico, il 13 maggio 2020, a Bologna si è conclusa una lunga indagine che ha portato all’arresto di sette compagni e compagne, mentre per altri/e cinque è stato disposto l’obbligo di dimora a Bologna con rientro notturno. L’accusa è di associazione sovversiva con finalità di terrorismo (270bis). La Procura di Bologna si è espressa in questi termini, mostrando le sue intenzioni: «In tale quadro, l’intervento, oltre alla sua natura repressiva per i reati contestati, assume una strategica valenza preventiva volta a evitare che in eventuali ulteriori momenti di tensione sociale, scaturibili dalla particolare descritta situazione emergenziale, possano insediarsi altri momenti di più generale “campagne di lotta antistato” oggetto del citato programma criminoso di matrice anarchica».
Gli elementi raccolti per la convalida di queste misure sono legati alle lotte che i nostri compagni e le nostre compagne portavano avanti nel loro territorio, espresse nel portare solidarietà ai reclusi nelle carceri e nei CPR (ricordiamo la recente presenza solidale sotto il carcere della Dozza durante la rivolta dei primi giorni di marzo e la lotta contro l’apertura del CPR di Modena), in cortei non autorizzati, affissioni di manifesti e diverse iniziati-ve pubbliche. Per rincarare la dose sono stati inseriti nell’inchiesta il sabotaggio di un’antenna della televisione più altri danneggiamenti e imbrattamenti.
Lo scopo dello Stato, dunque, non è colpire solo le pratiche, alle quali ci sentiamo comunque solidali, ma punirne anche il solo pericolo presunto, cioè l’intenzione e le possibilità che essa apre.
Di conseguenza, ci pare chiaro che in questo contesto repressivo non si inserisca solo una cosiddetta minoranza radicale, ma ogni forma di lotta contro un mondo di sfruttamento e barbarie.
Infatti, la repressione di Stato e Polizia non ha mancato di colpire i lavoratori che si sono ribellati contro condizioni sempre più precarie, ricattabili e ritmi di lavoro asfissianti.
Un esempio è quello dei lavoratori del magazzino della TNT di Peschiera Borromeo (MI) che, all’inizio di maggio, hanno occupato il magazzino per due giorni per protestare contro la sospensione di cento lavoratori interinali di Adecco e sono stati sgomberati e repressi da un’ingente forza di polizia e carabinieri, e nella sede di Bovisa (MI) sgomberati con l’intervento dell’esercito.
Ad essere colpito è stato anche chi, in condizioni di miseria e povertà, si è trovato costretto ad occupare una casa o a non poter più pagare l’affitto ed essere di conseguenza messo sotto sfratto e sgomberato. È successo anche nel periodo della quarantena nei quartieri di Corvetto e San Siro, dopo che il Comune di Milano aveva dichiarato di sospendere gli sfratti e gli sgomberi fino al 30 giugno e diffondeva con tutti i suoi mezzi di comunicazione l’indicazione di restare a casa per non diffondere il Covid-19.
Anche nelle carceri sovraffollate ci sono state forti rivolte. I detenuti, che durante l’emergenza del Covid-19 si sono ribellati per la privazione di misure e tutele sanitarie necessarie, ammassati in piccole celle, sono stati repressi con pestaggi, privati del vitto e delle cure mediche e trasferiti in altre carceri. Queste rivolte sono costate quattordici morti per mano dello Stato. Quanto è successo nelle carceri italiane e di tutto il mondo non è da considerarsi un’eccezione, perché il problema è insito nella natura stessa dell’istituzione-carcere, coercitiva e autoritaria.
La repressione ha trovato nuove possibilità per ampliare il suo raggio d’azione e coinvolge sempre più persone.
Il controllo dell’individuo e della società si attua capillarmente non solo attraverso posti di blocco, ma anche con l’utilizzo di droni, autocertificazioni, elicotteri, check-point e telecamere intelligenti. In questi ultimi mesi, quasi l’intera popolazione è stata soggetta ad una forte restrizione nella libertà di movimento. I controlli di Polizia sono aumentati in maniera consistente, con l’ulteriore supporto dell’Esercito Italiano che ha assunto anche il ruolo di pubblico ufficiale. Un esempio eclatante di uso della forza da parte dei militari si è verificato durante il picchetto dei lavoratori in sciopero della Bartolini di Sedriano (MI).

Rompiamo la normalità

Ci insegnano a vivere ognuno per sé, ognuno nella sua sfera privata e impermeabile, ad essere indiffe-renti alle ingiustizie, a produrre e consumare solo per noi stessi, a immiserirci in guerre tra poveri e cannibalismo sociale.
Non è questo il sistema in cui vogliamo vivere. Continueremo a lottare per un mondo basato su valori di solidarietà e mutuo appoggio, creando comunità lontane da delega e autorità dove ogni individuo è promotore delle proprie istanze. Durante il lockdown una frase si è diffusa velocemente in tutto il mondo: «Non vogliamo tornare alla normalità, perché la normalità è il problema».

Pensiamo che sia davvero necessario interrompere il prima possibile questo ritorno alla normalità. Per farlo ci sarà bisogno di tutti noi, di tutte le nostre capacità e del nostro coraggio, perché la soluzione è mettere in discussione il sistema mortifero del capitalismo e avanzare altre proposte.

In tre o in tremila, nei magazzini o nelle piazze, davanti alle case occupate o sotto le mura di galere e CPR, nei picchetti o nei sabotaggi, in città o in montagna…
Lottiamo insieme. Lottiamo affinché di quella normalità ne resterà soltanto il ricordo.
CHI LOTTA NON È MAI SOLO
LIBERTÀ PER TUTTI E TUTTE
SANATORIA PER TUTTE E TUTTI

20 GIUGNO 2020
CORTEO A MILANO
ore 16 concentramento piazzale Loreto,
angolo via Padova, mm Loreto

Solidali e Anticapitaliste/i