Intervista a tre compagni del Comitato promotore della
"Campagna nazionale contro l'art. 270 e i reati associativi"

Domanda. Quali sono state le tappe e le scadenze più significative per iniziare e far avanzare la Campagna?

Risposta. Le tappe, in estrema sintesi, sono state: una discussione sviluppatasi principalmente tra alcuni compagni di Bologna, una discussione che ha coinvolto la rete regionale antimperialista anticapitalista che coinvolge compagni di alcune città a livello regionale, che hanno deciso di formalizzare una proposta su un foglio periodico e rendere pubblica questa proposta sulla Campagna. Una proposta interlocutoria, e non già definita, nel senso che l'idea era di veicolare la proposta in modo da verificare l'interesse che in altre aree e territori poteva suscitare. Il riscontro più consistente di questa proposta è stato del "Comitato contro la repressione di Viareggio-Versilia" che ha proposto un incontro. E altri riscontri vi sono stati, però formali, di generico apprezzamento che ci hanno, comunque, confermato l'impressione che la proposta potesse concretizzarsi. C'è stato un primo incontro, un confronto molto schietto e franco, su quello che ognuna delle diverse realtà pensava della proposta e, a seguito di un ulteriore incontro, utile ad elaborare la proposta in forma conclusiva, si è deciso di far partire la Campagna convocando l'Assemblea Nazionale il 23 gennaio dello scorso anno a Firenze. Questa iniziativa, di comune accordo, doveva essere la verifica ultima: dal bilancio dell'Assemblea dovevamo valutare se, effettivamente, c'erano le condizioni per avviare la Campagna, oppure se saremmo stati costretti a "programmare solo" una scaletta di iniziative, constatando l'impossibiltà concreta di avviare una vera e propria campagna. L'Assemblea è stata molto soddisfacente (150-180 presenza) e questo ci ha dato il sostegno e la spinta necessaria ad avviare la Campagna e a formalizzare anche un Comitato promotore.

D. Siete partiti dicendo di voler superare gli "ostacoli che fino ad oggi hanno impedito lo sviluppo di un'iniziativa concreta" in questo campo. Vi chiedo in che misura ci siete riusciti e anche se può bastare una Campagna per superare quel genere di ostacoli?

R. Se il riferimento che fai è relativo agli ostacoli all'interno del movimento, la considerazione che ci ha mosso, inizialmente, è che negli ultimi anni ci sono state diverse iniziative, assemblee, incontri nazionali, momenti di mobilitazione sulla repressione che però non sono riusciti ad andare oltre alle dichiarazioni di intenti. Si assisteva ad un "palco", ad una dichiarazioni delle varie organizzazioni, gruppi, collettivi, ognuno con la propria analisi sulla questione repressione senza riuscire ad individuare quei passaggi concreti che avrebbero consentito, poi, di sviluppare un percorso pratico. Quindi diciamo i limiti erano riferiti a questo. La consapevolezza che esisteva, evidentemente, uno spazio politico ampio per le condizioni oggettive, ma che soggettivamente c'erano grosse difficoltà a tradurlo nello sviluppo di una iniziativa politica stabile. Su questo penso che possiamo affermare, ovviamente non di aver risolto il problema, ma di aver dato un contributo assolutamente positivo. La riuscita del lavoro della Campagna, l'aver ottenuto gran parte degli obiettivi che ci eravamo prefissi fin dall'inizio, ha dimostrato che è possibile individuare un percorso che, senza svendere, senza arretrare sul piano dei contenuti, riesca ad unire in un lavoro collettivo aree, gruppi di compagni, soggetti di diversa formazione e di diversa impostazione. Nella proposta il tentativo di superare questo limite si è concretizzato nella richiesta di una adesione individiale alla Campagna. Questo non per screditare o per svalorizzare le dimensioni collettive, ma per riuscire a dare una capacità operativa al Comitato promotore evitando di trasformarlo in un intergruppi, in un parlamentino politico che avrebbe limitato la capacità operativa del Comitato e su questo penso che il bilancio sia assolutamente positivo.

R. Le fasi di avanzamento della Campagna si sono concretizzate strada facendo. Dopo l'Assemblea del 23 gennaio, il lavoro che abbiamo avviato, sia rispetto al contenuto, agli obiettivi e al metodo di lavoro, ha permesso lo sviluppo della Campagna. Quando si dice "adesione individuale" penso che si sia trattato di "una medicina amara" che dovevamo assumere per non ripetere gli errore di esperienze precedenti. Non è che "l'adesione individuale" sia un toccasana per tutto, era l'unica medicina per sviluppare quella Campagna nelle condizioni date. L'altra cosa è che, una volta avviata, è stato importante mantenere e stabilizzare riunioni mensili, con resoconti di queste riunioni, anche per informare chi non poteva essere presente, e la formazione di due Gruppi di lavoro che hanno sviluppato da una parte l'attività di propaganda delle varie iniziative come la raccolta di materiali e dall'altra il conseguimento di obiettivi come il Manuale.

