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GIRP - Giornata Internazionale del Rivoluzionario Prigioniero
Firenze, 19 giugno 2005


Intervento di "Rivoluzione"

Questa è la lettera di un compagno dei Grapo, FRANCISCO (Paco) CELA SEOANE, letta come contributo durante l'incontro. Seguono alcune note sull'autore.

Care Compagne, cari Compagni:
a tutti voi giunga un saluto rivoluzionario e combattivo, saluto che avrei desiderato porgervi personalmente, così come di persona avrei voluto ricevere da tutti voi quelle Folate di Solidarietà che tanta Forza e Coraggio mi hanno dato per Resistere quando la mia trincea di combattimento erano le carceri di sterminio spagnole.
Ma è fuori di ogni dubbio che tanta ferocia in questa repressione che criminalizza il diritto alla Resistenza, a ribellarsi contro lo sfruttamento, l'oppressione, le vessazioni, le umiliazioni, che perseguita con accanimento le idee, i pensieri e persino i sentimenti, l'unica cosa che potrà fare sarà moltiplicare in ciascuno di noi i motivi che ci hanno portato a decidere che era meglio morire in piedi che vivere in ginocchio.
In questi tempi, decisamente duri, è bene non dimenticare che se le oligarchie finanziarie si vedono costrette a ritornare alle forme classiche di dominio fascista, se devono tirar fuori tutto l'arsenale del terrorismo di Stato, è perché sanno di aver perso la battaglia delle idee, perché sanno con chiarezza che non possono più aspirare a guadagnarsi il cuore delle genti, perché si sono accorti che la confusione generata dalle false illusioni riformiste non funziona più, perché con forza si è aperta il passo l'idea che con il loro vecchio e decrepito sistema capitalista si può fare una sola cosa: distruggerlo affinché dalle sue ceneri possa nascere il Socialismo che liberi l'umanità da tutte le catene!
Una cosa è certa: tutti i loro crimini, tutti i loro soprusi, tutte le loro carneficine non potranno evitare la Vittoria del proletariato e dei popoli.
Se ogni giorno, in ogni paese, aumenta il numero dei prigionieri politici, ciò ha un significato ben chiaro: ogni giorno il proletariato e i popoli aumentano la Resistenza e si riorganizzano meglio.
Pur nelle peggiori condizioni immaginabili, i prigionieri politici non si arrendono, non abbassano le braccia, lottano e mostrano al mondo intero le bandiere della Dignità, del Socialismo, della Libertà e della Speranza.

Nessuno potrà fermarci se impariamo a Combattere e, prima ancora, ad Organizzarci!!
Per tutto questo, consentitemi di fare un brindisi:

ALLA LIBERTA' PER TUTTI I PRIGIONIERI POLITICI!
ALLA DIFESA DEI PROGETTI DI RIVOLUZIONE
E DI TRASFORMAZIONE SOCIALE!

ALLA CLASSE OPERAIA, AI POPOLI, AL SOCIALISMO!
NON FERMIAMOCI: DOBBIAMO SEPPELLIRLI NEL MARE!!!

FRANCISCO (Paco) CELA SEOANE

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FRANCISCO (Paco) CELA SEOANE è nato in un villaggio della Galizia nel 1958. Ha iniziato a lavorare a 16 anni, nel settore della pesca per poi passare al settore dell'edilizia. Giovanissimo, inizia a militare nel movimento anarchico. Nel 1981, nella provincia di Gerona (Catalogna), la guardia civile assassina quattro guerriglieri dei GRAPO uno dei quali, Albino, era suo intimo amico, sia perché era dello stesso quartiere, sia perché condivideva con lui la convinzione della necessità della lotta armata.
Paco (non si tratta del nome di battaglia, ma del soprannome di Francisco), indignato, comincia a collaborare con i GRAPO. Questa collaborazione provocherà il suo arresto nell'ottobre del 1981. Rinchiuso nel carcere di Zamora, nel gennaio del 1983 viene messo in libertà e si integra nuovamente nella guerriglia dei GRAPO, partecipando a numerose azioni militari, sino a che non viene nuovamente arrestato nel gennaio del 1985. Da allora sino al novembre del 2004, data della sua scarcerazione, Paco é passato da un carcere all'altro (Carabanchel, Soria, Alcala Meco, Daroca, El Torrero, Foncalent, Sevilla II e Herrera de la Mancha).
In questi anni, insieme ai suoi compagni, é stato costretto a numerosi scioperi della fame per far fronte alla repressione messa in atto dai diversi governi di turno.

