Lug 132018
 

In una landa desolata dove non arriva nemmeno il treno, all’inizio degli anni ’80 è stato tirato su un carcere dove chiudere 200-250 detenuti sotto regime duro; persone accusate di appartenenza alla camorra o comunque a bande organizzate, radicate, figlie dei quartieri di Napoli, della Campania. In quella situazione venne dato posto all’installazione di una sezione 41bis, comunque punitiva, composta al massimo da una decina di prigionieri considerati ‘altamente pericolosi’.
Sezioni come quella alla metà degli anni ’80 (ne) vennero installate ad Ariano Irpino, Spoleto, Foggia … nominate nel gergo carcerario «braccetti della morte» e voluti per chiuderci prigionieri ‘pericolosi’: ribelli, persone considerate appartenenti-dirigenti alla ‘mala’ delle città del centro-nord e alle organizzazioni extralegali di Campania, Puglia, Calabria e Sicilia.

Carinola vive “di carcere”. Poche case e qualche negozio le cui attività commerciali sono, molto probabilmente, soprattutto connesse alla vendita dei prodotti acquistati dagli stessi detenuti e secondini.
Fino al 2013 il carcere di Carinola era principalmente di massima sicurezza. E infatti, la prima cosa che salta agli occhi è la sua immensa e fortificata struttura. Mura di cinta altissime, bosco tutto attorno: impossibile raggiungere con lo sguardo le varie sezioni che (a parte una che affaccia sulla strada) sono tutte interne e lontane dal perimetro esterno. Ad oggi, da quanto è possibile leggere sul sito del Ministero di Giustizia, il regime interno prevede anche sezioni a sorveglianza dinamica (celle aperte durante il giorno) volte al “recupero sociale” di chi lì dentro è rinchiuso.

Tuttavia, nel carcere di Carinola è stata mantenuta tuttora la sua vecchia funzione punitiva che viene eseguita, nel tentativo di ‘rieducare’, con l’impiego dell’isolamento (14bis) nei confronti di chi nelle carceri tiene la testa alta, unisce i prigionieri nel far valere la propria e altrui dignità sotto tutti i punti di vista. I secondini qui vantavano di essere, dopo Poggioreale, il carcere ove i prigionieri venivano più pestati.

A gennaio a Carinola era stato trasferito Maurizio Alfieri dal carcere di Poggioreale (Napoli), ove era rinchiuso da aprile 2017 dopo esser stato trasferito da Opera in cui era in 14 bis.
Il vero motivo per cui l’avevano trasferito era a causa di una lettera collettiva firmata da 128 prigionieri in A.S. che aveva innescato un clima di lotta contro: le discriminazioni nelle possibilità di lavoro, la scarsità e qualità del vitto, le ancor peggio condizioni sanitarie, igieniche connesse a una funzione della magistratura di sorveglianza che legalizza il tutto, compresi gli assassinii.
Nel tentativo di paralizzare quell’iniziativa corale, il direttore, il noto aguzzino Giacinto Siciliano con l’aiuto delle guardie e dei burocrati dell’annientamento, chiusero in isolamento 14bis, a cominciare da Maurizio, una decina di prigionieri, che avevano caratterizzato questa mobilitazione titolata «la Cayenna di Opera».
Maurizio venne, quindi, trasferito a Poggioreale e gli fu mantenuto, in continuità, il regime di 14bis eseguito in una sezione vicina alla ‘cella zero’, a sua volta prossima alla sezione dove vengono ancor oggi chiuse, nascoste, le persone sottoposte al trattamento psichiatrico. Situazione che anche Maurizio ha cercato di far uscire dalla clandestinità in cui veniva esercitata.
Per questa ragione nella primavera del 2018 all’esterno del carcere a Napoli si riuscì a mettere in piedi, con l’impegno di diversi collettivi, due presidi-saluti a cui, al secondo, presero parte famigliari di detenuti e persone da poco in libertà. Tutto ciò nonostante il seguente trasferimento di Maurizio, a Carinola, disposto pochi giorni prima. Da quel momento fra diversi collettivi ci si impegnò a dar vita ad un presidio a Carinola affinché la solidarietà riuscisse a dare continuità alla lotta con l’obiettivo di estenderla e consolidarla.

Sabato 23 giugno si è tenuto un nuovo presidio sotto al carcere, in continuità con altri precedenti, indetto dalla campagna “Pagine contro la tortura”, in solidarietà al compagno Maurizio Alfieri e a tutti quelli che come lui, e come Davide Delogu ad Augusta ad esempio, lottano e non si sottomettono; ma anche contro i pestaggi, il 14 bis e il clima di sfruttamento che anche in questa prigione sono prassi quotidiana.

Eravamo una trentina di compagni e compagne da Roma, Napoli, Firenze Genova, Parma, Milano e Salerno. Abbiamo comunicato con l’interno con vari interventi, saluti, cori, slogan e musica per circa 3 ore. I prigionieri hanno risposto sventolando indumenti dalle inferiate, urla e una battitura… poi come spesso accade la pressione dei secondini ha determinato la fine della battitura e delle comunicazioni dall’interno.
Ma la loro presenza per quanto nascosta è rimasta percepibile e così i compagni e le compagne hanno scelto di non sciogliere il presidio.

Dai detenuti si è avuta l’ennesima conferma che per quanto il ministero si sforzi nella sua propaganda di apertura democratica, il carcere di Carinola è un carcere come tutti. Qualcuno da dentro ha sintetizzato il concetto con “Questo carcere è una merda!”
Gli interventi erano tutti mirati a sottolineare lo strumentale uso da parte degli organi repressivi dei regimi differenziati, volti alla desolidarizzazione e frammentazione delle persone, al reale significato di parole come “recupero sociale e riabilitazione” e cioè: l’educazione all’ammansimento ed assoggettamento. A quanto quelle mura, per quanto divisori di corpi, non possano rappresentare un reale confine per chi anela alla realizzazione di nuove prospettive. Infatti, fuori da quelle mura, sfruttamento, esclusione, guerre esterne ed interne sono altrettanto funzionali al raggiungimento degli stessi obiettivi di controllo e gestione.

In questo presidio, seppur per poco è stato rotto il muro di silenzio che avvolge i prigionieri e le loro lotte, è stata ribadita la solidarietà al compagno e si è messo in chiaro che i trasferimenti non potranno spezzare la nostra lotta al fianco di chi dentro le galere si batte per la propria ed altrui dignità. C’è stata inoltre una grande comunicazione fra manifestanti e prigionieri, con interventi sulle pratiche di lotta nelle carceri, come nelle campagne e città. Interventi tutti ascoltati e sottolineati dalle voci lanciate tra i manifestanti e le persone chiuse in carcere.

In ultimo. Durante il viaggio di ritorno una macchina, con a bordo alcune compagne e compagni, è stata fermata dalle solerti forze dell’ordine. Sono stati/e identificati/e e portati/e in un vicino posto di polizia per la notifica, ad una compagna, di un provvedimento tenuto da anni in un cassetto.

Un insegnamento per tutti e tutte: mai più via alla spicciolata!

Campagna “Pagine contro la tortura”