D. Se guardiamo a quello che siete riusciti a fare e quello che non avete portato a termine balza agli occhi che avete fatto quello che era "nelle vostre mani" fare. Invece per quanto riguarda il coordinamento tra diversi avvocati e mappatura sulle varie inchieste che dipendevano da altri sono mancati. Sempre per questa logica "gruppettara"?

R. Io sono arrivato ad una conclusione differente. Noi avevamo investito parecchio sulla possibilità di coinvolgere una circuito di avvocati. Avevamo pensato che, con il supporto di una Campagna che cominciava ad avere una visibiltà nazionale, questo potesse essere uno strumento a disposizione degli avvocati stessi per ricollegare, tessere un circuito che di fatto non esiste attualmente. Abbiamo diversi compagni avvocati (o avvocati compagni) in diverse parti d'Italia che hanno dato e danno disponibilità e contributi alla Campagna e in generale alla difesa di militanti politici, di compagni, ma non esiste un circuito e secondo me su questo abbiamo peccato di presunzione. Probabilmente un circuito legale è possibile svilupparlo in una situazione di movimento e di scontro più ampio di quello attuale. Detto questo, credo che comunque il lavoro fatto abbia dato una opportunità di conoscenza di circuitazione e di valorizzazione del contributo che alcuni compagni avvocati hanno più volte dato: dalle consulenza per redigere il Manuale o i numerosi interventi nelle assemblee, nelle iniziative, ai più recenti contributi sulla legge Pisanu. Sulla mappatura il contributo tecnico dell'avvocato era centrale perché senza quello difficilmente si poteva fare qualcosa, lì effettivamente non si è riusciti. Dove invece è stata data la possibilità, sulla spinta e sulla base del lavoro organizzato dal Comitato promotore, di ricevere un sostegno, da diverse parti e da avvocati questo si è avuto. Ed anche questo è un risultato positivo.

R. Per quanto riguarda gli avvocati c'è stato un contributo, il limite è che non è organizzato e stabile. Per la mappatura siccome coinvolge aree ben definite di gruppi di compagni sicuramente si torna alla precedente domanda. Nel senso che non è pensabile che con una Campagna di questo tipo, pur dispiegata quanto si vuole, pur con contenuti di estrema attualità, sia sufficiente a combattere logiche settarie e gruppettare. Non ha ancora quella autorevolezza e quella credibilità per snidare altri dalla questione del proprio orticello, e nel proprio orticello ci stanno anche le 'proprie' inchieste. Non aver capito l'importanza, con la mappatura, di socializzare un tipo di lavoro a beneficio di tutti e non di singole realtà, è dovuto sicuramente all'influenza di logiche gruppettare.

D. Avete prodotto molto materiale, raggiungendo obiettivi specifici. E' possibile dire che formare compagni e compagne (che diano spessore, continuità, raccolta di forze per la Campagna) sia, in realtà, il vero obiettivo della Campagna? In sintesi la Campagna come una scuola di formazione?

R. Per quanto detto in precedenza sicuramente. La particolarità è che solitamente questo lavoro lo fa una organizzazione e lo fa nella forma e con la prospettiva di consolidare un proprio quadro politico. Lo spirito, invece, con il quale si è sviluppata la Campagna è stato quello di evidenziare alcuni limiti strutturali nella mentalità, nel modo di far politica tentando di costruire e di dare strumenti a compagni e compagne diversi per orientamento per sviluppare e riprodurre, dove possibile, una logica e un modo di agire differente. Non riproducendo una esperienza, una specificità, ma tentando di riprodurre e valorizzare questo tipo di spirito. In questo senso sicuramente vedo un valore d'uso formativo, in modo originale. Continuiamo ad avere riscontri in questo senso, anche per la percezione di questo. Non solo compagni e compagne che nello sviluppo di questo lavoro sono cresciuti e hanno recepito questo spirito, ma verifichiamo che anche all'esterno viene recepito questo spirito. L'originalità della Campagna, al di là della condivisione e dell'aspetto specifico dei temi trattati, è proprio nel fatto che è stata un'esperienza alta e diversificata perché le viene riconosciuto questo sforzo e questa originalità. Nelle discussioni è un aspetto che emerge, anche nelle presentazioni o negli incontri molto tecnici viene riconosciuto questo sforzo, l'aspetto del metodo capace ad aver superato limiti che sono sotto gli occhi di tutti. In particolare, nelle iniziative di catattere nazionale negli ultimi anni è un elemento molto sentito. Da questo punto di vista lo considero utile oltre che formativo.