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Quello che segue è la traduzione di una lettera di un prigioniero politico incarcerato ora in un Gulag di Madrid. David Garaboa racconta la brutale tortura che ha subito, una pratica normale per lo Stato spagnolo di ieri e di oggi. Questo testo può essere distribuito liberamente e in maniera ampia come atto di solidarietà internazionalista.
Agli inizi di giugno il Socorro Rojo Internacional aveva denunciato la "scomparsa" di David Garaboa militante del PCE(r) e la possibilità che fosse sotto tortura. Il compagno, per continuare la sua militanza, qualche anno fa era passato alla clandestinità a causa delle persecuzioni e delle minacce della polizia.
In Spagna, ancora una volta e nonostante i "socialisti" al governo, continua la caccia non solo ai comunisti, agli anarchici, ai guerriglieri, ma anche a
ogni progressista che osi alzare la voce.
La traduzione è stata fatta dal "Centro Proletario Ilic", ci scusiamo se ci sono imprecisioni.
Centro Ilic


Torturato ma con "buone maniere"!

Sono stato arrestato intorno alle 20.30 tra il confine di Port Bou (Girona) e la Francia. Mi fu chiesto di mostrare i documenti, diversi poliziotti mi portarono al commissariato della stazione dove, di fronte al mio rifiuto di identificarmi con il mio vero nome, ricevetti diversi pugni in faccia e calci nelle gambe e nelle costole. Quando cominciai a sanguinare abbondantemente dal naso e dalla bocca mi diedero della carta igenica per pulirmi e, siccome mi rifiutai di farlo, me la strofinarono violentemente sulla faccia. Più tardi apparve un altro poliziotto in borghese, lo stesso che in seguito diresse gli interrogatori a Barcellona: per costringermi a dare le mie generalità iniziò a colpirmi allo stomaco e in testa. In uno di questi colpi si ruppe l'orologio e ciò servì da scusa per darmi altre botte.
Dopo cambiarono il nastro adesivo che avevano usato per tenermi legate le mani dietro la schiena con un paio di manette che strinsero brutalmente. Mi buttarono a terra a faccia in su pestandomi il torace e l'addome, cosa questa che mi provocò un gran dolore ai polsi. In seguito mi dissero che mi avrebbero portato al commissariato della "Brigada Provincial de Informacion" di Barcellona e che se avessi continuato a stare in silenzio si sarebbero fermati nei boschi della Girona e mi avrebbero sparato. In macchina continuarono ad aggredirmi e, quando raggiungemmo una zona poco illuminata di un'area di servizio dell'autostrada, mi fecero uscire dall'auto per "farmi fare un giro nel bosco dove nessuno avrebbe potuto saper quello che sarebbe accaduto". Siccome stavo calmo tornarono a spingermi in macchina con violenza e mi avvertirono che, una volta raggiunta Barcellona, i loro superiori avrebbero chiesto "soluzioni rapide". Arrivati a Barcellona mi misero in una cella e mi sfilarono davanti quelli che, più tardi, avrebbero partecipato agli interrogatori. Tra di loro, naturalmente, il "poliziotto buono" si offrì di aiutarmi se avessi parlato. Tuttavia i primi tre giorni di isolamento furono caratterizzati dalla tortura fisica: mi colpirono e torsero il pene e i testicoli, mi tirarono i peli del pube e della barba con guanti in lattice e cosi via.
Questa volta però, a differenza che a Port Bou, furono molto accorti a non lasciare nessun segno su di me. Le minacce furono costanti e di tutti i tipi. Insistevano nel dire che alla fine avrei parlato e aggiunsero che: "Se perché tu parli abbiamo bisogno di usare il sacco, il cavalletto di tortura o gli elettrodi, lo faremo, e se dovremo appenderti per le palle al soffitto lo faremo lo stesso. Ti deve essere chiaro che non uscirai vivo da qui senza dirci quello che sai, abbiamo l'impunità. Per i giudici della "Audiencia Nacional" non sei nient'altro che un bastardo terrorista e se ti suicidi in queste circostanze nessuno avrà niente da dire". E tutto questo combinato con la mancanza di sonno e riposo, l'obbligo di rimanere in piedi, le umiliazioni, gli insulti ecc.
