Apr 092019
 

Riceviamo e pubblichiamo.

MAMMAGIALLA, UN LAGER IN CITTÀ
PRESIDIO AL TRIBUNALE DI VITERBO, Via Falcone e Borsellino, giovedì 18 aprile, dalle 10

In questa città esiste un luogo in cui le persone subiscono pestaggi, isolamento, torture che a volte portano alla morte; le cure mediche sono negate, la somministrazione di psicofarmaci è quotidiana. C’è un lager in città: il carcere di Mammagialla. Una prigione geograficamente isolata per restare lontana dagli occhi della gente ed essere difficilmente raggiungibile dai familiari dei detenuti. Un carcere sovraffollato in cui si finisce in isolamento per futili motivi, i pestaggi da parte della polizia penitenziaria sono all’ordine del giorno e in cui solo nell’ultimo anno tre persone sono morte in circostanze poco chiare.

A Mammagialla il DAP (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) non si fa alcuno scrupolo democratico a mostrare il proprio volto più vero e violento. Il carcere viterbese è considerato un carcere punitivo in cui ammassare i detenuti “ingestibili”. Tra questi, chi ha mostrato in altre carceri di non voler subire passivamente la violenza delle guardie e gli abusi della burocrazia; chi ha problemi psichiatrici, di tossicodipendenza o malattie gravi; stranieri.
Ed ecco che il carcere appare distintamente per quel che è: un contenitore di marginalità sociali create da un contesto in guerra coi poveri con politiche sociali ridotte all’osso, politiche sul lavoro al ribasso, politiche migratorie razziste.

Per affermare la propria esistenza e resistenza di fronte a continue vessazioni, violenze e intimidazioni, i detenuti ovunque protestano.
Vogliamo rompere l’isolamento e l’invisibilità di chi resiste ogni giorno dentro le odiate mura del carcere, massima incarnazione di un’oppressione sociale che riguarda tutti e tutte. Vogliamo farlo in un percorso che faccia sentire la nostra presenza solidale a chi è rinchiuso e ai familiari; la nostra rabbia e determinazione a chi rinchiude, picchia, uccide. Cominciamo dal tribunale di Viterbo in cui ha sede l’ufficio dei giudici di sorveglianza, in teoria responsabili del percorso “rieducativo” dei detenuti, in pratica complici di quanto accade tra quelle mura. Vogliamo rendere chiaro ai responsabili di quanto accade dentro le galere e a chi li protegge che nessuno sarà mai dimenticato né lasciato solo.

Il carcere non è la soluzione, ma parte del problema.
Rompiamo il silenzio per non essere complici!
Tutti liberi, tutte libere!