R. Si è trattato, per un aspetto, di una scuola di formazione per il movimento di classe. Numerosi lavoratori e molti giovani sono stati interessati dal contenuto e dagli obiettivi della Campagna. Non abbiamo attraversato solo i militanti e gli adetti ai lavori, ma anche settori delle masse popolari.

D. A livello di contatti internazionali avete partecipato a diverse scadenze (Parigi, Basilea, ecc.), oltre ad aver organizzato assemblee, in Italia, con compagni baschi e iracheni. E' possibile avanzare senza questa conoscenza, senza questo confronto con altri, che in altri paesi vivono la stessa esperienza di lotta alla repressione? In che prospettiva vengono messi questi contatti?

R. Questo è un piano assolutamente importante. Per alcuni di noi, in passato, ci sono state diverse esperienze e molti di questi contatti si sono anche rifatti ad occasioni e momenti, primo fra tutti il Convegno di Berlino del '99 sulla repressione, come per i baschi, i turchi, i compagni tedeschi. La Campagna è stata un'occasione concreta per dare uno sbocco reale a questi contatti. Anche per il Convegno di Berlino possiamo dire quello che diciamo per l'Italia. Cioè grandi dichiarazioni di intenti, disponibilità, coesione ad individuare il problema dello sviluppo delle strategie repressive a livello europeo, ma poca capacità a conctretizzare un piano di lavoro. Anche lì la difficoltà c'è, anzi aumenta per questioni logistiche, oggettive. Il fatto di aver creato una occasione per riconnettere questi comparti e per dare uno sbocco concreto è stato importante. Il giro dei compagni baschi è stato molto apprezzato e sentito, dai baschi stessi in solidarietà e in sostegno alla loro lotta e allo stesso tempo molto sentito il contributo che loro hanno dato a noi, riportando con estrema puntualità le loro esperienza e la loro situazione. Con i compagni turchi incarcerati in Italia si è cercato di esprimere un piano concreto di solidarietà con una raccolta di fondi. Sul piano della prospettiva non posso dire che abbiamo risolto i problemi e che si vede qualcosa di più concreto come tipo di percorso. Ma sicuramente, anche su questo piano, l'esistenza di una Campagna così organizzata e strutturata è stata l'occasione per un bel contatto e anche in questo caso da parte dei compagni europei con cui siamo entrati nuovamente in contatto è stata apprezzata. Anche loro hanno manifestato l'impressione, che noi abbiano percepito, non solo sulla qualità politica dei contenuti che abbiamo espresso con la Campagna, ma anche l'originalità del metodo e del lavoro che abbiamo sviluppato.

R. A livello internazionale molti compagni, come noi, sono convinti della necessità di costruire un piano comune sulle tematiche affrontate dalla Campagna. Dalle esperienze fatte il problema più grosso che risalta è il fatto che spesso ci si dà delle scadenze a livello intenazionale, ma che tra l'una e l'altra c'è un lavoro puntuale tutto da inventare oggi. Penso che lo sforzo, a partire dall'esperienza della Campagna, possa cominciare a pensare quale può essere la via per un rapporto e un lavoro continuativo su queste tematiche a livello internazionale. Senza pensare di voler fare chi sa cosa, ma individuare quali possono essere alcuni punti di lavoro comuni e proponibili, credibili e concretizzabili. Che possano costituire un percorso che abbia continuità in maniere da non arrivare ogni volta alle scadenze internazionali come la prima a cui si partecipa. Non ci sono soluzioni precostituite. E' una questione su cui avviare un ragionamento e penso che possa essere questo il momento per cercare di proporlo ed avviarlo.

D. Mi è sembrato di capire che c'è un po' di difficoltà a concludere la Campagna. E' così difficile concludere una Campagna perché c'è la paura ad assumere nuove responsabilità?