Allo stesso modo utilizzarono i ricatti psicologici e le droghe. E, siccome mi rifiutai di accettare i loro cibi e bevande, eccetto l'acqua del rubinetto, essi optarono per spruzzare il pavimento sotto la porta con un liquido che mi provocò delle allucinazioni: mi sembrava che la pelle cadesse a pezzi, serpenti e lucertole erano tutt'intorno sul pavimento, e le pareti sembravano assumere forme e rilievi diversi, cosa questa che mi provocò una certa paranoia quando tentai di appoggiarmici. Immaginai che, per aumentare la paranoia, misero in cella una specie di coperta che fu gonfiata dall'esterno e che per me aveva l'aspetto di una gabbia in cui vi erano rinchiusi topi e serpenti. Mi resi conto che non era vera perchè gli ho sbattuto contro una sedia.
Altri effetti provocati dalle droghe furono un certo disorientamento, ottundimento, rallentamento dei riflessi e una grande secchezza della bocca. In aggiunta potei verificare che essi controllavano tutti i miei movimenti e reazioni attraverso una telecamera posta all'interno della cella.
Riguardo ai ricatti psicologici mi fecero credere di aver arrestato a Coruna la mia precedente compagna, per farmi credere ciò travestirono una poliziotta con il suo stesso modo di vestire e con la stessa pettinatura. Cercarono inoltre di farmi credere di aver arrestato la mia attuale compagna e minacciarono di incarcerare vari miei amici che non sapevano della mia militanza comunista con l'accusa di "collaborazione a banda armata" se non avessi risposto alle loro domande. Un altro trucco usato per cercare di persuadermi fu quello di interrogarmi in una stanza in cui tenevano come "trofei" le foto dei miei compagni assassinati e caduti nella lotta.
Nelle ultime 48 ore, dei 5 giorni in cui mi tennero isolato, attenuarono abbastanza il trattamento: smisero di colpirmi e mi permisero di cambiare gli abiti insanguinati con altri puliti. Forse questo ha anche a che fare con il fatto che mi avevano provocato una grave emorragia al naso che li obbligò, per fermarla, a chiamare la Croce Rossa e portarmi all'ospedale un due occasioni. Quello di cui sono convinto è che avessero ordini precisi di portarmi alla "Audiencia Nacional" senza visibili segni di torture. Anche se, a dire il vero, non sembrò che alla giudice Maria Teresa Palacios importasse degli evidenti segni di violenza e tortura sul mio volto, giacché non chiese niente a riguardo. E, come avevo fatto in commissariato, mi rifiutai di fare dichiarazioni. E questo perché, a dispetto delle promesse di cambiamento e rinnovamento democratico dei G.A.L. (squadre della morte organizzate dallo Stato spagnolo), io ho verificato sulla mia pelle che le torture non sono in contrasto con le "buone apparenze". La direttiva sembra essere: tortura si, ma che non si noti troppo. Anche se, quando sono entrato in prigione ancora subivo conseguenze dei colpi ricevuti: gravi lesioni al naso, alla bocca, l'occhio sinistro gonfio, un dente piegato e rotto, numerose ferite al cuoio capelluto e alla gamba destra, problemi di circolazione al pollice della mano destra e cicatrici ad entrambi i polsi. Nonostante ciò mi sento di buon umore e pronto a continuare la lotta in questo fronte che è quello deii centri di sterminio dello Stato fascista spagnolo.

David Garaboa Bonillo
Militante del Partito Comunista Spagnolo (ricostituito)
Prison de Soto del Real. Luglio 2005.