Set 242019
 

2011 una protesta globale dall’Asia all’Europa. Il movimento degli `indignati´ contro gli abusi della finanza, il precariato e le ricette anti-crisi della politica esportò la protesta in 951 città di oltre 80 Paesi.
A Roma, come altrove, la manifestazione non espresse solo indignazione ma vera e propria rabbia. Per le strade furono individuati alcuni luoghi rappresentativi dell’arroganza del capitale, i suoi sostenitori e paladini. Non furono certo poche le persone che decisero di rispondere alla guerra che lo Stato perpetua unilateralmente, con politiche economiche, sociali e repressive.
Per molte persone fu una giornata in cui ci si ritrovò in tanti e tante a respirare un’aria diversa, e non ci riferiamo certo ai lacrimogeni.
Fu un giorno che si credeva indimenticabile e che avrebbe potuto rappresentare la potenzialità di un agire collettivo oltre la mera espressione di indignazione.

Durante il corteo e nei giorni immediatamente seguenti ci furono gravi prese di distanza (anche da parte di chi aveva partecipato a quella giornata di lotta con parole altisonanti e suggestive) e partì la caccia ai “cattivi incappucciati”. Molte furono le perquisizioni, molti gli arresti. Lo Stato ha istruito, negli anni, 3 filoni di processo per ricordare che la violenza è suo appannaggio e lanciare un monito per il futuro.
Al centro dell’attenzione processuale e anche mediatica, oltre l’incendio della camionetta dei carabinieri, il reato di devastazione e saccheggio. Il rispolvero dell’utilizzo di questo capo di imputazione pone le basi al tentativo di disciplinamento delle manifestazioni di dissenso il cui culmine è rappresentato, ad oggi, dal decreto sicurezza bis.

Inoltre il reato di devastazione e saccheggio permette allo Stato di comminare elevatissime condanne. Il 1° grado del terzo filone del processo per la giornata del 15 ottobre, si è concluso nel 2016 con pesanti condanne, da 4 mesi fino a 9 anni (distribuite tra 15 imputati, due assolti). Inoltre, ministeri (Ministero degli Interni, Ministero della Difesa, Ministero dell’Economia), banche (Banca Popolare del Lazio), Comune di Roma e aziende municipalizzate (ATAC e AMA), hanno ottenuto ingenti risarcimenti in qualità di parti civili danneggiate.

Un anno fa è iniziata la fase di appello che potrebbe concludersi entro quest’anno. Sono passati 8 anni da quel 2011 e di quello spirito sembrerebbe essere rimasto ben poco nelle piazze, nelle strade e nelle aule di tribunale, purtroppo non gremite di solidali in occasione delle udienze.
Genova 2001, Milano 2006, Roma 2011, Cremona 2015, Brennero 2016, tutti momenti in cui la presenza in strada è stata forte e chiara, senza mediazioni, generosa e determinata. Ed è questa determinazione che viene punita con il reato di devastazione e saccheggio; ridurlo a una questione tecnico-giuridica e non interpretarlo come uno strumento politico dello Stato, ci fa cogliere impreparati davanti all’accanimento e affinamento delle sue politiche securitarie.
Insistere col restare all’interno del “consentito” significa rassegnarsi all’idea che gli spazi di agibilità si riducano sempre più fino al loro totale annullamento. Nel decreto sicurezza bis è già in nuce la possibilità di non concedere più alcuna espressione di dissenso.

Vogliamo rompere questi meccanismi, essere al fianco di Vincenzo, di chi è sotto processo per il 15 ottobre, dei nostri compagni e compagne colpite dalla repressione, rivendicare con fierezza le ragioni delle nostre lotte.
Vogliamo unire gli sforzi dei/delle solidali per costruire quella forza in grado di rispondere all’attacco di chi devasta e saccheggia le nostre vite.

Chi si ribella non è mai solo/a
Compagne e compagni di Roma