R. C'è una situazione anomala: la Campagna è in piedi ormai da quasi un anno e mezzo considerando il lavoro preparatorio. Ha avuto una intensità di iniziative consistente e considerando che non c'è una struttura che sostiene la Campagna ma è una esperienza nazionale che si muove nel lavoro mensile, nel collegamento e contatto di queste differenti realtà di compagni e compagne che stanno dando continuità alla Campagna, lo sforzo è, ed è stato, veramente grande. Sicuramente abbiamo dato segni di stanchezza, un calo di continuità a questo lavoro. C'è viceversa una situazione anomala al nostro esterno. Fuori dalla realtà dei soggetti che compongono il Comitato promotore continua ad esserci una richiesta abbastanza considerevole: per esempio la presentazione del Manuale continua, la distribuzione del Manuale continua, ed è proprio l'aspetto più interessante, continua là dove non abbiamo contatti diretti. Quindi il problema che dobbiamo affrontare, e su questo abbiamo aperto il dibattito, è in questo che si può individuare la difficoltà: è capire come riuscire a dare continuità a un lavoro, mantenere la capacità di dare risposte alle tante situazioni che ci chiedono un contributo, interventi, spiegare i materiali e l'esperienza della Campagna e nello stesso tempo, però, non consumarsi dal punto di vista dell'impegno e del carico di lavoro. E questo è un aspetto. L'altro aspetto che è più politico, è la necessità, l'esigenza espressa da diversi compagni di valutare se la chiusura della Campagna può essere il momento per riuscire a fare un salto e una prospettiva ulteriore al lavoro generale sulla repressione. Vedendo giustamente la Campagna come un passaggio che in qualche misura va concluso proprio per poter farne un bilancio e poter ricapitalizzare le energie sul lavoro specifico della repressione. E su questo c'è un dibattito aperto. Penso che le condizioni che ci hanno portato ad individuare questo metodo di lavoro che ha caratterizzato la Campagna pur con i grossi risultati e i risultati positivi che abbiamo ottenuto però non sia modificata sostanzialmente dal punto di vista generale e che quindi la mia valutazione è quella di trovare il modo per riuscire a dare comunque questa continuità per non far esaurire improvvisamente quella capacità, quel patrimonio che è ancora così richiesto, ma con l'attenzione grossa di ricapitalizzarlo soprattutto all'esterno, cioè di riuscire a rinvestire questo patrimonio di esperienza allargandolo all'interno delle situazioni che comunque indipendentemente da noi si stanno sviluppando con lo sviluppo naturale delle contraddizioni. Non tanto come difficoltà, quanto come dibattito aperto reso difficile dal fatto che abbiamo un po'diluito le riunioni nazionali e questo rende difficile sviscerare tutti i punti all'ordine del giorno. Prossimamente ci dedicheremo comunque a questo dibattito.

D. Vi trovate in una situazione in cui potete, in una qualche modo, insegnare questa strada ad altri? E' possibile esportare la vostra esperienza? Penso soprattutto ad una Campagna nazionale contro la guerra, che non c'è stata.

R. In parte, questo, ha attraversato anche la nostra discusione, sia il discorso sul movimento contro la guerra, sia lotte degli immigrati e quindi contro i Cpt. I temini, non tanto sul piano dell'insegnamento, ma dell'esportazione sì, erano quelli di dire: contribuiamo, da una parte, portiamo un contributo sui nostri contenuti specifici. Nel movimento contro la guerra contribuiamo evidenziando i nessi tra il nostro lavoro sulla repressione e le strategie di guerra. Idem sugli immigrati. Diamo un contributo come vari elementi (processi di trasformazione territoriali come i Cpt o in campo giudiziario) siano parte di un quadro più generale. Nello stesso tempo cerchiamo di esportare il metodo, lo spirito, l'approccio, cioè valorizzare quello che, lo abbiamo detto prima, ci caratterizza. La difficoltà è che questi movimenti non ci sono. Anche su questi temi la volonta di alcuni si è scontrata, per adesso, con dinamiche di gruppo, settarie. La difficoltà di esportazione in questo momento è il fatto che torna nelle mani di compagni e compagne, più sul piano territoriale che nazionale, la capacità di individuare i terreni su cui investire questa energia e questo spirito e vedere se si rideterminano le condizioni perché questo si ritrasformi in occasioni sul terreno nazionale.

Concludiamo questo incontro con i compagni del Comitato promotore nel dire che a differenza di chi accenna alla necessità di trasformarsi, voi avete praticato questa necessità che diventa sempre più urgente. Questa intervista è stata fatta giovedi 2 marzo e l'abbiamo conclusa ricordando la compagna Joelle Aubron morta il 28 febbraio scorso. Compagni, auguri di buon lavoro!

[Intervista a cura della Redazione di Lotta e Unità]