Apr 222017
 

carcere_webIl 22 gennaio 2017 muore a Napoli, nell’ospedale San Giovanni Bosco, Stefano Crescenzi di anni 38.

Stefano era entrato in carcere il 19 marzo 2013 e sin dall’inizio della sua carcerazione il suo stato psico-fisico si era rivelato del tutto inadeguato a sostenere il regime detentivo. Di lui, infatti, si sapeva che era sottoposto da anni ad una specifica terapia farmacologica poiché, a causa di un grave incidente stradale, soffriva di crisi epilettiche oltre ad essergli stata diagnosticata una sindrome bipolare. Sua madre si era immediatamente recata al commissariato per consegnare a coloro che avevano eseguito l’arresto i farmaci necessari alla salute di Stefano. Nonostante le rassicurazioni lo sforzo della madre risultò vano: i farmaci e la prescrizione medica non furono mai dati a suo figlio…

Durante il suo primissimo periodo di detenzione, passato nel carcere romano di Regina Coeli, Stefano provò a togliersi la vita ma un suo compagno di sezione riuscì a salvarlo.
I segnali premonitori di quanto sarebbe accaduto c’erano già tutti ma chi gestisce le vite altrui, i carcerieri nei loro molteplici peculiari ruoli (giudici, secondini, personale medico detentivo, periti di tribunali, colletti bianchi del DAP etc. etc…) non hanno occhi per vedere, accecati come sono dal loro ruolo di potere e di giustizieri. Stefano viene ritenuto uno che finge di stare male, perché in realtà ciò che vuole è uscire dal carcere… Porsi la banale domanda sul “chi non lo vorrebbe?” è legittimo ma ci porterebbe da un’altra parte.

Il Dap (come spesso accade) inizia a fare di Stefano uno dei tanti “pacchetti postali” che di punto in bianco si trovano ad essere trasferiti da un carcere ad un altro. Regina Coeli, Torino e Terni, dove sembra alla fine essere assegnato. In quest’ultimo carcere le condizioni di salute di Stefano precipitano ed i familiari, che vanno regolarmente a trovarlo a colloquio, in pochi mesi si trovano di fronte un ragazzo dimagrito di oltre 50 kg, che si muove su una sedia a rotelle quasi sempre accompagnato da un altro detenuto, che persevera in atti autolesionisti, che non riesce a mangiare ma continua ad essere imbottito di psicofarmaci diversi da quelli che assumeva quando era libero, avendo il personale medico deciso di cambiargli la cura.

Da Terni, Stefano, viene mandato a più riprese ma sempre per brevi periodi nel carcere di Livorno e lì detenuto nel reparto di osservazione. Nel frattempo i suoi familiari presentano varie istanze al giudice competente chiedendo che il proprio caro venga ricoverato in arresto domiciliare presso un ospedale al fine di ricevere le cure adeguate. Il giudice, alla loro terza istanza, decide per una consulenza nominando un medico legale al fine di eseguire una perizia medica. La sera dello stesso giorno in cui il perito redige la relazione medica per la quale, a suo avviso, Stefano non solo è compatibile con la detenzione ma anche le cure ricevute all’interno del carcere sono adeguate, la direzione di Livorno decide di non voler più correre rischi assumendosi la responsabilità della vita di Stefano e, da buon Pilato, se ne lava le mani: lo trasferisce nel carcere di Secondigliano, dove c’è un reparto clinico.
Ma ormai è troppo tardi. Da Secondigliano, dopo una settimana, viene mandato urgentemente all’ospedale Cardarelli e da lì al San Giovanni Bosco in reparto rianimazione. Ed è lì che Stefano morirà il 22 gennaio.

Una storia, una storia come tante come troppe. Dall’inizio di quest’anno già 35 detenuti sono morti all’interno delle galere. Una storia alla quale non è possibile rassegnarsi. Non certo i familiari di Stefano i quali con coraggio e determinazione portano avanti la loro personale battaglia affinché quanto accaduto al loro caro non accada più. Queste le parole di Tamara, mamma di Stefano: “Non c’è solo mio figlio. E’ successo a mio figlio? Può essere che se noi denunciamo quanto accaduto la prossima volta questi giudici ci pensano due volte prima di rifare la stessa cosa con un’altra persona! C’è tanta gente che purtroppo finisce in galera! E allora, io lo faccio pure per gli altri! Per mio figlio e pure per gli altri!”

Ancora una volta l’arroganza degli esecutori della legge, il loro pregiudizio, ha avuto ragione sulla vita di qualcuno decretandone la morte. Ancora una volta il carcere si dimostra uno strumento esiziale. Scopo del carcere è distruggere: l’identità, il pensiero, la dignità, l’agire e persino i corpi di chi lì viene sequestrato.
Parlano di “custodia cautelare” ma si trasformano in carnefici!

SABATO 20 MAGGIO ORE 15:00
DAVANTI IL CARCERE DI LIVORNO – VIA DELLE MACCHIE

ODIANDO IL CARCERE GIORNO DOPO GIORNO

PRESIDIO IN SOLIDARIETÀ CON LE PERSONE DETENUTE E I LORO FAMIGLIARI.
PERCHÉ QUELLO CHE È SUCCESSO A STEFANO CRESCENZI NON SUCCEDA MAI PIÙ

Per chi vuole organizzarsi e partire con i pullman da Roma: evasioni@canaglie.org