Mar 172014
 

 

Compagne/i,

scrivo questa lettera dalla mia casa trasformata in una cella da circa due anni. Scrivo per dare il mio contributo e sostegno all’assemblea di oggi 14 marzo e alla manifestazione del 15 marzo. La detenzione m’impone l’isolamento fisico dalle assemblee e manifestazioni ma non la complicità e la solidarietà morale con tutti i movimenti che quotidianamente scendono nelle strade per riappropriarsi dei diritti che i padroni hanno stralciato.

Per fare fronte alla dura repressione a cui siamo sottoposti negli ultimi anni dobbiamo costruire un ampio fronte di lotta e sviluppare la più efficace resistenza ai processi, alle condanne pecuniarie, alle misure restrittive, alla galera con cui oggi le Autorità si scagliano contro i mille conflitti e le mille resistenze che attraversano il paese.

La costruzione di un fronte di lotta unitario si può e si deve fare ed oggi, in questa sede, si possono gettare le basi di questo progetto di lotta che deve ambire a raccogliere tutte le organizzazioni operaie e popolari del paese. In questo momento storico estendere la solidarietà e la partecipazione alla lotta contro la repressione è un imperativo!

Le divergenze interne al movimento non devono essere un ostacolo per la creazione di una resistenza comune.

Il nemico che stiamo combattendo è lo stesso e questo deve unirci invece che dividerci. Soprattutto non dobbiamo consentire che gli apparati repressivi avanzino indisturbati nella loro opera di eliminazione degli spazi di agibilità democratica del movimento delle organizzazioni operaie e popolari del nostro paese. Di fronte a tutto questo non c’è difesa tecnico-legale che tenga: possiamo sconfiggere questo progetto soltanto sul piano politico, trasformando ogni procedimento in un processo ai nostri accusatori dentro e fuori dalle aule di tribunale!

Che questa sia la strada da seguire io l’ho sperimentato sulla mia pelle: assieme ad altri compagni di Teramo sono stato processato e condannato in 1° e poi in 2° grado per i fatti del 15 ottobre 2011 per il reato di “devastazione e saccheggio”. L’esperienza mia e degli altri compagni teramani testimonia che la migliore e più generosa difesa tecnico-legale e la più attenta dimostrazione dell’insussistenza delle prove dei PM serve a poco e niente se dentro e fuori dall’aula non si sviluppa il processo ai nostri accusatori da parte degli imputati e della rete dei compagni solidali, la mobilitazione che isola e mette all’angolo lo zelo dei Macilenti e dei Minisci, dei giudici compiacenti & co. che nel caso del processo per i fatti del 15 ottobre hanno finora fatto il bello e il cattivo tempo!

Sempre nell’ambito della persecuzione politica contro i partecipanti alla manifestazione del 15 ottobre sono processato con l’accusa di “tentato omicidio” per essermi opposto alla furia omicida del carabiniere Tartaglione che quel giorno era intento a cercare il morto lanciando la sua camionetta a tutta velocità contro la folla. Sono processato assieme ad altri 17 compagni/e! Penso che molti errori siano stati commessi in primis da noi imputati nella conduzione di questa battaglia: meno possibile dobbiamo farne da qui in avanti e soprattutto mettiamoci a lavoro per trasformare le prossime udienze in un processo ai nostri accusatori. Quindi ampliamo la solidarietà, mettiamo sotto pressione la magistratura romana, facciamo vedere la forza della rete di solidarietà che non arretra e avanza per stroncare un procedimento che ha lo scopo palese di decretare l’illegalità del diritto di protesta nel nostro paese.

Non dimentico le nuove prove repressive che vengono svolte in Val Susa dalla procura di Torino che alza il tiro accusando i No Tav Chiara, Mattia, Claudio e Niccolò di terrorismo per aver passeggiato in valle insieme ad altre centinaia di No Tav. Così come non dimentico i casi sempre più diffusi di compagni colpiti da attacchi repressivi a base di multe e pene pecuniarie, vedi i militanti No Tav e gli autoferrotranvieri ATAF, e subire cosi il ricatto di pignoramenti di beni accumulati con anni di fatica e sudore. Cedere a questi ricatti vuol dire ripetere una nuova Genova, dare la possibilità ai padroni di estendere queste misure a tutti/e proprio come il reato di devastazione e saccheggio. Non pagare è un dovere e ribellarsi alle ritorsioni è un diritto! Organizzarsi per disobbedire a queste misure repressive di tipo nuovo fa parte dei compiti che l’assemblea e i compagni che si riuniscono oggi devono mettere al centro della propria agenda.

Compagni e compagne, la repressione mira a distruggere la nostra lotta per cambiare il corso delle cose, noi dobbiamo imparare a resistere e trasformare anche la nostra resistenza in uno strumento contro le autorità che opprimono il nostro popolo e per costruire un futuro di dignità.

 

Saluti rivoluzionari, Mauro Gentile (militante comunista agli arresti domiciliari per i fatti del 15.10.2011)